benny green

CONFESSIONI DI UNA PORNOBANCARIA – BENEDETTA D’ANNA, IN ARTE BENNY GREEN, LICENZIATA DOPO CHE I SUOI SUPERIORI HANNO SCOPERTO LA SUA PASSIONE PER L’HARD, SI RACCONTA: “IN BANCA ALCUNI COLLEGHI MI CHIEDEVANO DI RAGGIUNGERLI IN BAGNO E SI ABBASSAVANO I PANTALONI. MI CHIEDEVANO DI FARE SESSO A TRE CON LE LORO MOGLI” – RICORDA L'INFANZIA CON IL FRATELLASTRO MASSIMO GRAMELLINI (“ABBIAMO PRESO STRADE DIVERSE”), LE PRIME FOTO NUDA PER PAGARE IL MUTUO E POI IL SALTO NEL PORNO E IL LAVORO CON ROCCO SIFFREDI – “DOPO AVERE INIZIATO A FARE LA PORNO ATTRICE, SONO DIVENTATA SESSUALMENTE PIÙ ESIGENTE. IL MIO UOMO IDEALE DEVE ESSERE NERO O MULATTO…”

Daniela Seclì per www.fanpage.it

 

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Benedetta D’Anna, in arte Benny Green, si è raccontata in una lunga intervista rilasciata a Fanpage.it. Negli ultimi mesi si è parlato tanto di lei. Ex impiegata di banca, è stata licenziata dopo che i suoi superiori hanno scoperto la sua passione per l’hard, tra spettacoli nei club e foto osé su OnlyFans. Oggi è una pornostar, che ha lavorato anche con Rocco Siffredi.

 

Benedetta D'Anna, però, è anche una mamma di tre figli e una donna che ha iniziato a lottare sin da bambina. Il padre l'ha abbandonata, poi lo spettro della malattia ha funestato gli anni migliori della sua vita: prima un tumore di Wilms, poi l'anoressia, la bulimia e la depressione. Il rapporto conflittuale con la madre, l'ha costretta a farsi coraggio e a rialzarsi da sola. Anche sul posto di lavoro, non sarebbero mancate le vessazioni. Alcuni colleghi le avrebbero chiesto di raggiungerli in bagno, si sarebbero abbassati i pantaloni o le avrebbero proposto sesso a tre con le mogli.

 

benny green

"La mia vita sembra una tragedia, ma sono stata più forte di quello che pensavo, sono riuscita a sopravvivere, a diventare mamma, non mi sono lasciata tentare dalla pericolosa scorciatoia della droga. Per me è motivo di grande orgoglio", ci ha raccontato. Ecco la sua storia.

 

Benedetta, la tua storia è iniziata in salita. Tuo padre si è allontanato quando eri ancora una bambina. Hai mai provato a recuperare un rapporto con lui?

 

«Certo, ci ho provato durante la mia infanzia. Sono stata colpita da una bruttissima malattia, un tumore di Wilms, con zero probabilità di riuscita degli interventi, invece ho fatto la chemioterapia e l’ho superato. Neanche sapermi malata, lo ha convinto a riavvicinarsi a me. Dai miei 10 anni in poi, è stato allontanato per decisione del Tribunale dei Minori. Questo, non ti nego, mi ha comportato una serie di problematiche psicologiche, non capivo il motivo di questa scelta».

 

Tuo padre non ti ha mai motivato la sua decisione di non essere presente nella tua vita?

 

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“Ha sempre incolpato mia madre e la scelta del tribunale. Che cosa sia accaduto davvero e come siano suddivise le responsabilità, credo che non lo saprò mai. Mia mamma è una donna molto chiusa, poco aperta agli affetti e alle parole, ha sempre troncato ogni discussione dicendomi: "Ma insomma, dopo tanti anni ancora ti poni questi interrogativi?". Verso i 20 anni, questo travaglio psicologico, è sfociato in un malessere che sicuramente non ha fatto bene al mio corpo”.

 

Te la senti di parlarmene? 

