DAGOREPORT – L'INSOSTENIBILE PIANO DI PACE DI TRUMP, CHE EQUIVALE A UNA UMILIANTE RESA DELL'UCRAINA, HA L'OBIETTIVO DI STRAPPARE LA RUSSIA DALL’ABBRACCIO ALLA CINA, NEMICO NUMERO UNO DEGLI USA - CIÒ CHE IL TYCOON NON RIESCE A CAPIRE È CHE PUTIN LO STA PRENDENDO PER IL CULO: "MAD VLAD" NON PUÒ NÉ VUOLE SFANCULARE XI JINPING - L’ALLEANZA MOSCA-PECHINO, INSIEME AI PAESI DEL BRICS E ALL'IRAN, È ANCHE “IDEOLOGICA”: COSTRUIRE UN NUOVO ORDINE MONDIALE ANTI-OCCIDENTE – IL CAMALEONTISMO MELONI SI INCRINA OGNI GIORNO DI PIÙ: MENTRE IL VICE-PREMIER SALVINI ACCUSA GLI UCRAINI DI ANDARE “A MIGNOTTE” COI NOSTRI SOLDI, LA MELONI, DAL PIENO SOSTEGNO A KIEV, ORA NEGA CHE IL PIANO DI TRUMP ACCOLGA PRATICAMENTE SOLO LE RICHIESTE RUSSE ("IL TEMA NON È LAVORARE SULLA CONTROPROPOSTA EUROPEA, HA SENSO LAVORARE SU QUELLA AMERICANA: CI SONO MOLTI PUNTI CHE RITENGO CONDIVISIBILI...")
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vladimir putin e donald trump - anchorage alaska
C’è un dettaglio rivelatore, nel ''piano di pace” di Trump, che accoglie praticamente solo le richieste di Putin, proposto all’Ucraina di Zelensky.
Al 13esimo dei 28 punti (di sutura) si legge: “La Russia sarà reintegrata nell'economia mondiale, con discussioni previste sulla revoca delle sanzioni, la reintegrazione nel G8 e la conclusione di un accordo di cooperazione economica a lungo termine con gli Stati Uniti”.
A parte il fatto, non da poco, che occorrebbe il consenso anche degli altri sette paesi, come scriveva Federico Fubini, sabato sul “Corriere della Sera”, “in sé è una promessa sorprendente: Trump si è sempre disinteressato dei tavoli multilaterali, per lui conta il rapporto personale fra leader forti; ma portare Putin con sé nei vertici fra i grandi Paesi industrializzati, apparentemente alla pari, significa di fatto contendere il leader russo ai Brics dei quali è un esponente di punta. Significa anche farne un alleato di Trump stesso, di fronte ai governi europei, proprio all’interno del vertice dei Grandi”:
Il vero obiettivo di Trump è di usare la questione Ucraina per un “decoupling” totale della Russia dalla Cina, considerata l’unico vero nemico strategico ed economico degli Stati Uniti.
Un’ipotesi, quella di strappare Mosca dall’abbraccio strategico ed economico con Pechino, che molti analisti ritengono improbabile, se non impossibile.
Innanzitutto, perché la Cina potrebbe tranquillamente sostituire il petrolio russo con quello dei paesi del Golfo persico, aggiungendo ovviamente qualche renminbi in più al prezzo stracciato che oggi ottiene da Mosca.
Inoltre, è lo stesso Putin a non voler abbandonare Pechino per il volubile e riottoso presidente degli Stati Uniti.
URSULA VON DER LEYEN VOLODYMYR ZELENSKY
La collaborazione “senza limiti” tra Russia e Cina si è infatti rafforzata enormemente negli ultimi anni, soprattutto dopo il 2022 (anno dell’invasione russa dell’Ucraina): sostituire il Dragone e ristabilire le relazioni commerciali con gli Stati Uniti, per Putin è improbabile, se non impossibile.
Certo, Mosca è costretta a un’alleanza “asimmetrica”: la Cina è una superpotenza economica, la Russia è una potenza regionale che ha dalla sua solo la forza militare e nucleare (hai detto niente), ma il suo bilancio dipende dall’export di energia, prima verso l’Europa e ora verso il gigante asiatico.
vladimir putin e donald trump - meme by 50 sfumature di cattiveria
Entrambi hanno il loro interesse reciproco: la Cina assorbe risorse economiche russe a buoni prezzi, e la Russia dipende da Xi Jinping come partner strategico affidabile in un contesto internazionale sempre più ostile.
Una collaborazione che si concretizza in numerose intese e accordi economici, militari e tecnologici, tra cui quelle per grandi progetti infrastrutturali (ad esempio, fare affari il gasdotto Power of Siberia 2) e in ambito energetico, aerospaziale, intelligenza artificiale e agricoltura, che rafforzano i legami economici e politici.
Parallelamente, Putin ha rescisso progressivamente i legami con l’Europa: difficile credere che gli stati dell’Ue, minacciati direttamente dalle scorribande militari di “Mad Vlad”, siano disposti a farsi nuovamente fregare con Nord Stream o simili (anche perché in Germania, prima potenza europea, non c’è più una leadership prona a fare affari con Mosca, come è stata per 15 anni quella di Angelona Merkel).
KIRILL DMITRIEV - STEVE WITKOFF
Un altro fattore che Trump finge di ignorare è la questione “ideologica”: Putin e Xi Jinping condividono, insieme ai paesi del Brics e all’Iran di Khamenei e ai suoi vassalli, il desiderio di ribaltare l’ordine mondiale e sconfiggere l’Occidente, in tutte le sue emanazioni, creando un nuovo status quo dove a comandare saranno loro. O meglio, sarà l'impero cinese con i suoi vassalli.
