1. UN ANNO DA DIMENTICARE PER BERLUSCONI COSTRETTO A SGANCIARE 494 MILIONI A CARLO DE BENEDETTI CHE, A SUA VOLTA, DEVE TAPPARE IL BUCO MILIARDARIO DI SORGENIA 2. ORRIBILE ANCHE PER LO SCARPARO DELLA VALLE: SFIDA ELKKANN PER IL CORRIERE E VIENE SCONFITTO; DICHIARA GUERRA A MORETTI I TRENI SMONTEZEMOLATI NTV SONO IN SU UN BINARIO MORTO; PROVA A PRENDERE LA7 E TELECOM GLI PREFERISCE URBAMNO CAIRO

Carlotta Scozzari per Dagospia

VINCITORI

1. MARIO GRECO: arrivato a Trieste nell'estate del 2012, dopo la cacciata del suo predecessore Giovanni Perissinotto, l'amministratore delegato delle Generali Greco, nel gennaio del 2013, presenta il suo piano industriale, basato sul ritorno alle assicurazioni e sull'uscita dai "salotti finanziari". Nel corso dei mesi, Greco avvia un massiccio processo di dismissioni e pulizia, che passa per un ricambio totale di manager e prime linee.

E' con i primi caldi, verso giugno, che esplodono le tensioni tra Greco e l'ex direttore generale, Raffaele Agrusti. All'inizio, alcuni soci del Leone tentano di difendere l'ex braccio destro di Perissinotto, che da Greco era già stato demansionato a numero uno di Generali Italia, ma l'ad insiste e vince, ottenendone la testa. Ora Agrusti, insieme con l'ex ad, rischia addirittura un'azione di responsabilità. Ma c'è chi giura che i rapporti tra Greco e alcuni azionisti forti del Leone si siano guastati. Nel 2014 scopriremo se in maniera definitiva.

2. URBANO CAIRO: all'inizio di marzo, Cairo batte al fotofinish i concorrenti Clessidra e Diego Della Valle e si aggiudica La7 da Telecom Italia. Inizialmente, data la situazione finanziariamente non florida della rete tv, il prezzo viene fissato alla cifra simbolica di 1 milione, ma in autunno, il presidente del Torino, notoriamente parsimonioso, in forma di conguaglio, deve aprire il portafoglio per altri 4,8 milioni.

Un esborso che Cairo non aveva previsto. Ma l'ex assistente di Silvio Berlusconi, che tra l'altro in estate a sorpresa ha messo un piede anche in Rcs, sembra sia già parecchio avanti nel piano di risanamento de La7. Data la situazione di partenza, se riuscisse a riportare il canale tv in utile sarebbe un vero miracolo...

3. MARCO TRONCHETTI PROVERA: all'inizio di giugno, dopo un lungo braccio di ferro ed estenuanti trattative, Marco Tronchetti Provera e i Malacalza, raggiungono finalmente un accordo per il riassetto della catena di controllo di Pirelli e depongono così le armi (comprese quelle delle vie legali). La famiglia genovese esce da Camfin e viene "ricompensata" a valle, con azioni della società degli pneumatici.

Per il patron del gruppo della Bicocca e marito di Afef è una vittoria perché, con l'aiuto di Clessidra e delle due banche Intesa Sanpaolo e Unicredit, si sbarazza di soci che sono ormai diventati scomodi. Tronchetti è libero di riorganizzare la catena di controllo di Pirelli, che passerà attraverso il lancio di un'Opa (offerta pubblica di acquisto) su Camfin. A dicembre, un nuovo colpo di scena: i Malacalza ingaggiano l'ex manager di Pirelli, Francesco Gori, che non sembra essere in ottimi rapporti con la società, come consulente. Nel 2014 ripartirà la battaglia?

4. JOHN ELKANN: alla fine di giugno, in pieno aumento di capitale da 410 milioni, con una mossa a sorpresa, la Fiat di John Elkann annuncia che passerà dal 13,4% a oltre il 20% di Rcs, diventandone prima azionista. Il rafforzamento costa alla società automobilistica quasi un centinaio di milioni ma serve a Elkann sia per dare uno schiaffo morale a Diego Della Valle, sia per tornare ad avere il controllo sul gruppo del Corriere della Sera, proprio come ai tempi del nonno Gianni Agnelli. E poco importa se lo scioglimento del patto di Rcs, avvenuto in ottobre, ridimensiona il potere di Elkann a vantaggio di mister Tod's: per ora chi comanda è la Fiat.