 

“Sì, sono stata una di quelle ragazze che ha avuto problemi di anoressia, bulimia e depressione e che passano anni con la testa nel gabinetto a causa dei disturbi alimentari. La mia vita sembra una tragedia, ma sono stata più forte di quello che pensavo, sono riuscita a sopravvivere, a diventare mamma, non mi sono lasciata tentare dalla pericolosa scorciatoia della droga. Per me è motivo di grande orgoglio».

 

Tua madre, poi, ha sposato Raoul Gramellini, padre del giornalista Massimo Gramellini, che è stato dunque il tuo fratellastro. 

 

rocco siffredi benny green

«Sì, vivevo con mia madre, Raoul e Massimo Gramellini. Raoul era un uomo di tutto rispetto, all'antica, mi ha insegnato il bon ton. Mi ha dato anche una cultura. Ho frequentato un collegio francese e seguivo mia madre e suo marito nei viaggi di lavoro. Sono stati insieme fino a quando lui si ammalò di un brutto male. Non ha superato questa malattia e mia madre si è ritrovata vedova».

 

Dopo la morte del padre, avete mantenuto un rapporto con Massimo Gramellini?

 

«I rapporti tra lui e mia madre si sono interrotti nel momento del decesso di Raoul Gramellini, un po' come da manuale. Dissapori dati dal fatto che non ci fosse una parentela diretta e da interessi comuni. Poi gli anni sono andati avanti, io mi sono fatta la mia vita, lui si è stabilito a Roma, si è risposato e ha proseguito con la sua, ma conservo dei bei ricordi».

 

 

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Crescendo, hai iniziato a lavorare come bancaria. Un’esperienza lavorativa durata oltre quindici anni. Secondo quanto racconti, però, sul lavoro avresti subito delle vessazioni. 

 

«Considera che due mesi dopo essere stata assunta, ero già caduta in piena anoressia. Quando ho iniziato avevo 22 anni, mi sono gettata a capofitto nel lavoro, ho fatto un corso di studi di economia, perché volevo fare la mia parte. Poi, è iniziato il mobbing, le richieste di post cena, colleghi che mi dicevano: "Vieni nell'archivio con me", "Accompagnami in hotel", “Raggiungimi in bagno”. Mi chiedevano di fare sesso a tre con le loro mogli. Anche se andavo nella stanza accanto a far firmare un documento, i soliti colleghi si riunivano e dicevano: "Io ti metterei sul tavolo", “Baciami”, si abbassavano i pantaloni. Sempre le stesse scene, un direttore di zona mi disse persino: “D’Anna, le colleghe si sentono offese dalle sue gambe”».

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Immagino che psicologicamente non sia stato facile reggere quella pressione. 

 

«Mi sono chiusa nel mio misero cosmo. La mia casa, i miei gatti, i miei figli, una relazione che c'era e non c'era e ho portato avanti la vita così, con un'insoddisfazione colossale. Era un ambiente lavorativo pesante, dequalificante, in cui avevo capito che non ci sarebbe stato alcuno sbocco per me. Alla cassa sono stata presa, alla cassa sono stata lasciata. A quel punto mi sono scocciata».

 

E hai iniziato a muovere i primi passi nel mondo dell'hard. Una passione nata guardando i film di Tinto Brass. 

 

«Sì, da lì ho iniziato a sviluppare una certa curiosità verso il fascino femminile e ho capito che quello poteva essere il mio potere, non una vergogna. Il mio terapista diceva: "Lei utilizza il suo fascino come forma di vendetta verso l'uomo che l'ha tradita da bambina". Può essere. Ma i soldi erano pochi, io ero sola con un mutuo e dei figli e ho iniziato a posare come modella di nudo, da lì sono passata alla piattaforma OnlyFans. Quel momento ha segnato la rottura con quello che ero prima, una ragazza impaurita dal giudizio di sua madre».

 

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In effetti, tua madre non prese bene questa tua svolta a luci rosse.

 

Si è chiusa in casa, perché in quella fase è stata additata, esclusa, emarginata, come se io fossi l'onta del peccato e della vergogna. Riceveva anche messaggi spiacevoli che contenevano le mie foto.