Tutte queste considerazioni, però, non fanno presa nella mente di Trump, abituata ai tempi corti delle trattative immobiliari e per nulla paziente rispetto ai tempi lunghi della diplomazia: è impossibile pretendere che Mosca si smarchi da Pechino in quattro e quattr’otto.
Ci sono poi fattori “materiali” a rendere complicato il progetto di Trump: un esempio? L’utilizzo degli asset russi congelati per co-finanziare con 100 miliardi la ricostruzione in Ucraina (gli altri 100 li dovrebbe mettere l’Europa).
Quei soldi, più di 250 miliardi, sono infatti bloccati non negli Stati Uniti ma in una società europea, la Euroclear, che ha sede in Belgio. Per mobilitare quelle risorse, al netto di tutti i dubbi sulla legittimità del sequestro, non si può prescindere da un coinvolgimento di Bruxelles, e dell’Unione europea in generale.
giorgia meloni punto stampa al g20 in sudafrica 8
Scrive ancora Fubini: “In questa bozza d’accordo non c’è alcuna traccia di un’alleanza occidentale. C’è solo una logica di potenza - senza diritto internazionale, pura legge del più forte - in base alla quale Trump cerca di privare Xi Jinping del suo alleato russo”.
Aggiungiamo noi: la bozza somiglia al corteggiamento di un innamorato (Trump) verso la donna amata (Putin) che non vuole concedersi e sta con un altro (Xi Jinping). Il Caligola di Mar-a-Lago ha voluto dimostrare all’autocrate russo di essere disposto a tutto per accontentarlo.
Non si spiegherebbe altrimenti l’aderenza pressoché totale della Casa Bianca alle richieste del Cremlino, se non fosse per il segretario di Stato, Marco Rubio, che l'ha criticato.
Il 53enne ministro degli esteri americano, “infiltrato” del vecchio establishment repubblicano nell’amministrazione “Maga”, è volato a Ginevra dove ha raccolto i cocci lasciatigli da Trump e li ha pazientemente ricomposti insieme Andriy Yermak, capo dell’ufficio del Presidente ucraino, Zelensky.
VLADIMIR PUTIN XI JINPING E KIM JONG UN - PARATA MILITARE IN PIAZZA TIENANMEN A PECHINO
Yermak non ha potuto portare con sé in Svizzera Andriy Smirnov, uno dei suoi vice coinvolto nella “mani pulite” ucraina, né un altro dei suoi sottoposti, Rostyslav Shurma, indagato dall'autorità giudiziaria per una brutta storia di indennizzi concessi a suo fratello per alcuni terreni finiti sotto il controllo dei russi.
A proposito delle “mazzette” a Kiev, non si può non segnalare la solita sparata di Matteo Salvini: “Se gli ucraini invece di aiutare i bambini si pagano le mignotte, io non ci sto”. Uno scivolone di pessimo gusto, mentre Giorgia Meloni, nelle stesse ore, provava a tamponare con un “Kiev ha mostrato di avere gli anticorpi e combattere la corruzione”.
SALVINI CON LA MAGLIA DI PUTIN
Una precisazione necessaria, per la Ducetta, che fatica sempre di più a mantenere il suo camaleontismo in equilibrio.
Ieri ha mostrato un paraculismo politico di notevole forgia: “Salvini dice una cosa corretta, cioè dice che i soldi degli italiani non possono andare a finire nelle mani di persone corrotte e ovviamente noi dobbiamo vigilare perché questo non accada.
Ma, ripeto, mi pare che il governo ucraino abbia dimostrato di avere piena volontà di combattere eventuali fenomeni di corruzione”.
A urne per le regionali aperte (oggi alle 15 si chiudono i seggi in Puglia, Campania e Veneto), la Thatcher della Garbatella non poteva sconfessare il proprio alleato, né, visto il suo ruolo di primo ministro, mostrarsi troppo accondiscendente verso un putiniano conclamato.
Qualche minuto prima, sempre al punto stampa del G20 in SudAfrica, “I'm Giorgia” aveva mandato un "pizzino" politico molto più chiaro, che ha incrinato la sua maschera da camaleonte: “Il tema non è lavorare sulla controproposta europea, ha senso lavorare su quella di Trump”. Una precisazione che poi si è rivelata inutile, visto che la "controproposta" europea si è rivelata essere un elenco di natura "emendativa", a correzione della bozza Usa-Russia.
Quello che conta, però, è il messaggio: Giorgia Meloni, quando c'era da scegliere, non ha avuto dubbi a schierarsi convintamente con Trump.
E infatti persino Carlo Calenda, che in queste settimane si è avvicinato pericolosamente alla maggioranza di centrodestra, ma è un fiero sostenitore di Kiev (si è anche tatuato il tridente ucraino sul polso) la sbertuccia: "Il governo italiano sta pericolosamente deviando dal sostegno all'Ucraina, tiene una linea di basso profilo perché i populisti non hanno valori''.
Carletto continua: "Come cinque anni fa la Meloni era putiniana può tornare a esserlo nel volgere di poco. Deve scegliere se stare con Putin e Orban o essere la presidente del Consiglio di un paese fondatore dell'Europa. La Meloni mi ha molto deluso. È stata putiniana prima di andare al governo, poi con Biden è diventata sostenitrice dell'Ucraina, adesso che Trump ha cambiato idea ha di nuovo cambiato idea".
Il messaggio odierno dell'ex "Draghetta di undernet", in buona sostanza, è: io sto con Donald. Lo stesso che vuole disgregare il vecchio Continente per mantenerlo in una condizione di subalternità.
Lo stesso che apparecchia con Putin la resa dell’Ucraina. Lo stesso che, secondo i sondaggi di Gallup, ha ormai perso il consenso del 76% della popolazione americana, almeno sulla politica economica in preda all'inflazione…






