
"UN NOTO PRIMO MINISTRO MI STRANGOLÒ RIPETUTAMENTE FINO A FARMI PERDERE I SENSI" - LA RIVELAZIONE BOMBA DA "NOBODY'S GIRL", L'AUTOBIOGRAFIA POSTUMA DELLA GRANDE ACCUSATRICE DI JEFFREY EPSTEIN, VIRGINIA GIUFFRE: "MI VIOLENTÒ CON UNA BRUTALITÀ INAUDITA. RIDEVA IN MODO TERRIFICANTE MENTRE MI COLPIVA E SI ECCITAVA SE LO IMPLORAVO DI FERMARSI. QUANDO USCII SANGUINAVO DALLA BOCCA, DALLA VAGINA, DALL’ANO. PER GIORNI PROVAI DOLORE A RESPIRARE E INGHIOTTIRE - EPSTEIN COMMENTÒ CON FREDDEZZA QUELLA BRUTALITÀ DICENDO SOLO: 'A VOLTE SUCCEDE'" - LA DOMANDA È: CHI È IL POLITICO IN QUESTIONE?
Estratto del libro “Nobody’s Girl” di Virginia Roberts Giuffre pubblicato da “la Repubblica”
nobody s girl autobiografia di virginia giuffre
Io conoscevo bene quel tipo di dolore, l’eco persistente dei traumi del passato. Ero stata costretta ad avere rapporti con decine di uomini, e ricordavo nitidamente le loro facce. Erano adulti, a volte persino anziani; goffi e timidi, ma anche rozzi e arroganti. Alcuni volevano che indossassi un certo tipo di abiti, altri mi volevano nuda, altri ancora non notavano nemmeno com’ero vestita, purché li toccassi.
Ce n’erano alcuni che non riuscivano ad avere o mantenere un’erezione. Altri si comportavano come se fossi fortunata ad andare con loro. Almeno uno mi aveva ignorata mentre io dovevo procurargli piacere, preferendo guardare o addirittura palpare Epstein. Alcuni sembravano grati per le mie attenzioni, soprattutto i settantenni, molti dei quali dopo mi ringraziavano, definendomi «una brava bambina».
Apprezzavo che gli anziani fossero meno brutali degli altri, ma mi sentivo comunque disgustata quando mi parlavano così. Era chiaro che per loro il mio aspetto infantile facesse parte del mio sex appeal. Non posso ricordare quanti siano stati, sia perché non li contavo sia perché le mie interazioni con loro erano perlopiù molto simili.
Avevo però il compito di soddisfarli tutti, anche se mi rendeva infelice. Quando pensavo che le cose non potessero andare peggio, successe una cosa terribile: Epstein mi costrinse ad avere rapporti con un uomo che mi violentò con una brutalità inaudita. Eravamo a Little Saint James quando mi venne ordinato di portarlo in un bungalow.
Subito fu chiaro che quell’uomo, che ho menzionato nei documenti legali solo come un «noto primo ministro» non era interessato alle carezze. Voleva violenza. Mi strangolò ripetutamente fino a farmi perdere i sensi e traeva piacere nel vedermi terrorizzata per la mia incolumità.
Rideva in modo terrificante mentre mi colpiva e si eccitava se lo imploravo di fermarsi. Quando uscii sanguinavo dalla bocca, dalla vagina, dall’ano. Per giorni provai dolore a respirare e inghiottire.
Dopo, in lacrime, pregai Epstein di non mandarmi più dal primo ministro. Mi misi persino in ginocchio e lo implorai. Non so se lui temesse quell’uomo o gli dovesse un favore, ma non mi fece promesse. Commentò con freddezza quella brutalità dicendo solo: «A volte succede».
Oggi so che per Epstein le donne erano solo «supporti viventi per una vagina», come amava ripetere ai suoi amici. All’epoca lo ignoravo. Oggi so anche che faceva questa distinzione agghiacciante: «Non sono un predatore sessuale, sono un “molestatore”. C’è una bella differenza tra un assassino e una persona che ruba un bagel».
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Ignoravo anche questo. Adesso mi rendo conto che non gli importava granché delle ragazze e delle donne che molestava. Ma per molto tempo non me ne sono accorta. O forse non volevo vederlo. Le torture subite dal primo ministro, e il modo in cui Epstein le minimizzò, costituirono per me un punto di svolta.
Prima di quella aggressione, Epstein era riuscito a ingannarmi. Ritenevo che la sua predilizione per ragazze dall’aspetto fanciullesco fosse una malattia, ma credevo che, nel suo modo contorto, avesse buone intenzioni.
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Essere trattata in modo così violento e assistere alla sua reazione cinica davanti al mio terrore significava che mi adulava solo per manipolarmi e tenermi sottomessa. Gli importava unicamente di se stesso. In quel momento, toccai il fondo. Non volevo più vivere.
Vedevo solo due opzioni davanti a me: essere uccisa da uno degli uomini con cui Epstein mi obbligava ad andare o suicidarmi. Poi, nell’estate 2002, Maxwell ed Epstein mi spinsero verso il punto di rottura.
Avevamo trascorso insieme un pomeriggio facendo snorkeling lungo la barriera corallina intorno a Little Saint James. Mentre ci asciugavamo sul pontile, notai che lui lanciava un’occhiata a Maxwell prima di sedersi accanto a me. Mi appoggiò una mano sulla schiena in un gesto d’affetto davvero inconsueto.
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«Spero tu sappia quanto ti apprezzo per aver abbracciato il mio stile di vita», cominciò, mentre Maxwell si accoccolava accanto a me. «Nei mesi passati hai dato prova di una devozione difficile da trovare.
Gli amici a cui ti ho presentata concordano: sei una ragazza fantastica». Fece un respiro profondo mentre io mi chiedevo dove volesse andare a parare. Infine se ne uscì con una proposta: «Jenna, voglio che tu partorisca il nostro bambino».
JEFFREY EPSTEIN - SORVEGLIANZA
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