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"FACCIAMO SESSO A TRE, DAI": LO STUPRO DEL FIGLIO E DEI “NIPOTINI” DEL PENTITO DI CAMORRA A MILANO – NEL CORSO DI UNA NOTTATA DI BALLI ALL’IDROSCALO UNA 22ENNE RACCONTA DI ESSERE STATA STORDITA DA UNO STUPEFACENTE SCIOLTO IN UN BICCHIERE. LA RAGAZZA E' STATA RIPRESA CON UN CELLULARE DURANTE LE VIOLENZE- UNO DEI RAGAZZI NON NEGA IL RAPPORTO SESSUALE MA DICE CHE…

Andrea Galli per corriere.it

 

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«Facciamo sesso a tre, dai». L’avevano avvicinata nel corso della nottata di balli alla discoteca «Papaya», all’Idroscalo, nella notte tra il 4 e il 5 agosto. Lei, una 22enne residente nell’hinterland, si era allontanata. Gli sconosciuti erano un 26enne, un 31enne e un 17 enne; l’avevano di nuovo agganciata più tardi, sempre all’interno del locale, l’avevano costretta a bere, secondo il racconto della ragazza, forse l’avevano drogata, poi avevano approfittato del suo stato di debolezza estrema per «convincerla» a salire in macchina e raggiungere un appartamento dove sarebbe stata ripetutamente violentata dal terzetto. I fatti risalgono all’estate del 2018.

 

Adesso i carabinieri hanno arrestato i due maggiorenni mentre del terzo, che in più durante le violenze aveva fotografato con il cellulare, si occupa il Tribunale dei minori. Quelli in manette sono il 32enne Antonio M., un pentito, e il 26enne Francesco F. , figlio di una collaboratrice di giustizia. Entrambe le situazioni riguardano storie di camorra a Napoli e nel Casertano. I tre erano a Milano per trascorrere dei giorni di divertimento, appoggiandosi a un’abitazione, in uso ad Antonio M.; l’inchiesta è stata coordinata dal procuratore aggiunto Letizia Mannella e dal pm Rosaria Stagnaro.

 

La visita alla clinica Mangiagalli aveva riscontrato ecchimosi varie sul corpo del diametro anche di cinque centimetri, confermando, come la vittima aveva verbalizzato con i carabinieri, che l’avevano tenuta ferma, con forza, durante i lunghi minuti delle violenze. Quanto invece alla «rilevata mancanza di lesioni» direttamente provocate dallo stupro, nell’ordinanza cautelare il gip Anna Magelli scrive che questa circostanza non è «affatto significativa dell’esclusione di rapporti sessuali subìti».

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Gli investigatori avevano da prima ascoltato due amici della 22enne, i quali l’avevano accompagnata al «Papaya» e avevano detto che s’era allontanata con un ragazzo a loro ignoto, senza per la verità preoccuparsi. Avevano fornito scarni elementi descrittivi, come aveva fatto la stessa vittima, che a causa dello stordimento, del terrore e del successivo stato di choc, aveva «dimenticato» la maggioranza dei dettagli. Si ricordava soltanto di un nome di battesimo, di uno dei tre che aveva riferito d’essere della Campania. La lunghezza temporale delle indagini, oltre un anno, conferma la difficoltà iniziale degli inquirenti, privi di basi dalle quali partire.

 

C’è voluto un paziente lavoro dei carabinieri, che sono riusciti a isolare il profilo, compatibile con quello di uno degli aggressori, utilizzando anche Facebook. La comparazione delle fotografie, con intanto l’acquisizione di dati attraverso i tabulati telefonici, aveva consentito di identificare un violentatore, e da lì di allargare la ricerca. Fino, per appunto, all’individuazione completa degli stupratori. L’avvocato Nello Sgambato, difensore di Francesco F., interrogato ieri mattina, riferisce che l’assistito non nega per niente i rapporti con la 22enne, ma esclude tassativamente che non siano stati consenzienti. Sul tema dell’operazione di stordimento, la vittima aveva detto che il 17enne aveva preso il bicchiere che aveva nelle mani, aveva bevuto un sorso, si era voltato dandole le spalle e si era girato restituendo il bicchiere dopo aver sciolto una sostanza stupefacente. La ragazza aveva bevuto e immediatamente «non avevo capito più nulla». L’avevano trasportata nel palazzo, del quale «ricordo solo le pareti rosse dell’ascensore e un divano blu dentro la casa» e l’avevano violentata, fissando memoria dello stupro nella galleria delle immagini sul cellulare.

