UN CLASSICO ITALIANO - SULL’EXPO C’ERA L’ALLARME, INASCOLTATO, DELL’ANTIMAFIA: “AFFARI ILLEGALI PEGGIO CHE SE SI FACESSE IL PONTE SULLO STRETTO” - L’ASSEGNAZIONE FU IL 31 MARZO 2008: 2MILA GIORNI DI INATTIVITÀ, SPARTIMENTO DI POLTRONE E CORRUZIONE

Alberto Statera per "Affari e Finanza - la Repubblica"

Il grande evento salvifico che avrebbe dovuto certificare la fine della decadenza, il riscatto dell'Italia agli occhi del mondo, è ormai la silloge di un paese in disfacimento etico, politico, economico e sociale. C'erano 2.585 giorni per far bene le cose da quel 31 marzo 2008, il giorno in cui tra epici festeggiamenti l'Italia ottenne dal Bureau International des Exposition l'organizzazione dell'Expo 2015, l'evento mondiale del secondo decennio del secolo.

Miliardi di investimenti, milioni di visitatori annunciati da ogni angolo dell'orbe terracqueo con un gigantesco ristoro dell'economia nazionale, decine di migliaia di nuovi posti di lavoro. Seguirono duemila e più tragici giorni nei quali non una pietra fu mossa, non una zolla fu sollevata per realizzare l'area espositiva. Andò invece in scena un bieco spettacolo di caccia alle poltrone e di spartizione tra politici, faccendieri, signori degli appalti, mafie di ogni genere all'ombra della simoniaca cupola affaristica lombarda cresciuta come un tumore nei diciotto anni di formigonismo.

La Direzione Nazionale Antimafia aveva segnalato fin dal primo giorno che gli interessi e gli appetiti intorno all'evento si preannunciavano 'maggiori persino di quelli ipotizzabili dalla realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina', che Berlusconi aveva rimesso in cima al delirio delle grandi opere. Ma nessuno volle ascoltare i ripetuti allarmi, attribuiti a pericolosi disfattisti.

Di fronte alla sanguinosa lotta per le nomine e per il controllo dei finanziamenti e degli appalti, qualcuno ipotizzò la rinuncia. Il saggio professor Vittorio Gregotti citò la rinuncia di Mitterrand che nel 1989 cancellò dalla sera alla mattina il faraonico programma di festeggiamenti per il bicentenario della rivoluzione francese. Oggi, dopo gli ultimi arresti dei sempreverdi nonni di Tangentopoli, come Frigerio e Greganti, e dei loro moderni epigoni, il sogno si è trasformato nell'incubo annunciato sotto gli occhi stupefatti del mondo.

Un classico della corruttela nazionale, come il G8 della Maddalena poi trasferito all'Aquila tra sprechi e ruberie, i mondiali di nuoto e ogni altro evento che ha consentito di spartire centinaia di milioni di pubblico denaro tra delinquenziali bande predatorie protette soprattutto dalla struttura criminale del berlusconismo.

Bande che in Lombardia negli oltre tre lustri di comando di Formigoni e del suo cerchio magico ciellino si sono specializzate per settori. Sotto la grande cupola, operano senza colpo ferire sottocupole nella sanità, nell'ambiente, nei rifiuti, nell'urbanistica, nelle opere pubbliche. Ormai alla fatidica data del primo maggio 2015 mancano meno di 350 giorni. I lavori a Rho nella più ottimistica tra le stime sono neanche al 50 per cento e la corsa contro il tempo rischia di essere perduta esponendoci a un'ulteriore figuraccia mondiale.

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi dirà: 'Non faremo finta di niente, siamo qui per affrontare le questioni e non per nasconderle'. Sarebbe però consigliabile che a Milano nascondesse almeno il suo ministro Maurizio Lupi, che nel sistema affaristico lombardo-ciellino è una delle figure di maggior spicco e il cui nome compare nelle carte dei magistrati che hanno ordinato la retata di giovedì scorso. E che chiedesse ben conto al commissario unico Giuseppe Sala come è possibile che non si sia accorto che la sua fiducia veniva 'sorprendentemente tradita'. Sorprendentemente?