 

Ti è capitato di fartene una colpa?

 

«No, perché mi ha creato tanti di quei problemi nella vita… Anzi, mi sono detta: "Finalmente mi sono affrancata da questo ruolo di schiava psicologica nei suoi confronti". Ho detto basta, pensa quello che ti pare. La mia immagine frivola non fa percepire quello che ho vissuto. Sono stata lasciata in mezzo a una strada un sacco di volte, vinta nelle crisi della mia malattia psicologica. E ho superato tutto da sola. In quelle fasi, mia madre mi chiudeva la porta in faccia. Non voglio vendetta, non voglio farle del male, mi sta bene che ora sia presente nella mia vita, però non posso dire di avere avuto un rapporto idilliaco con lei».

 

A un certo punto, hai iniziato ad affiancare al lavoro in banca quello di performer nei club. I tuoi superiori lo hanno scoperto e non l’hanno presa bene.

 

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«Ero in malattia e non sono più riuscita a rientrare a lavoro, avvertivo un clima estremamente pesante. Tutti parlavano di queste mie situazioni, c'erano clienti e colleghi iscritti alla mia piattaforma. Poi, mi è arrivata una mail, tramite la quale mi convocavano. Mi sono presentata con il mio avvocato, anche se non volevano che ci fosse. In quell'incontro mi è stata data una lettera di ammonimento, in cui erano elencate tutte le mie pagine Instagram e OnlyFans con il copia e incolla, c'erano persino le emoticon e le descrizioni dei miei video hot, una bassezza infinita. Il mio avvocato, poi, è stato preso da parte e gli hanno detto: "Se la signora se ne andasse garbatamente, potremmo firmare un accordo che convenga ad entrambi". Cosa che non ho fatto, perché non avevo intenzione di dimettermi. A quel punto mi sono sentita autorizzata a intraprendere liberamente anche il lavoro di porno attrice e dopo poco mi è arrivata una lettera di licenziamento»

 

Cosa hai provato quel giorno?

 

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«Da una parte ero triste perché avevo legato a quel lavoro tutto ciò che ero, era come salutare il mio passato. Ma ho anche provato un grande senso di liberazione, soprattutto psicologica. Mi rendeva orgogliosa avere avuto il coraggio di fare una scelta che andasse contro mia madre, senza avere paura e senza cadere di nuovo nella depressione che mi aveva colpito da ragazzina»

 

Come è nato il nome d’arte Benny Green?

 

«Nell'agenzia con cui lavoravo ai tempi, mi chiesero di scegliere un nome d'arte. Le altre ragazze avevano cognomi come Blue, Brown e a me è venuto in mente che ho gli occhi verdi e quindi Green. Da lì Benny – diminutivo di Benedetta, il mio nome – Green. Ad oggi mi sembra una gran porcheria (ride, ndr). Ha lo stile della telenovela, se dovessi sceglierlo ora direi solo Benedetta»

 

Sei reduce da un progetto con Rocco Siffredi, che ancora oggi è considerato la star indiscussa del mondo del porno. C’è qualcosa che ti ha stupito nel suo modo di lavorare e di approcciarsi alle scene di sesso?

 

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«Girare con Rocco è diverso da ogni tipo di set, quando me l’ha proposto ero lusingata, non mi sembrava vero. Devo dire che non sapevo che lui la vivesse in modo così totalizzante. I suoi set non hanno un inizio e una fine come normalmente succede, non sono meccanici. La frase che dice sempre prima di iniziare è: "Ok guys, let's do sex, enjoy". Intende dire che non stiamo girando una scena, ma che dobbiamo divertirci a fare quello. Mi ha stupito questo suo approccio».

 

Molte attrici hanno raccontato di avere vissuto con soggezione la prima scena con Rocco Siffredi, è stato così anche per te?

 

«Pensavo che tra le sue braccia mi sarei sentita una ragazzina cretina e invece no, assolutamente. È molto empatico all'inizio della scena, quindi nessuna soggezione. Poi, io ci metto molta precisione, sono una perfezionista, voglio dare il meglio perché sono esigente con me stessa. Lui rimane un amico, un grande professionista, si spera di fare altri progetti insieme».