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NEL BRANCO DI STUPRATORI IN DISCO IL FIGLIO E I «NIPOTINI» DEL PENTITO DI CAMORRA

Mary Liguori per Ilmattino.it

 

Campava, nel 2018, con i mille euro dello Stato perché suo padre, Francesco Massaro, è un pentito della camorra casertana. Era, in quel periodo, inserito nel programma di protezione previsto per i collaboratori di giustizia e viveva in Lombardia. Nell’agosto del 2018 Antonio Massaro, trentadue anni, originario di San Felice a Cancello, ex fortino del clan capeggiato un tempo da suo padre, ha stuprato una 23enne di Milano insieme ai suoi cugini Francesco Ferrara, 25 anni, e Luigi Nappa, 19 anni compiuti tre giorni fa, e quindi minorenne all’epoca dei fatti. È il gip Anna Magelli del tribunale ambrosiano a ricostruire nell’ordinanza spiccata proprio nel giorno del compleanno del minore dei tre indagati, la vicenda che li ha avuti per protagonisti. Pagine fitte di orrore, quelle messe insieme dal pm e vidimate dal gip. Pagine che ripercorrono una notte da incubo durante la quale Cristina (il nome è di fantasia) sarà stuprata per due volte dal branco, umiliata, filmata, derisa. 

 

 

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Dei tre indagati, la vittima conosceva solo Francesco Ferrara. «Avevo una simpatia per lui e quando ci incontrammo al Papaya di Segrate, quella sera, ci baciammo anche». Poi arrivarono gli altri due «che non avevo mai visto e il più grande mi disse: “ti va di fare una cosa a tre?”. Risposti subito di no. Poco dopo, quello che disse di chiamarsi Luigi mi offrì un cocktail ma prima di darmelo si girò di spalle: dopo averlo bevuto ebbi la sensazione di essere sballata, di non avere il pieno controllo di me». Forse le fecero ingerire l’Mda, la cosiddetta droga dello stupro. Ferrara, difeso dall’avvocato Nello Sgambato, durante l’interrogatorio di garanzia si è difeso dicendo che il «rapporto a tre c’è stato, che Luigi armeggiava col cellulare durante il sesso» ma ha sostenuto «che lei era consenziente». Dicono altro i referti medici, il racconto dei testimoni che hanno visto la vittima la notte dei fatti. Dice altro Cristina che ha detto di essersi opposto a morsi, schiaffi, pugni dai tre aggressori che però l’hanno sopraffatta approfittando di lei a turno, per due volte. «Quando sono uscita dal Papaya mi sono resa conto che i miei amici erano andati via - ha detto - Francesco mi ha offerto un passaggio e ho accettato perché lo conoscevo già. Ma non mi hanno portata a casa, siamo andati in un appartamento che non so di chi fosse». Era casa di uno dei tre indagati. «Su un divano blu mi hanno violentata a turno, mentre Luigi rideva e riprendeva tutto con un cellulare. Io piangevo, scalciatìvo, ho dato anche un morso a uno di loro. È stato tutto inutile. Quando hanno finito, in lacrime, ho chiesto di essere portata a casa». I tre sono saliti in macchina con la ragazza. «Era un’auto rossa», dirà poi la giovane ai carabinieri di Cassano D’Adda, due giorni dopo, nel corso della denuncia che ha dato il via alle indagini. Ma neanche a quel punto il branco si è fermato. «Prima di arrivare a casa mia, hanno parcheggiato per strada, mi hanno costretta a scendere e Francesco mi ha di nuovo stuprata sul cofano della macchina. Gli alti due lo hanno aiutato e anche questo è stato filmato da Luigi». Cristina è stata poi scaricata fuori casa. Ha chiamato un amico, il giorno dopo i carabinieri, diretti dal capitano Giuseppe Verde, hanno raccolto la denuncia. Sono partite le indagini sfociate negli arresti di tre giorni fa. 

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Sono tutti in carcere, ora. Il figlio del pentito, che ha a sua volta precedenti per camora, qualche mese fa è uscito dal programma di protezione. Ferrara ha precedenti per risse e lesioni. Nappa pare sia incensurato. Ma se le gravi accuse che per lui sosterrà la Procura dei minori saranno confermate nelle successive fasi giudiziarie, affermare che ha iniziato la tradizione di famiglia con uno sprint di partenza straordinario, non è un azzardo.

 

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