giuseppe salvatore riina

“MIO PADRE HA COMBATTUTO IL SISTEMA” - LA VERGOGNOSA INTERVISTA A GIUSEPPE SALVATORE RIINA, FIGLIO DI TOTÒ, IL CAPO DEI CAPI DI COSA NOSTRA, CHE NEL PODCAST "LO SPERONE" SPROLOQUIA E SI BECCA PURE L’APPLAUSO: “ERA UN UOMO CON LA U MAIUSCOLA. SERIO, ONESTO, MANTENEVA LA PAROLA DATA E PENSAVA ALLA SUA FAMIGLIA. NON L’HO MAI VISTO COMPIERE UN ATTO DI VIOLENZA O TORNARE A CASA CON UNA PISTOLA IN MANO E SPORCO DI SANGUE. NON HA MAI ORDINATO L’OMICIDIO DEL PICCOLO GIUSEPPE DI MATTEO. GIOVANNI FALCONE? QUANDO L’HANNO AMMAZZATO, NON DAVA PIÙ FASTIDIO ALLA MAFIA O A TOTÒ RIINA, MA AD ALTRI DIETRO LE QUINTE. L’ANTIMAFIA? UN CARROZZONE COMPOSTO DA GENTE CHE HA BISOGNO DI STARE SOTTO I RIFLETTORI…”

 

Estratto dell'articolo di Lara Sirignano per www.corriere.it

 

giuseppe salvatore riina

Gli piace far parlare di sé, ama le provocazioni. E in questo non somiglia affatto a suo padre che, sotto i riflettori, decisamente non amava stare. Dopo i post amorevoli sul più noto genitore e dopo averne messo all’asta i ritratti, incassando decine di commenti entusiasti, Giuseppe Salvatore Riina, figlio di Totò capo dei capi di Cosa nostra, rientrato a Corleone dopo aver scontato una condanna a 8 anni per mafia, torna alla ribalta per una intervista a Lo Sperone Podcast. Ovviamente, come in passato, nelle parole del rampollo del padrino non c’è traccia di critica verso la famiglia né di ravvedimento per i crimini per cui è stato in galera. Anzi.

arresto totò riina

 

“Mio padre non ha mai ordinato l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo. Giovanni Falcone, quando l’hanno ammazzato, non dava più fastidio alla mafia o a Totò Riina, ma ad altri dietro le quinte», sentenzia davanti agli speaker Gioacchino Gargano e Luca Ferrito che lo accolgono con un applauso.

 

«L’antimafia è un carrozzone composto da gente che ha bisogno di stare sotto i riflettori e a dimostrarlo sono i casi della giudice Silvana Saguto e dell’imprenditore Antonello Montante, antimafiosi di facciata», dice severo... In nome del «libero pensiero e della democrazia» al figlio del boss si chiede un parere un po’ su tutto. A cominciare, ovviamente, dal padre. «Era un uomo con la u maiuscola. Una persona che ha sempre combattuto il sistema. Serio, onesto, manteneva la parola data e pensava alla sua famiglia. Non l’ho mai visto compiere un atto di violenza o tornare a casa con una pistola in mano e sporco di sangue», risponde, serio, Giuseppe Salvatore, incurante delle decine di ergastoli collezionati dal boss.

GIUSEPPE RIINA

 

E gli speaker lo fanno parlare, contribuendo a dipingere un Totò Riina impegnato a combattere contro le ingiustizie del latifondo e vittima di un contesto povero e violento. La versione della storia che Cosa nostra da sempre cerca di propinare.

«È stato arrestato perché dava fastidio, così come a un certo punto hanno dato fastidio Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro, perché erano malati e non servivano più in quello Stato a quelli che detenevano veramente il denaro della mafia»  

 

toto riina

[…]«Perché come i piccoli palestinesi, ho vissuto sempre cose fossi in perenne emergenza. Anche se, quando dovevamo scappare da un rifugio all’altro con papà, per me era come una festa perché conoscevo posti nuovi e gente nuova. D’altra parte non mi è stato mai proibito di uscire di casa. Sono pure nato nella clinica Noto, la più famosa di Palermo, col nome e cognome di mio padre. E tutti lo sapevano», racconta quasi compiaciuto parlando dei 24 anni di latitanza del padrino di Corleone.

giuseppe salvatore riina

 

Nella lunga chiacchierata non manca il cenno a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i due magistrati trucidati da Riina e dai vertici di Cosa nostra. Ma con le bombe del ’92 il padre, ripete, non c’entra nulla. I mandanti sono altri, balbetta, «forse qualcuno che voleva fermare le indagini sul riciclaggio o su mafia-appalti» butta lì. E con un vago: «Chi muove le fila sa bene cosa vuole» liquida il discorso sui veri, a suo dire, ideatori delle stragi.

 

«Ma ti è dispiaciuto che sono morti?» chiedono gli speaker attenti a precisare di non essere giornalisti o giudici, ma semplici narratori, come se questo li esimesse dall’avere un atteggiamento critico. «Mi è dispiaciuto perché sono morti. E a differenza di altri loro colleghi chapeau. Loro facevano fatti», conclude. Bontà sua.

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