5. MAURO MORETTI: il 9 agosto il Tesoro lo conferma amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, anche grazie agli utili realizzati con l'alta velocità. Ma più che quello della riconferma ai vertici e del raggiungimento dei 60 anni di età, per Moretti il 2013 è l'anno della sconfitta dei rivali di Trenitalia: negli ultimi mesi del 2013 diventa sempre più evidente che la Ntv e i treni Italo di Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle e Gianni Punzo viaggiano con qualche anno di ritardo rispetto al pareggio di bilancio. Chissà che le Ferrovie dello Stato non tornino prima o poi in posizione di monopolio sull'alta velocità...

6. MASSIMO SARMI: i conti delle Poste Italiane, guidate da Sarmi, tornano, soprattutto grazie alla parte bancaria. Sarà anche per questo che il nome del manager, classe 1948, spunta a ottobre nella vicenda Telecom Italia, quando c'è da trovare un presidente che sostituisca il dimissionario Franco Bernabè. Alla fine non se ne farà nulla, ma Sarmi continuerà a fare parlare (bene) di sé perché le sue Poste toglieranno in parte le castagne dal fuoco di Alitalia, mettendo sul piatto 75 milioni nell'ambito dell'aumento di capitale da 300 milioni del vettore. E per il 2014 si vedrà, anche perché la poltrona del sostituto di Bernabè in Telecom è ancora vacante...

7. REMO RUFFINI: la sua Moncler debutta a Piazza Affari a metà dicembre e soltanto nel primo giorno di quotazione balza di quasi il 47 per cento. C'è grida alla bolla del lusso, ma intanto Ruffini, presidente e amministratore delegato del gruppo dei piumini, che a differenza dei fondi di private equity non ha venduto e si è tenuto stretto il suo 32%, con l'Ipo è diventato miliardario. Basti pensare che, dai 2,55 miliardi della quotazione, Moncler ne vale oggi quasi 4 e che la sola quota di Ruffini è balzata da 800mila euro a quasi 1,3 miliardi. Sempre che nel 2014 la bolla non si sgonfi...

8. CARLO CIMBRI: alla fine di dicembre, in extremis, con il "giudizio di equivalenza" rilasciato da Consob sul documento della fusione, arriva l'ultimo via libera alla maxi-integrazione tra la Unipol guidata da Cimbri e il gruppo Fondiaria-Sai, fino al 2012 in mano alla famiglia Ligresti. Le sudate nozze, benedette da Mediobanca e Unicredit, sebbene in ritardo rispetto al tabellino di marcia, saranno celebrate nel 2014. Il quarantottenne Cimbri, Procure permettendo visto che i filoni di inchiesta su Fonsai non mancano, sarà così a capo del secondo maggiore gruppo assicurativo italiano alle spalle delle Generali.

9. ANTONELLA MANSI: di dubbi ce ne sono pochi. La vincitrice dello scontro all'assemblea dei soci di Mps del 28 dicembre è lei: Mansi, giovane (39 anni) e per giunta donna (bella, il che non guasta mai). Con i voti della Fondazione da lei presieduta, affossa il progetto del management della banca senese di avviare l'aumento di capitale da 3 miliardi già a gennaio e ottiene che l'operazione sia spostata più in là nel tempo, da maggio. Ora l'ente dovrà impiegare questi mesi per vendere titoli e alleggerire il debito da quasi 350 milioni. Una corsa contro il tempo. Se Mansi ce la farà avrà vinto non solo una battaglia ma l'intera guerra.

10. ALBERTO NAGEL: nell'estate del 2012, pur di liberarsi una volta per tutte della famiglia Ligresti e farla uscire da Fondiaria-Sai, l'amministratore delegato di Mediobanca Nagel firma il famoso "papello" con le richieste di Don Salvatore. Il banchiere quarantottenne giura di averlo fatto solo per presa visione, ma la Procura indaga sospettando che alla base dell'uscita della famiglia siciliana da Fonsai, poi finita nell'orbita di Unipol, ci sia stato un patto segreto tra Nagel e i Ligresti non comunicato al mercato.

Dell'esito di tale inchiesta nulla si è più saputo. E probabilmente il fatto stesso che Nagel abbia trascorso il 2013 (anno tra l'altro dell'uscita di Mediobanca dai "salotti") senza alcun contraccolpo giudiziario basta già a farne uno dei vincitori finanziari dell'anno che se ne va.


VINTI

1. GIUSEPPE ORSI: dal 2011 alla guida di Finmeccanica, prima solo come amministratore delegato e poi anche come presidente, Orsi, classe 1945, avrebbe dovuto fare dimenticare la gestione del suo predecessore, Pier Francesco Guarguaglini, dimessosi due anni fa in scia allo scandalo sulle frodi fiscali.

E invece niente di tutto questo, perché a febbraio del 2013 Orsi viene arrestato con l'accusa di corruzione internazionale per le presunte tangenti pagate per la vendita di 12 elicotteri al governo indiano. Il numero uno di Finmeccanica si dimette e le deleghe come amministratore delegato passano ad Alessandro Pansa, tuttora al comando del gruppo dell'aerospazio e della difesa.