 

 

MATTEO RENZI A MILANO PER L EXPO FOTO LAPRESSE expo cemento GIULIANO PISAPIA EXPOexpo milano jpegGIANSTEFANO FRIGERIO GREGANTI fbb db cc c a ad ba ad ff Vittorio Gregotti maurizio lupi pennarello argento

Ultimi Dagoreport

francesco de tommasi marcello viola daniela santanche ignazio leonardo apache la russa davide lacerenza pazzali

DAGOREPORT - CHE FINE HANNO FATTO LE INCHIESTE MILANESI SULLA SANTANCHE', SUL VISPO FIGLIO DI LA RUSSA, SUL BORDELLO DELLA "GINTONERIA" AFFOLLATA DI POLITICI, IMPRENDITORI E MAGISTRATI, OPPURE SULL'OSCURA VENDITA DELLA QUOTA DI MPS DA PARTE DEL GOVERNO A CALTAGIRONE E COMPAGNI? - A TALI ESPLOSIVE INDAGINI, LE CUI SENTENZE DI CONDANNA AVREBBERO AVUTO UN IMMEDIATO E DEVASTANTE RIMBALZO NEI PALAZZI DEL POTERE ROMANO, ORA SI AGGIUNGE IL CASO DEL PM FRANCESCO DE TOMMASI, BOCCIATO DAL CONSIGLIO GIUDIZIARIO MILANESE PER “DIFETTO DEL PREREQUISITO DELL’EQUILIBRIO” NELL’INDAGINE SUL CASO DI ALESSIA PIFFERI – MA GUARDA IL CASO! DE TOMMASI È IL PM DELL’INCHIESTA SUI DOSSIERAGGI DELL’AGENZIA EQUALIZE DI ENRICO PAZZALI, DELICATISSIMA ANCHE PER I RAPPORTI DI PAZZALI CON VERTICI GDF, DIRIGENTI DEL PALAZZO DI GIUSTIZIA MILANESE E 007 DI ROMA - SE IL CSM SPOSASSE IL PARERE NEGATIVO DEL CONSIGLIO GIUDIZIARIO, LA CARRIERA DEL PM SAREBBE FINITA E LE SUE INDAGINI SUGLI SPIONI FINIREBBERO NEL CESTINO - LA PROCURA DI MILANO RETTA DA MARCELLO VIOLA, CON L'ARRIVO DELL'ARMATA BRANCA-MELONI, E' DIVENTATA IL NUOVO ''PORTO DELLE NEBBIE''?

giorgia meloni regionali de luca zaia salvini conte stefani decaro fico

DAGOREPORT: COME SI CAMBIA IN 5 ANNI - PER CAPIRE COME SIA ANDATA DAVVERO, OCCORRE ANALIZZARE I VOTI ASSOLUTI RIMEDIATI DAI PRINCIPALI PARTITI, RISPETTO ALLE REGIONALI DEL 2022 - LA LEGA HA BRUCIATO IL 52% DEI VOTI IN VENETO. NEL 2020 LISTA ZAIA E CARROCCIO AVEVANO OTTENUTO 1,2 MILIONI DI PREFERENZE, QUESTA VOLTA SOLO 607MILA. CONSIDERANDO LE TRE LE REGIONI AL VOTO, SALVINI HA PERSO 732MILA VOTI, IL 47% - TONFO ANCHE PER I 5STELLE: NEL TOTALE DELLE TRE REGIONI HANNO VISTO SFUMARE IL 34% DELLE PREFERENZE OTTENUTE 5 ANNI FA – IL PD TIENE (+8%), FORZA ITALIA IN FORTE CRESCITA (+28,3%), FDI FA BOOM (MA LA TENDENZA IN ASCESA SI È STOPPATA) – I DATI PUBBLICATI DA LUIGI MARATTIN....

