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ISTRUZIONI PER L’USO SUL COLESTEROLO - E’ VERO CHE PIÙ È BASSO E MEGLIO È? FA PIÙ MALE UNA PIZZA MARGHERITA O UNA BISTECCA ALLA GRIGLIA? - ECCO IL NUOVO STUDIO SU DIETE E ALIMENTAZIONE CON I CONSIGLI PER SALVAGUARDARE CUORE E ARTERIE 

1 - COLESTEROLO: ISTRUZIONI PER L' USO

Elisa Manacorda per “la Repubblica”

 

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Fa più male una pizza margherita o una bistecca alla griglia? Nella eterna controversia sulla dieta migliore per salvaguardare cuore e arterie, grassi e carboidrati si sfidano ancora una volta, scardinando quelle poche certezze che credevamo di avere.

 

Secondo i ricercatori dello studio Pure, presentato al congresso della Società europea di cardiologia (Esc), le linee guida internazionali sono troppo severe nei confronti dei primi, e troppo accondiscendenti verso i secondi.

 

«Limitare l' assunzione di grassi non migliora la salute. Maggiori benefici si avrebbero riducendo l' apporto dei carboidrati al di sotto del 60 per cento dell' energia totale, e aumentando l' assunzione di grassi totali fino al 35 per cento», ha detto Mahshid Dehghan, ricercatrice del Population Health Research Institute della McMaster University, in Canada, e tra gli autori dell' analisi. Questo, avvertono i cardiologi, non comporta lo sdoganamento dello strutto in cucina, ma riposiziona i pesi sulla bilancia della corretta nutrizione.

 

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Se sull' alimentazione la partita è aperta, su una cosa i cardiologi sono d' accordo: il colesterolo - in particolare quello cosiddetto cattivo, l' Ldl, - è alla base del processo di formazione delle placche nelle arterie ed è il principale responsabile di infarto, ictus o malattie vascolari periferiche, che rappresentano la principale causa di morte in Italia e nel mondo. Livelli elevati di colesterolo, soprattutto fin da giovani, aumentano questo rischio.

 

Ma per tenere sotto controllo il grasso "cattivo" la dieta e lo stile di vita arrivano fino a un certo punto: «I livelli di colesterolo nel sangue sono influenzati da fattori genetici e ambientali, e molto spesso è l' interazione tra questi a determinarne i valori», spiega Alberto Zambon, lipidologo che insegna Medicina interna all' università di Padova. E dunque, «fare attività fisica di tipo aerobico - per esempio camminata a passo veloce per almeno 30 minuti al giorno - consente di ridurre sia i livelli di colesterolo che di trigliceridi, ma in particolare di aumentare in modo significativo i livelli di colesterolo Hdl», continua Zambon. Fumare, al contrario, danneggia il rivestimento cellulare delle arterie (l' endotelio) facilitando la malattia cardiovascolare.

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E smettere di fumare può contribuire ad innalzare i livelli di colesterolo Hdl, che nei fumatori sono più bassi. Quando però si parla di ipercolesterolemia familiare, che colpisce circa 1 italiano su 300, caratterizzata da colesterolo totale sopra i 300 milligrammi per decilitro e Ldl superiore a 200 mg/dL, oltre a migliorare dieta e stile di vita sono necessari i farmaci.

 

Ma quali sono i livelli ottimali? I cardiologi riuniti a Barcellona sollevano un primo dubbio: i livelli considerati "normali" dai diversi laboratori di analisi possono differire tra loro, e sarebbe necessario intervenire per renderli omogenei. Un' altra questione riguarda invece il target di Ldl per i pazienti "a rischio estremo", ovvero chi ha già avuto un evento cardiovascolare (infarto, ictus), o con diabete di tipo 2 e fattori di rischio aggiuntivi, come l' ipertensione. Oggi le linee guida consigliano di restare sotto i 70 mg/dL.

 

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«Ma è necessario rivedere questo limite per abbassarlo ulteriormente - commenta Pasquale Perrone Filardi, professore di Malattie dell' apparato cardiovascolare all' università Federico II di Napoli - alcune società scientifiche, per esempio quella canadese, lo hanno già portato a 50, e dovremmo ritenerlo dato acquisito nella pratica clinica». Chi ha invece un rischio alto, cioè chi non ha avuto un evento cardiovascolare ma ha livelli di colesterolo superiori ai 300 mg/dL, o è ipertesi (pressione arteriosa oltre 180/110 mmHg), o ha una malattia renale cronica moderata oppure diabete ma non ha altri fattori di rischio, i valori consigliati sono leggermente più alti: l' Ldl deve essere inferiore a 100 mg/dL. Infine, nella terza e quarta categoria di rischio (moderato o basso), ci si può tenere al di sotto dei 115 mg/dL.