2. GIOVANNI BERNESCHI: la poltrona di presidente di Carige del settantaseienne Berneschi, "padre padrone" dell'istituto genovese da oltre vent'anni, nella prima metà del 2013 comincia a vacillare. Tutta colpa del rafforzamento patrimoniale chiesto dalla Banca d'Italia e dalle conseguenti tensioni con la prima azionista, la Fondazione Carige presieduta dall'ottantaduenne Flavio Repetto.

In estate decade il consiglio di amministrazione della banca, a settembre emergono i pesanti rilievi dell'authority di via Nazionale sulle modalità di erogazione del credito, non proprio improntate all'efficienza, della gestione Berneschi e a fine mese lo storico presidente viene sostituito da Cesare Castelbarco.

In un primo momento sembra che ne esca vincitore Repetto, ma a fine ottobre, dopo un blitz dietro cui si cela la "longa manus" di Berneschi, cade pure lui e all'inizio di dicembre Paolo Momigliano prende il suo posto. A Genova, con l'uscita di scena di Berneschi e Repetto, nel giro di nemmeno un anno, mutano completamente i riferimenti del mondo economico, finanziario, e per certi aspetti anche politico, locale.

3. DIEGO DELLA VALLE: all'inizio di luglio, quando si sta per chiudere l'aumento di capitale da 410 milioni e dopo che la Fiat di John Elkann ha già ipotecato oltre il 20% di Rcs, mister Tod's dichiara guerra al rampollo della famiglia Agnelli, che a suo dire si comporta come un bambino viziato. Della Valle convoca in fretta e furia una conferenza stampa a Milano dicendosi disposto pure lui, eventualmente insieme a una non meglio precisata cordata di amici, a superare il 20% del gruppo del Corriere della Sera.

Ma non accadrà mai e l'imprenditore marchigiano, dopo l'aumento, resterà al 9% nell'azionariato di Rcs. Indietro rispetto al 20,55% in mano alla Fiat, così come a marzo Della Valle era rimasto indietro rispetto a Urbano Cairo nella cessione de La7. Allora mister Tod's era sceso in campo in extremis, insieme con Clessidra, ma il venditore della rete tv, il gruppo Telecom Italia, gli aveva preferito il presidente del Torino. Come se non bastasse, poi, in Ntv, la società dei treni che fa capo a Della Valle, Luca Cordero di Montezemolo e Gianni Punzo, la situazione finanziaria non è delle più semplici. Per mister Tod's il 2013 non è stato un anno dei più semplici.

4. FAMIGLIA LIGRESTI: a metà luglio, tramonta del tutto la stella dei Ligresti, che soltanto fino a poco più di un anno prima, brillava più o meno alta nel cielo della finanza italiana. A infliggere il colpo di grazia alla famiglia di Paternò, a cui nel 2012 era già stata "sfilata" la Fondiaria-Sai (passata a Unipol), è la decisione della procura torinese di spiccare, nell'ambito dell'inchiesta sulla stessa compagnia assicurativa e con l'ipotesi di falso in bilancio aggravato e manipolazione del mercato, sette ordinanze cautelari nei confronti dell'ottantunenne Salvatore Ligresti, dei figli Paolo (mai arrestato poiché residente in Svizzera), Jonella e Giulia, più tre ex manager della società.

Giulia, si scoprirà in un secondo momento, lascerà la prigione forse anche per il discusso intervento del ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri, amica di famiglia dei Ligresti. Ma sono comunque lontani anni luce i tempi in cui la stessa Giulia, a spese degli azionisti del gruppo Fonsai, sfrecciava alta nei cieli a bordo del Falcon e, in generale, i tempi in cui "Don Salvatore" e figli sedevano nei principali "salotti" della finanza italiana.

5. SILVIO BERLUSCONI: il 2013, per l'ex premier, è stato un anno da dimenticare a livello non soltanto politico ma anche finanziario. A metà settembre, arriva il verdetto definitivo della Cassazione sul lodo Mondadori: la sua Fininvest dovrà risarcire per 494 milioni di euro la Cir della famiglia De Benedetti per il passaggio di mano della casa editrice. Una cifra che deve ancora "scaricarsi", con tutti gli annessi effetti negativi, sul conto economico della Fininvest, dal cui bilancio del 2012 emergeva soltanto una "riserva vincolata a esito contenzioso Cir", per un importo di 409,1 milioni, coincidente con la somma già pagata alla holding dei De Benedetti al netto delle tasse.

Ma, lodo Mondadori a parte, anche per gli affari della famiglia di Carlo De Benedetti non si è chiuso un anno dei più semplici. Verso la fine del 2013 è, infatti, esploso il bubbone di Sorgenia, la società del gruppo Cir attiva nel campo energetico e schiacciata da un debito bancario di 1,8 miliardi. Si vedrà nel 2014 se Sorgenia riuscirà a scongiurare il fallimento.