luca zaia matteo salvini alberto stefani

DAGOREPORT – DOPO LA VITTORIA DEL CENTRODESTRA IN VENETO, SALVINI NON CITA QUASI MAI LUCA ZAIA NEL SUO DISCORSO - IL “DOGE” SFERZA VANNACCI (“IL GENERALE? IO HO FATTO L'OBIETTORE DI COSCIENZA”) E PROMETTE VENDETTA: “DA OGGI SONO RICANDIDABILE” – I RAS LEGHISTI IN LOMBARDIA S’AGITANO PER L’ACCORDO CON FRATELLI D’ITALIA PER CANDIDARE UN MELONIANO AL PIRELLONE NEL 2028 - RICICCIA CON PREPOTENZA LA “SCISSIONE” SUL MODELLO TEDESCO CDU-CSU: UN PARTITO “DEL TERRITORIO”, PRAGMATICO E MODERATO, E UNO NAZIONALE, ESTREMISTA E VANNACCIZZATO…

luca zaia roberto vannacci matteo salvini

NON HA VINTO SALVINI, HA STRAVINTO ZAIA – IL 36,38% DELLA LEGA IN VENETO È STATO TRAINATO DA OLTRE 200 MILA PREFERENZE PER IL “DOGE”. MA IL CARROCCIO DA SOLO NON AVREBBE COMUNQUE VINTO, COME INVECE CINQUE ANNI FA: ALLE PRECEDENTI REGIONALI LA LISTA ZAIA PRESE DA SOLA IL 44,57% E IL CARROCCIO IL 16,9% - SE SALVINI PIANGE, MELONI NON RIDE: NON È RIUSCITA A PRENDERE PIÙ VOTI DELLA LEGA IN VENETO E IN CAMPANIA È TALLONATA DA FORZA ITALIA (11,93-10,72%). PER SALVINI E TAJANI SARÀ DIFFICILE CONTRASTARE LA RIFORMA ELETTORALE - PER I RIFORMISTI DEL PD SARÀ DURA DARE UN CALCIO A ELLY SCHLEIN, AZZERATE LE AMBIZIONI DI GIUSEPPE CONTE COME CANDIDATO PREMIER - "LA STAMPA": "IL VOTO È LA RIVINCITA DELLA ‘LEGA NORD’ SU QUELLA SOVRANISTA E VANNACCIANA: LA SFIDA IDEOLOGICA DA DESTRA A MELONI NON FUNZIONA. IL PARTITO DEL NORD COSTRINGERÀ SALVINI AD ESSERE MENO ARRENDEVOLE SUI TAVOLI DELLE CANDIDATURE. SUL RESTO È LECITO AVERE DUBBI…”

xi jinping vladimir putin donald trump

DAGOREPORT – L'INSOSTENIBILE PIANO DI PACE DI TRUMP, CHE EQUIVALE A UNA UMILIANTE RESA DELL'UCRAINA, HA L'OBIETTIVO DI  STRAPPARE LA RUSSIA DALL’ABBRACCIO ALLA CINA, NEMICO NUMERO UNO DEGLI USA - CIÒ CHE IL TYCOON NON RIESCE A CAPIRE È CHE PUTIN LO STA PRENDENDO PER IL CULO: "MAD VLAD" NON PUÒ NÉ VUOLE SFANCULARE XI JINPING - L’ALLEANZA MOSCA-PECHINO, INSIEME AI PAESI DEL BRICS E ALL'IRAN, È ANCHE “IDEOLOGICA”: COSTRUIRE UN NUOVO ORDINE MONDIALE ANTI-OCCIDENTE – IL CAMALEONTISMO MELONI SI INCRINA OGNI GIORNO DI PIÙ: MENTRE IL VICE-PREMIER SALVINI ACCUSA GLI UCRAINI DI ANDARE “A MIGNOTTE” COI NOSTRI SOLDI, LA MELONI, DAL PIENO SOSTEGNO A KIEV, ORA NEGA CHE IL PIANO DI TRUMP ACCOLGA PRATICAMENTE SOLO LE RICHIESTE RUSSE ("IL TEMA NON È LAVORARE SULLA CONTROPROPOSTA EUROPEA, HA SENSO LAVORARE SU QUELLA AMERICANA: CI SONO MOLTI PUNTI CHE RITENGO CONDIVISIBILI...")