1. VATICANO FOLLIES! BRILLA L’AVVOCATO DEGLI AGNELLI, IL BERTONIANO FRANZO GRANDE STEVENS, DIETRO LA SFORTUNATA VOLATA DEL BANCHIERE BELGA DE CORTE ALLO IOR 2. CHI MAI METTERÀ LE MANI SUI NOMI DEI GIORNALISTI PREZZOLATI DA FINMECCANICA (UNA VENTINA), SALTATI FUORI DURANTE UNA PERQUISIZIONE IN CASA DELL’ASSISTENTE DI ORSI? 3. MAURO MORETTI HA FATTO SAPERE CHE LA RIPRESA DEL PROGETTO DI FUSIONE FS-ALITALIA È LEGATA A UNA CONDIZIONE IRRINUNCIABILE: IL NON-ARRIVO DELL’EX FS ELIO CATANIA 4. ALL’ABI, L’ASSOCIAZIONE DEI BANCHIERI ITALIANI, NESSUNO RICORDA IL NOME DI MUSSARI

1- IOR CHE CAZZATA! L'AVVOCATO DEGLI AGNELLI FRANZO GRANDE STEVENS HA TIRATO LA SFORTUNATA VOLATA AL BANCHIERE BELGA DE CORTE, SU INPUT DI BERTONE
In vista del trasferimento temporaneo del Papa nella casina di clausura, padre Georg sta riempiendo le casse con i libri, i documenti e la collezione di gattini in ceramica che sta particolarmente a cuore a Ratzinger.

Nei palazzi vaticani ormai si parla soltanto del futuro pontefice, ma tra i cardinali c'è ancora qualcuno che chiede che cosa è successo esattamente mercoledì scorso quando in serata si è diffusa la voce del nuovo presidente dello Ior. Le notizie erano scarse e contraddittorie, ma al "Corriere della Sera" e' arrivata la soffiata sulla candidatura vincente del finanziere belga Bernard De Corte. Il direttore Flebuccio De Bortoli ha preso sul serio questo rumor e giovedì ,senza fare il nome di De Corte, l'ha sparato in prima pagina prendendo in contropiede tutti gli altri giornali.

Da quel momento è iniziata la caccia per saperne di più su questo banchiere belga di cui non esiste una biografia e che non e' mai entrato nella rosa dei candidati a guidare la banca del Vaticano. Per molti osservatori si è pensato che fosse uno dei 40 nomi individuati dai cacciatori di teste della società Spencer Stuart alla quale secondo una procedura di facciata il Vaticano aveva affidato il compito di selezionare il candidato ideale.

Quando all'indomani è saltato fuori il nome del tedesco Ernst von Freyberg, il 55enne presidente della società che produce navi e megayacht (l'ultimo è stato venduto all'oligarca Abramovich), la sorpresa è stata ancora più grande. Nessuno pensava infatti che Ratzinger riuscisse a piazzare questo personaggio noto soltanto in Germania per i suoi rapporti con l'arcidiocesi di Berlino.

A distanza di pochi giorni il blitz si arricchisce di dettaglia curiosi perché si è saputo che fino all'ultimo momento il belga Bernard de Corte, dalla biografia sconosciuta, era arrivato a Roma convinto di aver vinto la battaglia per la guida dello Ior. A incoraggiarlo pare che sia stato il cardinal il segretario di Stato Tarcisio Bertone, ma le assicurazioni più forti gli sono arrivate dall'avvocato torinese Michele Briamonte che da anni lavora nello studio di Franzo Grande Stevens.

Quest'ultimo è noto per la sua fedeltà alla Sacra Famiglia degli Agnelli, un rapporto collaudato durante decenni di collaborazione al punto tale da essere definito "l'avvocato dell'Avvocato".

Il Grande Franzo ha iniziato la sua marcia professionale sullo Ior da alcuni anni e nel 2011 ha assistito la banca nella vicenda dei 23 milioni sequestrati dalla Procura di Roma nell'inchiesta su presunte omissioni legate alle norme antiriciclaggio. I suoi servizi si sono poi estesi alla formulazione dell'offerta vincolante per l'acquisto delle attività del San Raffaele fondato da don Verzè.

