“HO PRESO SETTE BOCCETTINE DI METADONE, VOLEVO SUICIDARMI” – VIZI, ECCESSI E DOLORI DI ACHILLE COSTACURTA, FIGLIO DELL'EX CALCIATORE BILLY E DI MARTINA COLOMBARI, CHE SI RACCONTA AL PODCAST “ONE MORE TIME”: “HO INIZIATO A FUMARE A 13 ANNI, AL COMPLEANNO DEI 18 HO PROVATO LA MESCALINA. UNA VOLTA HO FATTO IL MATTO SU UN TAXI. IL POLIZIOTTO ARRIVA, MI TIRA UN PUGNO IN FACCIA, IO ERO ALLUCINATO QUINDI L’HO SPACCATO DI LEGNATE. LÌ DOPO POCO MI FANNO IL PRIMO TSO, ME NE HANNO FATTI 7 IN UN ANNO” – “HO VISTO PIANGERE MIO PADRE QUANDO GLI CHIEDEVO DI ANDARE A FARE L’EUTANASIA PERCHE’ NON PROVAVO PIU’ NULLA…”
Estratto dell’articolo di Simona Marchetti per www.corriere.it
martina colombari achille costacurta
Il doppio arcobaleno che ha visto uscendo dalla clinica in Svizzera - dov’era ricoverato per aver abusato di sostanze in Colombia - e l’abbraccio a papà Billy che era andato a prenderlo per riportarlo a casa rappresentano il simbolo della rinascita di Achille Costacurta che oggi, a 21 anni, è un ragazzo nuovo.
«Ho iniziato a fumare a 13 anni, al compleanno dei 18 ho provato la mescalina - racconta il figlio di Martina Colombari e di Alessandro Costacurta ai microfoni di Luca Casadei per il podcast “One More Time” -. Una volta ho avuto una colluttazione con la polizia. Ero sotto effetto e ho fatto il matto su un taxi.
Il poliziotto arriva, mi tira un pugno in faccia, io ero allucinato quindi l’ho spaccato di legnate. Lì dopo poco mi fanno il primo TSO, me ne hanno fatti 7 in un anno. Il problema era che, quando me l’hanno fatto a Padova, perfetti, gentilissimi, a Como lo stesso, a Milano invece ho trovato due dottori cattivissimi, che non voglio nemmeno nominare, che mi hanno legato al letto per tre giorni, perché gli ho dato un colpo sulla spalla. Urlavo che mi serviva il pappagallo, io ero legato, mani e piedi, tutto, e mi dovevo fare la pipì addosso».
La svolta è stato il ricovero in Svizzera. «Quando sono arrivato in clinica mi hanno detto: “Se fossi stato fuori altri 10 giorni saresti morto” perché hai il cuore a riposo a 150 battiti (..).
La Svizzera da così a così, ti dicono: “Tu sei qua e puoi scegliere, se ti vuoi drogare c’è la strada, puoi andare e puoi fare quello che vuoi, vai. Se tu invece hai bisogno di una mano, vieni qua e noi ti aiutiamo”. Mi hanno fatto cambiar vita, grazie a loro io non mi drogo più. Il loro approccio ti fa capire veramente le cose importanti. Li ringrazierò per tutta la vita».
Lo scorso maggio in quella stessa clinica svizzera gli hanno diagnosticato per la prima volta l’ADHD (il Disturbo da deficit di attenzione/iperattività, ndr) e questa diagnosi è servita a lui, ma anche ai suoi genitori.
«A scuola non riuscivo a stare fermo, i professori non capivano, e nessuno mi aveva diagnosticato l’ADHD - continua Achille - . In Svizzera invece lo hanno capito senza farmi fare test: “Tu ti volevi auto-curare con la droga”. Ed era vero. Da quando i miei hanno fatto anche loro un corso genitoriale per la ADHD, il nostro rapporto è cambiato da così a così. Prima, in casa, quando litigavamo, io andavo fuori, spaccavo le porte. Da lì non è mai più successo, perché loro sanno come dirmi un no».
achille billy costacurta martina colombari
Per mamma Martina e papà Billy vedere il figlio stare così male e non sapere come aiutarlo è stato uno strazio e ora Achille ne è consapevole. «Mia mamma ha pianto tanto. Mio papà l’unica volta che gli ho visto scendere una lacrima, piangere mai, è stato quando mi hanno proprio portato via da un posto vicino a casa nostra - ricorda il ragazzo - . Invece l’ho visto piangere per me quando mi avevano fatto il depot e io tutti i giorni gli chiedevo di andare a fare l’eutanasia, perché non avevo più emozioni e volevo morire. E lì sì, l’ho visto piangere».
Uno dei passaggi più intensi e drammatici dell’intervista è stato il racconto del tentativo di suicidio a 15 anni e mezzo, mentre era in comunità. «Ho iniziato a spacciare fumo. Arrivata la quarantena, tutti chiusi in casa, fumo non ce n’è. A me riusciva ad arrivare comunque tramite dei canali, avevo creato una rete e mi hanno arrestato a 15 anni e mezzo.
Quindi faccio il mio primo compleanno dei 16 anni lì, centro penale, comunità terapeutica. Non ce la facevo più, aspetto la notte quando c’è un solo operatore ed entro in ufficio, lo distraggo e prendo le chiavi dell’infermeria. Lo chiudo dentro l’ufficio, lui con le sue chiavi riesce a uscire. Io però nel frattempo ero già in infermeria e prendo tutto il metadone che c’era, sette boccettine, mi chiudo in bagno e le bevo tutte, volevo suicidarmi.
Arrivano i pompieri e sfondano la porta, poi l’ambulanza. Nessun medico ha saputo dirmi come io sia ancora vivo, perché l’equivalente di sette boccettine di metadone sono sui 35, 42 grammi di eroina. La gente muore con un grammo».
Oggi Achille è un ragazzo diverso ed è lui il primo a rendersene conto. «Sono fiero di me, del fatto che sono riuscito ad avere una certa consapevolezza. Tutti i miei traumi sono riuscito a buttarli giù. Non ho filtri, non mi vergogno di quello che mi è successo, perché alla fine sono una persona normale. Ho imparato a non dimenticare quei traumi, ma a farne tesoro [...]
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