 

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Mediamente quanto guadagnavi al mese come impiegata di banca?

 

«1400 euro al mese».

 

Ora che il tuo lavoro è fare la performer e la pornoattrice, immagino che i guadagni siano superiori.

 

«Le scene vengono pagate singolarmente anche 1500 euro, poi guadagno sulla vendita dei miei film, con OnlyFans e poi con i miei cachet quando faccio la performer nei weekend. Prendi lo stipendio che avevo prima e moltiplicalo per sette o otto più o meno. Certo, il lavoro di bancaria avrei potuto portarlo avanti fino ai 75 anni, anche con le stampelle, adesso faccio una professione che va avanti con la mia immagine, che deve essere gradevole. Avrà una durata inferiore, ma spero prosegua dietro le quinte, sempre nel campo delle produzioni. Inoltre, porterò avanti una mia collezione di intimo».

 

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Hai tre figli di 11, 10 e 5 anni, nati da due diverse relazioni, entrambe ormai finite. Che mamma sei con loro?

 

«Sono una maniaca dell'ordine e una madre molto…militare. Da un lato sono severa, ma dall’altro sono anche quella che canta in auto con loro e li aiuta a fare i TikTok. Loro sanno tutto sulla mia professione. In termini ovviamente adeguati alla loro età. Lo vivono con curiosità. A volte mi dicono: "Ma allora mamma tu sei famosa!". Io, in fondo, sono un'attrice, quello che faccio non ha nulla a che vedere con la mia vita intima, che è proprio diversa. Sul lavoro sono una performer che interpreta un ruolo».

 

Qual è l’insegnamento che vorresti trasmettere ai tuoi figli con il tuo esempio?

 

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«Vorrei imparassero a non giudicare le persone, ad avere il coraggio delle loro scelte e che comprendessero che la nudità non è una colpa. Siamo nati nudi, vorrei non vedessero malizia nelle cose che non la contemplano. E poi trovo fondamentale l'onestà mentale, se posso trasmettergli questo, qualsiasi scelta facciano un domani sarò soddisfatta».

 

Cosa consiglieresti ai giovani che iniziano ad approcciarsi al sesso?

 

«Il sesso occasionale non è sicuro. Il preservativo non è sufficiente, occorre abituarsi a schermarsi facendo più controlli. Fare esami, che nel nostro ambiente ormai consideriamo di routine, significa non diffondere infezioni e malattie. Noi attori facciamo sesso solo in questa maniera, in modo totalmente sicuro. Non si può girare se non sono stati fatti i controlli e non sono risultati perfetti».

 

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Per concludere, c'è un segreto che ti riguarda, che i tuoi ammiratori sarebbero sorpresi di sapere?

 

Sto riflettendo sul fatto di avere una fidanzata e non più un fidanzato. Mi è già capitato di avere relazioni con donne. Il rapporto tra uomo e donna, nel quotidiano, lo vivo molto male. Non mi ritrovo. Sono vecchio stampo, i rapporti senza regole, molto free, che vedo nella vita quotidiana, non mi rispecchiano. Sono fedele. Anche quando vado a girare o faccio gli spettacoli, la mia testa resta sempre e comunque a un solo uomo. Tutti pensano che chi fa il mio lavoro regali sesso in giro per la città o che non ci basti mai. Ma non è così. Una cosa però devo dirla».

 

Prego.

 

«Dopo avere iniziato a fare la porno attrice, sono diventata sessualmente più esigente. Il mio uomo ideale deve essere nero o mulatto. Non c'entra niente ciò che si dice sul fatto che siano superdotati, anche se visivamente non guasta. A me gli uomini neri piacciono da morire. Quindi il mio prossimo amore sarà un uomo nero o una donna, ma non un italiano».

 

Come mai escludi gli italiani?

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«In genere si avvicinano a me chiedendomi se io faccia sesso a pagamento. Non giudico chi lo fa, ma non è il mio caso. L'italiano mi continua a deludere».

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