
IL GOVERNO È RIUSCITO A SPRECARE LA GRANDE OCCASIONE DEL PNRR – IL RECOVERY DOVEVA ESSERE IL “VOLANO” PER L’ECONOMIA ITALIANA, SI È TRASFORMATO IN UNA CIAMBELLA DI SALVATAGGIO PER NON AFFONDARE – CONFINDUSTRIA HA CERTIFICARO CHE, SENZA I 200 MILIARDI DEL PNRR, L’ITALIA SAREBBE GIÀ IN RECESSIONE – MA DOVE SONO FINITE LE RIFORME LEGATE AI FONDI EUROPEI? IL PIANO È STATO RIVISTO DIVERSE VOLTE DAL GOVERNO FINO A TRASFORMARLO IN UN MERO ELENCO DI SPESE SENZA ALCUNA VISIONE PER IL FUTURO…
Estratto dell’articolo di Veronica De Romanis per “la Stampa”
Nei giorni scorsi è stato pubblicato il Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp) che delinea il quadro macroeconomico dell'Italia. Si è data molta enfasi al fatto che, già a partire dall'anno in corso, il deficit dovrebbe raggiungere il 3 per cento. Di conseguenza, il Paese uscirebbe dalla procedura d'infrazione: davvero ottima notizia.
Tuttavia, per i dettagli sulle stime di finanza pubblica bisognerà aspettare la legge di Bilancio. Per quanto riguarda la crescita, invece, le stime non sono incoraggianti: mezzo punto percentuale nel 2025 e 0,7 nella media del triennio 2026-2028. Di fatto, siamo tornati agli "zero virgola" degli anni pre-Covid.
giancarlo giorgetti giorgia meloni foto lapresse.
C'è allora da chiedersi dove sia finito l'impatto degli oltre 200 miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). In realtà, secondo il Centro studi di Confindustria sarebbe "decisivo", visto che in assenza di quei fondi l'economia italiana starebbe peggio. Nello specifico, l'impatto stimato sul Pil, ipotizzando una spesa di circa 65 miliardi, sarebbe dello 0,8 per cento nel 2025 e dello 0,6 nel 2026, mentre in sua assenza si registrerebbe - rispettivamente - una flessione di -0,3 e un lieve rialzo del +0,1.
Tradotto: senza l'Europa, il nostro Paese entrerebbe in recessione. Risultato interessante per un governo che ha come slogan "meno Europa ma meglio".
Pnrr Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
C'è, però, un secondo aspetto da considerare ed è, se possibile, ancora più preoccupante. Riguarda l'impatto del Piano sul Pil potenziale, ossia sulla capacità del Paese di produrre sviluppo.
Le stime si trovano proprio nel Documento programmatico del governo: nella media del periodo 2025-2028, la crescita potenziale dovrebbe attestarsi intorno allo 0,7/0,8. Non si tratta di un grande traguardo visto che l'obiettivo del Pnrr era proprio quello di innalzare l'abilità di creare ricchezza.
[...] Sempre il Documento indica che il contributo al Pil potenziale della produttività totale dei fattori è persino negativo nel biennio 2024-2026 e pari a -0,2 per cento, per poi annullarsi successivamente.
CHIAGNI E FOTI - MEME BY EMILIANO CARLI
Che cosa significa? Come è noto, la produttività può misurare un solo fattore - lavoro o capitale - oppure tener conto del contributo di una serie di elementi non immediatamente osservabili come innovazione, conoscenza, organizzazione del tessuto economico: in questo caso si parla di produttività totale dei fattori.
Un indice prezioso, perché misura l'efficienza complessiva del sistema: dalla burocrazia al funzionamento della giustizia, dalla qualità delle infrastrutture alla capacità della pubblica amministrazione di sostenere l'impresa e l'innovazione. Se il contributo di questo indicatore è negativo, significa che il sistema diventa meno efficiente e sottrae crescita.
Ma dove sono finite le riforme del Pnrr? In realtà non c'è da stupirsi. Il Piano è stato rivisto diverse volte dal governo fino a trasformarlo in un mero elenco di spese: la forza delle riforme e degli investimenti che, peraltro, oramai servono più a manutenere che a innovare, è stata notevolmente ridotta.
[...] Nel 2024, la produttività totale dei fattori aveva registrato una flessione pari a -1,3 per cento. Una simile dinamica è il segno di un'economia che non riesce a usare bene i fattori che ha: capitale, competenze, risorse. A livello macroeconomico, la produttività stagnante contribuisce a frenare lo sviluppo.
giorgia meloni e giancarlo giorgetti foto lapresse 1
E questo spiega perché ci si attende una crescita asfittica nel 2025. E ciò avviene nonostante il dinamismo del mercato del lavoro. E qui sta il punto: se l'economia resta debole, un aumento dell'occupazione non rappresenta un risultato positivo, ma segnala la creazione di impieghi che non generano altrettanto valore, spesso caratterizzati da scarsa efficienza e basse retribuzioni. Un circolo vizioso che andrebbe interrotto con un cambio di rotta. Ricordiamoci che dall'anno prossimo non ci saranno neppure più i fondi del Pnrr.