smart working realta virtuale

ABITUATEVI AI MEETING SU ZOOM E ALLA DIDATTICA A DISTANZA PERCHÉ SARÀ COSÌ ANCHE DOPO IL COVID - IL MANAGER DI CISCO PAOLO CAMPOLI: "LA REALTÀ VIRTUALE NON PUÒ SOSTITUIRE L’INTERAZIONE FISICA, MA IL FUTURO È NELL'IBRIDO. FINITA LA PANDEMIA, LAVORO E SCUOLA SI ALTERNERANNO TRA REMOTO E PRESENZA. IL 5G FA MALE? NON ESISTE NESSUNA EVIDENZA SCIENTIFICA..."

Andrea Andrei per www.ilmattino.it

 

Lo smart working? È solo l’inizio. La didattica a distanza e le videochat? Ormai non si torna più indietro. Il nostro presente, fatto di virtualità e costruito in tempi record per fronteggiare l’emergenza della pandemia, dà un’idea molto chiara del futuro ruolo che la tecnologia, e di conseguenza le connessioni, avranno nelle nostre vite, in cui le esperienze virtuali non sostituiranno ma affiancheranno quelle fisiche.

 

Paolo Campoli DI CISCO

Parola di Paolo Campoli, 56enne manager di Milano che pochi mesi fa è stato nominato alla guida del segmento Service Provider a livello mondiale di Cisco, colosso delle reti nonché azienda che fornisce la piattaforma Webex, una delle più utilizzate per meeting e videoconferenze.

 

«Nulla può sostituire l’interazione fisica», sottolinea Campoli, che ha cominciato la sua carriera in Cisco nel 1998 dopo aver lavorato per Siemens, e con cui - ovviamente - siamo connessi in videoconferenza «e portare un intero settore, come ad esempio quello dell’istruzione, a lavorare in remoto nel giro di due settimane è stata un’impresa titanica. Tecnicamente ci siamo riusciti, ma ci sono una serie di questioni che, insieme agli utenti, stiamo ancora imparando a migliorare o risolvere».

 

Ad esempio?

CONSIGLIO EUROPEO SU ZOOM

«Il codice di comportamento. La comunicazione non verbale, come quella del contatto visivo. E poi l’affaticamento, anche psicologico, che si ha nel lavorare o seguire delle lezioni con queste piattaforme. Ma ci stiamo arrivando, è un percorso da cui non si torna indietro. I nostri report dicono che anche dopo il Covid circa il 70% dei lavoratori continueranno a lavorare per qualche giorno da casa, mentre il 90% dei meeting saranno da remoto. Il futuro è nell’ibrido, e lo sarà anche a scuola. Perciò uno dei nostri obiettivi prioritari è rendere l’esperienza virtuale migliore di quella fisica. Con Cisco abbiamo anche sperimentato gli ologrammi, che in caso di eventi o presentazioni aziendali possono restituire anche la fisicità della persona con cui si interagisce».

 

il cantiere della sinistra su zoom

E tutto questo sarà incentivato dalle nuove connessioni 5G. Secondo l’Annual Internet Report di Cisco entro il 2023 in Italia ci saranno 511 milioni di oggetti connessi, 8,5 per persona. Ma quando potremo cominciare a utilizzare davvero il 5G?

«Credo nei prossimi due anni. Molto dipenderà dai dispositivi che arriveranno sul mercato, ma soprattutto dal completamento delle infrastrutture. Siamo partiti bene e con largo anticipo, ma quelle del 5G sono reti molto complesse, che necessitano di un enorme lavoro di cantierizzazione, di acquisizione dei permessi e di finanziamenti. Ma da queste connessioni ultraveloci passerà tutto il processo di digitalizzazione dei prossimi vent’anni».

 

lavoratori in smart working

Quali saranno i principali campi d’applicazione, secondo lei?

«In Italia soprattutto la cosiddetta Industria 4.0, con la filiera robotizzata. E poi il settore della sanità, dagli apparati biomedicali alla diagnostica e alla chirurgia da remoto. Ma gli esempi, specie sulla produttività, sono tanti. Pensi che in Gran Bretagna abbiamo sperimentato l’uso del 5G in agricoltura, connettendo le fattorie, con ottimi risultati sulla produzione».

 

smart working

Le prospettive, però, si scontrano spesso con la realtà. Non è curioso parlare di connessioni ultraveloci quando in Italia oggi ci sono intere città che hanno difficoltà anche a connettersi al 3G?

«Lo è, e per sapere quando e come risolveremo il problema del digital divide dovremmo anche capire le direzioni politiche. Ma io sono ottimista. Innanzitutto finalmente è stata abbandonata l’idea di costruire delle cattedrali nel deserto: inizialmente si pensava a portare la fibra solo nei grandi centri, sottovalutando il ruolo che le connessioni avrebbero avuto anche nei piccoli borghi. La pandemia ci ha mostrato quanto invece la domanda di servizi tecnologici sia forte: non siamo un Paese perfettamente digitalizzato, ma oggi tutti, anziani compresi, utilizzano questi servizi abitualmente. E poi l’Italia, con Open Fiber, ha adottato il modello di investimento virtuoso della “rete unica”, che crea economie di scala e che permetterà agli operatori di portare la connessione ovunque: le infrastrutture sono così costose che altrimenti non avrebbero mai potuto vedere la luce al di fuori delle grandi città».

 

smart working in pigiama 5

Quindi saremo tutti connessi, con una moltiplicazione esponenziale di dispositivi. Ma questo non aumenterà a dismisura anche i rischi per la sicurezza?

«Infatti è necessario che gli investimenti per la sicurezza siano al livello di quelli per la tecnologia. L’Internet delle cose amplierà il terreno di conquista degli hacker, che potranno agire anche attraverso gli elettrodomestici come i termostati. Perciò i sistemi di sicurezza dovranno essere costruiti all’interno delle reti, altrimenti queste vulnerabilità finiranno per creare sospetto nei confronti delle nuove tecnologie, soprattutto da parte delle piccole e medie imprese».

 

didattica a distanza

La sicurezza non è però solo quella informatica, c’è anche quella che riguarda l’uso che si fa delle piattaforme. Basti pensare alla tutela dei minori sui social.

«Lì c’è anche una questione di regolamentazione. Come ora si usa lo Spid, altrettanto si potrebbe fare, tramite un certificato digitale analogo, per verificare l’identità delle persone, e quindi anche regolare l’accesso ai social network in base all’età degli utenti».

 

didattica a distanza 5

Diciamolo una volta per tutte: il 5G fa male?

«Non esiste nessuna evidenza scientifica al riguardo. Le frequenze utilizzate dal 5G, a 3,5 Ghz, sono parenti strette di quelle delle reti 4G, hanno intensità di campo molto simili. Ci sono più antenne, è vero, ma da questo punto di vista più antenne ci sono e meglio è, perché diminuisce la concentrazione dell’intensità di campo. In Italia inoltre abbiamo misure restrittive per i campi elettromagnetici. E le frequenze più alte, quelle a 26 o 28 Ghz, saranno solo per utilizzi strategici. Forse però qualche colpa noi del settore ce l’abbiamo (sorride, ndr): aver fornito le reti che permettono a certe bufale di viaggiare così rapidamente».

didattica a distanza2didattica a distanza 1didattica a distanza 3didattica a distanza 6

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