TUTTI GLI INCREDIBILI RETROSCENA DELL'AFFAIRE TELEMONTECARLO

Il Foglio".
Perché in fondo Cheli ha fatto un favore a Colaninno
Il problema dell'accesso ai cavi Telecom e la riforma della legge Maccanico

Se non fosse per l'orgoglio e le ragioni della bandiera, Roberto Colaninno avrebbe mandato dello champagne a Enzo Cheli e ai suoi colleghi dell'Authority per le telecomunicazioni che con una decisione sorprendente solo fino a un certo punto gli hanno bocciato l'operazione Seat-Tmc.

E più ancora che a lui, il desiderio di esternare felicità è venuto alla gran parte dei suoi soci di Bell-Olivetti, con l'eccezione di Chicco Gnutti che negli ultimi tempi - per motivi su cui gli esperti di "razza padana" stanno ancora congetturando - ha deciso di stare allineato e coperto rispetto al gran capo di Telecom. Il quale non poteva che protestare e preannunciare ricorsi, non fosse altro che per la sorte dei titoli in Borsa.
Ma ci sono almeno due buoni motivi, entrambi legati alle motivazioni addotte da Cheli, per cui a Colaninno il pronunciamento dell'autorità per le tlc non può certo essere andato di traverso. Il primo riguarda l'orientamento che nel frattempo l'Antitrust ha assunto in materia, e che Giuseppe Tesauro aveva già fatto pervenire come parere a Cheli: l'operazione si può fare, ma per avere Tmc, Telecom deve consentire agli altri operatori (Fastweb di e.Biscom è quello più pronto a partire) di accedere liberamente ai "cavi intelligenti", le canaline orizzontali dell'ex monopolista che portano la fibra ottica nelle case degli italiani.

Se Cheli avesse scelto quella linea, per Colaninno sarebbe stato un disastro e con tutta probabilità avrebbe preso la palla al balzo per mandare a monte lui l'intesa con Cecchi Gori. Ma l'altro grande vantaggio della linea adottata dall'autorità con sede a Napoli è che così il gioco è riapribile in sede politica. Si dice, infatti: il combinato disposto degli articoli 2, commi 17 e 18 e art. 4, comma 8 della legge 249/97 (la legge Maccanico) impedisce alla concessionaria del servizio pubblico di telecomunicazioni, di possedere, direttamente o indirettamente, concessioni televisive su frequenze terrestri in chiaro; quindi Seat, essendo controllata al 63,3 per cento da Telecom, non può essere autorizzata a rilevare Tmc.
Ma, sostiene ancora l'Authority, se di fronte alla legge non era possibile far diversamente, nello stesso tempo è auspicabile che quei divieti vengano eliminati e che le istituzioni politiche si facciano carico "di elaborare un insieme organico di norme che permettano una rapida realizzazione del processo di convergenza sul mercato delle comunicazioni e al contempo la tutela del pluralismo. In particolare, la legge citata, risentendo del momento particolare in cui è stata generata (un momento in cui si stava realizzando il passaggio dal monopolio alla concorrenza nel mercato delle telecomunicazioni) su alcuni aspetti non risulta idonea a rispondere alle esigenze di un mercato dinamico, caratterizzato da un continuo mutamento".
Ma chi, se non il governo e il Parlamento della prossima legislatura ha la possibilità di rivedere quella legge? E, se come è probabile, la maggioranza sarà di centrodestra, con chi bisognerà fare i conti se non quel Berlusconi che per Colaninno ad agosto era il capo di un "Polo starnazzante" e a settembre l'uomo cui rendere visita più volte e con cui aprire un nuovo fronte di amicizia? Ma, in questo caso, per fare che cosa?


Chi ha avuto modo di farsi raccontare dai protagonisti gli esiti delle viste ad Arcore di Colaninno, nei mesi scorsi aveva tratto la convinzione che Seat-Tmc potesse essere considerata una cosa morta. Intanto perché l'idea di acquistare Tmc è sempre stata più di Lorenzo Pellicioli, numero uno di Seat, che di Colaninno. Anzi, che tra i due non ci sia mai stata una grande intesa lo sanno anche i muri.

Pellicioli non ha mai considerato positivamente l'arrivo di un socio indebitato e ingombrante come Telecom e ha sempre giudicato troppo finanziere e poco imprenditore il ragioniere di Mantova, anche se l'unione con Tin.it ha finito col convincerlo. Ma, detto questo, Pellicioli si è predisposto a dare progettualità e contenuto strategico a Seat-Tin.it. In primo luogo guardando ai mercati internazionali, e poi immaginando che l'acquisto di Telemontecarlo non fosse un'operazione politica, come invece ha pensato Colaninno, ma il punto di partenza per una piattaforma digitale con cui sfondare non tanto nella televisione di oggi quanto in quella del futuro.

Viceversa, Colaninno si è giocato Tmc su due tavoli contrapposti. Il primo quello della sinistra, sulla base degli interlocutori che gli avevano consentito di portare a termine l'Opa Telecom (area D'Alema) e investendo su altri nuovi, a cominciare da Veltroni.
Successivamente, annusato il cambiamento di clima politico, si è speso Tmc con Berlusconi. Inizialmente facendogli alcune promesse: niente terzo polo tv, niente caccia alle star di Mediaset, niente dumping sulla pubblicità. Poi, via via, dicendo chiaro e tondo al Cavaliere che se l'Authority gli avesse negato il via libera lui non si sarebbe certo strappato i capelli.

Ma ora, la domanda vera è: Berlusconi, e ancor più Mediaset, quanto possono essere davvero interessati a che muoia il "terzo polo" o, peggio, che uscendo di scena Seat arrivi al suo posto un colosso come Telefonica, già forte in Italia per aver vinto con Ipse (di cui gli spagnoli sono azionisti di riferimento) una licenza Umts e per avere come socio fondamentale quella Acea alla cui testa c'è Paolo Cuccia, uomo decisivo della squadra di Rutelli?

Per questo la sollecitazione di Cheli a riformare la Maccanico offre una grande arma di negoziazione a Colaninno: non è detto che con Berlusconi a Palazzo Chigi, per l'affare Tmc sia lui a dover chiedere dei piaceri.


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Dagospia.com 23 Gennaio 2001