6. ENRICO TOMASO CUCCHIANI: rientro dalle ferie con trauma per Cucchiani, classe 1950, che in una domenica di fine settembre è costretto a rassegnare le dimissioni dalla carica di consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, la prima banca italiana per sportelli. Al di là dei comunicati e delle dichiarazioni di facciata, le reali motivazioni dell'uscita repentina del manager ex Allianz non sono mai state chiare.

C'è chi gli imputa un certo attivismo nella ricerca di nuovi azionisti stranieri e chi invece lo descrive come un accentratore di potere. Quel che è abbastanza certo è che il rapporto con Giovanni Bazoli, storico e potente presidente ottantunenne del consiglio di sorveglianza di Intesa, che pure lo aveva chiamato al momento dell'uscita di Corrado Passera, si guasta. E a Cucchiani succede il "delfino" di Bazoli: Carlo Messina.

7. FRANCO BERNABÈ: la prima vittima illustre dell'autunno infuocato di Telecom Italia è il suo presidente Bernabè che, all'inizio di ottobre, 65 anni appena compiuti, lascia il vertice della società, in aperto dissidio con l'operazione di rafforzamento nel capitale degli spagnoli di Telefonica. Da mesi ormai Bernabè correva da solo: naufragato, in primavera, il (suo) tentativo di fusione tra Telecom e 3 Italia, per salvare dalle secche la società a suo giudizio non restava che un aumento di capitale "vero".

Ma i soci non ne hanno voluto sentire parlare e così a novembre, quando già Bernabè si era chiamato fuori, l'amministratore delegato Marco Patuano tira fuori dal cappello il convertendo da 1,3 miliardi. Che tante polemiche ha sollevato e tanti guai (con Consob ma al lavoro c'è anche la Procura) nel 2014 potrebbe portare.

8. I CAPITANI CORAGGIOSI DI ALITALIA: è in autunno che le cose precipitano per Alitalia. Per l'ex compagnia di bandiera italiana diventa essenziale reperire risorse per almeno 300 milioni, pena il fallimento. Quel che certamente fallisce è il tentativo di organizzare un matrimonio con Air France, già azionista di Alitalia. Accorrono così in soccorso le Poste e le banche Intesa Sanpaolo e Unicredit, mentre è tuttora in fase di studio un'integrazione con gli arabi di Etihad.

Soprattutto, però, la situazione in cui versa Alitalia sancisce il fallimento clamoroso dell'operazione con cui, tra il 2008 e il 2009, i cosiddetti "capitani coraggiosi", sotto la regia dell'allora premier Silvio Berlusconi e dell'allora numero uno di Intesa Corrado Passera, scesero in campo per investire nel vettore italiano, che fu così privatizzato. Tra loro si ricordano la stessa Intesa, la Immsi di Roberto Colaninno, la Equinox di Salvatore Mancuso, l'Atlantia della famiglia Benetton, le famiglie Riva, Marcegaglia e Ligresti, e la Pirelli di Marco Tronchetti Provera.

9. ANDREA BONOMI: dopo giorni di polemiche, all'inizio di novembre il consiglio di gestione della Popolare di Milano, presieduto dall'azionista Andrea Bonomi, si dimette. La classica goccia che fa traboccare il vaso è una dura lettera del finanziere e azionista Raffaele Mincione che polemizza con la gestione di Bonomi e del consigliere delegato Piero Montani (nel frattempo passato in Carige).

Il board convoca contestualmente una assemblea dei soci, che si riunisce il 21 dicembre e nomina alla presidenza del consiglio di sorveglianza Piero Giarda, il candidato dei sindacati. Che dimostrano così di essere tornati a "comandare" in Bpm dopo la fase Bonomi.

10. ALESSANDRO PROFUMO: niente da fare per il presidente di Monte dei Paschi di Siena: durante l'assemblea dei soci riunita in seconda convocazione il 28 dicembre, la Fondazione Mps, prima azionista, vota contro l'aumento di capitale da 3 miliardi che secondo i suoi programmi e quelli dell'amministratore delegato Fabrizio Viola si sarebbe dovuto concretizzare nel mese di gennaio (anche perché all'inizio del 2014 scade il consorzio di garanzia).

L'ente presieduto da Antonella Mansi, che ha bisogno di tempo per vendere le azioni e alleggerire il debito, si esprime a favore di una ricapitalizzazione da 3 miliardi, ma entro giugno. Profumo, osteggiato anche dal sindaco di Siena, il renziano Bruno Valentini, aveva minacciato le dimissioni nel caso in cui fosse stato bocciato l'aumento a gennaio. Ma il passo indietro non è ancora arrivato.

 

 

 

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