Sono questi i motivi che hanno spinto l'85enne superavvocato torinese ma di origine napoletana ad aprire una sede del suo studio a largo Argentina dove oggi operano 24 legali tra cui anche la figlia Cristina. Tra i collaboratori più stretti c'è appunto l'avvocato Michele Briamonte, un torinese classe 1977, che ha ricoperto incarichi anche nella Juventus dove è entrato in rotta di collisione con Andrea Agnelli dopo il patteggiamento per l'allenatore Conte.

Briamonte è l'uomo che ,seguendo i suggerimenti del maestro e le assicurazioni del cardinal Bertone, ha tirato la volata al banchiere belga De Corte, ed è lui che dopo la sconfitta nella battaglia dello Ior ha dovuto consolarlo e rimetterlo sull'aereo.

2- CHI METTERÀ LE MANI SUI NOMI DEI GIORNALISTI PREZZOLATI DA FINMECCANICA, SALTATI FUORI DURANTE UNA PERQUISIZIONE?
Gli uscieri di Finmeccanica si stanno riprendendo dopo la caduta del meteorite che dal cielo di Busto Arsizio è arrivato ai piani alti dell'azienda.
Adesso cercano di capire che cosa pensano i top manager e i centurioni della comunicazione che fino a pochi giorni fa sostenevano la causa di Giuseppe Orsi. Con grande e discutibile sveltezza il Governo ha cercato di colmare il cratere provocato dalla caduta del meteorite giudiziario affidando le deleghe ad Alessandro Pansa, ma gli uscieri sanno che questa è una soluzione provvisoria in vista dell'Assemblea di aprile.

Piuttosto che perdere il tempo a scommettere sul futuro vertice aziendale, gli uscieri si chiedono perché dentro le principali aziende del Gruppo e nel quartier generale di piazza Monte Grappa in questo momento si sentono umori e profumi diversi.

Intorno all'ufficio di Pansa spira un'aria di vittoria come se l'arresto di Orsi rappresentasse il segno di una svolta definitiva e la sconfessione clamorosa dei giudizi avventati che il manager piacentino oggi in galera aveva formulato su Pansa nella famosa colazione con Gotti Tedeschi. Il più inebriato dal nuovo corso è Marco Forlani, il 42enne responsabile dell'ufficio stampa che furbescamente si era tenuto dietro le quinte e non ha mai interrotto il dialogo con Pansa.

Allevato con le lezioni del padre "doroteo", il mite Forlani non ha mai spezzato il rapporto anche con Orsi e l'ex-comandante supremo lo aveva premiato affidandogli pochi mesi fa la cura dell'ufficio di Washington gestito da Simone Bemporad.
Un forte profumo di crisantemi si sente invece ai piani bassi intorno alla piccola corte dei collaboratori più stretti di Orsi a cominciare da Carlo Maria Fenu, il giornalista in odore di Opus Dei che dopo le ultime vicende è destinato a tornare al suo primo mestiere.

E la stessa sorte è segnata per Marco Conte e Alessandro Toci, il manager che dopo aver lavorato a stretto contatto con l'ex-direttore generale Giorgio Zappa, è diventato il braccio destro di Orsi grazie anche ai suoi rapporti politici con Mastella, Maurizio Lupi e Lorenzo Cesa.

Adesso Toci vive un momento di grande inquietudine e spera che Milena Gabanelli, la Giovanna d'Arco dei poveri, non prepari dentro una polpetta velenosa con i nomi dei giornalisti prezzolati che sono saltati fuori durante una perquisizione a casa sua.
Che girassero soldi nel mondo dei giornalisti, affamati di quattrini e contagiati dal potere, gli uscieri lo sapevano da almeno un anno, e avevano individuato anche le manine romane, napoletane e milanesi che cercavano di difendere l'immagine del manager e del Gruppo.

A loro però interessa riempire anche il necrologio dei manager che Alessandro Pansa dovrà sostituire. Tra questi oltre a Bruno Spagnolini, amministratore delegato di Agusta Westland oggi agli arresti domiciliari, un altro top manager sulla punta del missile è Fabrizio Giulianini, al quale l'ex-comandante supremo ha affidato la guida della superSelex, la società nata dalla fusione di tre aziende.