 

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Per capire se le arterie sono in pericolo basta un' analisi del sangue. «Il colesterolo alto - dice infatti Zambon - non dà sintomi: è un killer silenzioso ma molto efficace ». Si fa sentire solo quando ha già prodotto i suoi danni, con quelle manifestazioni tipiche dell' infarto (dolore toracico spesso dopo sforzi fisici), dell' ictus cerebrale (ad esempio alterazioni temporanee o permanenti della forza o della sensibilità a braccia o gambe, l' incapacità improvvisa di parlare e interagire con l' ambiente circostante), o delle malattie delle arterie periferiche (crampi alle gambe dopo una camminata più o meno lunga che migliorano con il riposo, e ricompaiono per sforzi di una certa entità).

 

Dunque prima che sia tardi - continua l' esperto va valutato il profilo lipidico completo: colesterolo totale, Ldl e Hdl, trigliceridi. Negli uomini sopra i 40 anni e nelle donne sopra i 50. Se tutto è nei limiti, va monitorato ogni 5 anni circa. Ma se ci sono i primi campanelli d' allarme, se c' è una malattia cardiovascolare o si è in terapia con farmaci per il colesterolo, conclude Zambon, il profilo lipidico va monitorato almeno una volta l' anno.

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2 - SARÀ VERO CHE PIÙ È BASSO E MEGLIO È?

Da “la Repubblica”

 

Peter Sever, farmacologo clinico all' Imperial College di Londra, non ha più dubbi. «The lower, the better», ripete ai cardiologi europei riuniti a Barcellona. Più basso è, meglio è. Sever parla del colesterolo Ldl, che oggi una nuova categoria di farmaci appare in grado di ridurre a livelli impensabili fino a qualche anno fa: sotto i 20, addirittura 15 milligrammi per millilitro di sangue.

 

Sono anticorpi monoclonali come evolocumab e alirocumab, che aumentano la capacità del fegato di eliminare il colesterolo Ldl. «Praticamente una delipidizzazione - commenta Gaetano De Ferrari, cardiologo al Policlinico San Matteo di Pavia - con quantità simili, se non più basse, a quelle che si riscontrano nei neonati». Ma se Sever ha bisogno di ripetere questo mantra ai suoi colleghi, significa che qualche dubbio c' è.

 

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In effetti, livelli troppo bassi di Ldl sono stati spesso associati ad aumentato rischio di cancro, insorgenza di ansia e depressione, maggiore vulnerabilità alle malattie infettive. Ma non solo: a generare le principali preoccupazioni sono gli effetti che questa riduzione importante potrebbe avere sulle funzioni cognitive, visto che il colesterolo è un componente fondamentale delle membrane cellulari (neuroni compresi), e la sua quasi assenza potrebbe generare difficoltà di memoria o altri problemi mentali.

 

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Per questo il tema è stato affrontato da diversi studi che mirano a valutare, accanto all' efficacia, anche la sicurezza di queste nuove molecole, e capire se sia possibile una vita a "colesterolo zero", o quasi.

 

Secondo uno studio basato sull' analisi di dati rinvenuti nella letteratura scientifica sull' argomento pubblicata lo scorso giugno sul Journal of Internal Medicine, la barriera emato-encefalica che impedisce il passaggio degli elementi nocivi dal sangue al cervello proteggerebbe le cellule del sistema nervoso centrale dagli effetti dei farmaci anti-colesterolo. Sul New England Journal of Medicine, invece, i ricercatori guidati da Robert Giugliano del Brigham and Women' s Hospital di Boston hanno mostrato come uno dei farmaci, evolocumab, non abbia più effetti sulle funzioni cognitive rispetto al placebo.

 

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«Il dato - spiega de Ferrari - conferma quello che abbiamo osservato in una famiglia con livelli bassissimi di colesterolo Ldl sin dalla nascita per un difetto genetico». Un padre e i suoi due figli che non hanno mai mostrato alcuna difficoltà di memoria o altri problemi neurologici.

 

È vero, continua il cardiologo, nascere con livelli molto bassi di Ldl è diverso che ridurli nel corso della vita. Ed è anche vero che gli studi portati a sostegno della sicurezza di evolocumab sotto questo profilo hanno durata limitata, poco meno di due anni. Per questo, anche in assenza di evidenti segnali di allarme, è bene proseguire gli studi per capire gli effetti a lungo termine. 

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