E fuori dalla scena uscirà definitivamente anche Amedeo Caporaletti, l'82enne ex-capo di Agusta Westland che ha ricevuto nel 2002 dalla Regina d'Inghilterra l'onorificenza di Commander.Un prestigioso riconoscimento che ha usato malamente per gestire le mosse del comandante supremo adesso in carcere.

3- MORETTI HA FATTO SAPERE CHE LA RIPRESA DEL PROGETTO DI FUSIONE FS-ALITALIA È LEGATA A UNA CONDIZIONE IRRINUNCIABILE: L'ARRIVO DELL'EX FS ELIO CATANIA.
Le vicende dell'Alitalia e del prestito ponte sottoscritto con dolore dai patrioti italiani sono state seguite con forte interesse da Mauro Moretti.
Anche se pubblicamente e non più tardi di una settimana fa il capo delle Ferrovie ha smentito la nomina di un advisor per il progetto di fusione tra la sua azienda e la Compagnia, sono in molti a scommettere che questo progetto è semplicemente congelato, non archiviato.

A parlarne per primo è stato alla vigilia di Natale Massimo Mucchetti, il giornalista principe del "Corriere della Sera" che oggi balbetta nelle fila di Monti. Quando il 23 dicembre Mucchetti spiegò le tre condizioni che Moretti avrebbe posto alla fusione tra Ferrovie e Alitalia scattarono subito le smentite, prima fra tutte quella delle Ferrovie che alla vigilia di Capodanno definirono le voci sul progetto assolutamente infondate.

In realtà l'ex-sindacalista di Rimini sta aspettando il nuovo Governo dove qualcuno si è spinto a scrivere che potrebbe diventare ministro dei Trasporti. Comunque vadano le cose Moretti ha fatto sapere che la ripresa del progetto di fusione è legata a una condizione irrinunciabile. Per lui non si farà nessun eventuale passo in avanti se dentro l'Alitalia decideranno di mandare a casa il povero Ragnetti per sostituirlo con Elio Catania.

Quest'ultimo ha guidato le Ferrovie per un paio d'anni poi se ne è andato lasciando un passivo di 2 miliardi e un mare di polemiche sulla pulizia e gli affollamenti dei treni. In quel periodo Moretti era amministratore delegato di Rfi, la società che gestisce la Rete, e a distanza di tanto tempo non si è ancora spento il ricordo delle polemiche che scoppiarono tra i due manager.

Quando poi Catania se ne tornò a Milano con 6,7 milioni di liquidazione dentro il borsello per assumere la guida dei tram meneghini, Moretti assurto al ruolo di amministratore delegato delle Ferrovie impiegò pochi minuti per tagliare la testa ai manager della cordata Catania. Tra questi Erbacci di Trenitalia, Roberto Testore ex-Fiat, e Giancarlo Schisano, il manager passato all'Alitalia.

Sarà comunque il Governo a dire l'ultima parola sulla fusione. Le Ferrovie godono di buona salute e pare addirittura che tutti i biglietti da 39 euro per il Roma-Milano nei mesi di aprile e di maggio siano già stati venduti.

Il matrimonio con Alitalia potrebbe comunque avere risvolti finanziari pericolosi perché l'indebitamento delle due aziende messo insieme rappresenta una seria minaccia.

4- ABI FEDE

Avviso ai naviganti: "Si avvisano i signori naviganti che all'Abi, l'Associazione dei banchieri italiani nessuno riesce a ricordare il nome di Peppiniello Mussari.
L'arrivo del nuovo presidente Antonio Patuelli che ama esibire una sfolgorante calvizie e un sorriso soddisfatto, ha creato un clima di serenità a Palazzo Altieri.

Anche il direttore generale dell'Abi, Giovanni Sabatini, nominato a luglio 2009, ha capito che la sua poltrona non è in pericolo. E per dimostrare la sua competenza ha rilasciato oggi al "Financial Times" un'intervista in cui rispolvera la sua esperienza alla Consob e invoca nuove regole e maggiori controlli per le banche.
Le stesse cose che chiedeva Mussari quando per due volte è stato presidente dell'Abi tra gli applausi di Profumo e degli altri banchieri".

 

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