1. MAMMAMIA CHE IMPRESSIONE! IN PRIMA FILA, PER ASCOLTARE IL MAGO DALEMIX IL FRONTE Più CONSERVATORE D’ITALIA: L’AMBASCIATORE DEL CAV., GIANNI LETTA, E IL NUME TUTELARE DEL CAPITALISMO MANAGERIALE DEL CUPOLONE, CESARE GERONZI. POCO DISTANTI, IL SOTTOSEGRETARIO CON DELEGA AI SERVIZI, DE GENNARO E IL VICE-CSM, VIETTI 2. SUL PALCO, PIERFURBY CHE SE LA PRENDE CON IL POPULISTA VENDOLA, LO SPIN DOCTOR DI BERSANI MIGUEL GOTOR, CALDEROLA CHE HA CURATO IL LIBRO-INTERVISTA CON SPEZZAFERRO, E IL GIORNALISTA MARCO DAMILANO REDUCE DALLA BOTTA IN TESTA DEL BANANA 3. GLI UNICI DEL PD PRESENTI? LIVIA TURCO E AD ANNA FINOCCHIARO, INSIEME AL DISCUSSO MIRELLO CRISAFULLI, A LATORRE E MARRONI, A WALTER TOCCI E UGO SPOSETTI

Foto di Andrea Arrighi per Dagospia
Video di Veronica Del Soldà per Dagospia
Francesco Persili per Dagospia

 

CONTRO CORRENTE

 

«La botta in testa ti ha fatto arrivare tardi?» Dopo le cartellate di Berlusconi ad Omnibus, Peppino Caldarola accoglie con una battuta il giornali-star di giornata Marco Damilano al quale è affidato il compito di officiare l'incontro pubblico D'Alema-Casini. L'occasione è offerta dalla presentazione del libro del Líder Massimo, Controcorrente (a cura di Caldarola ed edito da Laterza) che va in scena all'interno dei Musei Capitolini.

Il titolo di una mostra dedicata all'arte romana, "L'età dell'equilibrio", appare più che mai profetico per sottolineare il lavoro di tessitura del dialogo tra progressisti e centristi. «Una scelta che dimostra la coerenza di D'Alema», puntualizza Casini che a Dagospia ribadisce «l'incompatibilità» con Vendola, portatore sano di un «populismo» di sinistra fondato sul no («no alla Tav, no alla riforma delle pensioni...»).

Dopo aver sfidato Berlusconi a un «confronto pubblico sulla qualità delle candidature e sulla presenza di inquisiti nelle rispettive liste», Pierfurby scansa le accuse di nepotismo per aver candidato, tra gli altri, la cognata e il fidanzato della figlia e difende le sue scelte basate sulla «meritocrazia e l'affidabilità», requisito necessario a fronte dei numerosi esempi di transumanza dei parlamentari. «Per evitare fughe ed esodi abbiamo fatto firmare a tutti un vincolo di fedeltà all'alleanza con Monti....»

All'interno della sala Pietro da Cortona, suggestioni barocche, affreschi e grandi scenografie di potere romano. In prima fila, l'ambasciatore del Cav., Gianni Letta, e il nume tutelare del capitalismo manageriale all'ombra del Cupolone, Cesare Geronzi. Poco distanti, il sottosegretario con delega ai servizi, De Gennaro e il vicepresidente del Csm, Vietti.

Tracce della Roma veltrona resistono grazie alla presenza di Mariapia Garavaglia. Si fa vedere anche Marianna Madia, capolista cinque anni fa del Pd a guida veltroniana e poi compagna di banco di D'Alema alla Camera, che stavolta si è conquistata il posto in lista grazie alle primarie.

Non sarà più in Parlamento, invece, Livia Turco che situa l'azione di un governo progressista sulla latitudine del «rigore e della giustizia sociale» e sprizza scintille dagli occhi davanti ai tentativi di derubricare la sinistra a categoria del secolo scorso: «La sinistra è viva e lotta». Insieme a Livia Turco e ad Anna Finocchiaro, di cui si parla come presidente del Senato, e al discusso Mirello Crisafulli, a Latorre e Marroni, a Walter Tocci e Ugo Sposetti mescolati in mezzo ad una nutrita pattuglia di Giovani democratici.

Un groviglio di profili ieratici risucchiati verso lo sbattimento galleggiano nell'aria insieme allo sfarfallio di ricordi da album di famiglia della sinistra italiana. Dalemian graffiti. La svastica disegnata con il gesso su un carro armato a Praga, il giorno dell'invasione sovietica. La caduta del Muro e il ruolo di Occhetto, «il Gorbaciov italiano». La Bolognina e il cambio del nome del Pci. Le parole del padre, partigiano ed ex deputato che subito si espresse a favore della Svolta e quelle di Gianni Agnelli su una certa ostilità dell'establishment nei suoi confronti (un sentimento comunque ricambiato dall'ex premier): «questo è un libro di di battaglia nel quale ci sono appunti delle mie memorie, ma solo una traccia», ironizza D'Alema, che ha voglia, e si vede, di continuare a fare politica, anche fuori dal Parlamento.

Intanto lo spin di Bersani Michele Gotor, voltando e rivoltando il passato, distilla j'accuse contro il «nuovismo e l'antipolitica» e muove dalla critica «all'opzione del bipartitismo che il Porcellum ha alimentato» per introdurre il tema della governabilità: il vero nodo centrale del duello in punta di fioretto tra il presidente del Copasir e Casini.

D'Alema fa appello al principio di realtà quando dice che «la legge elettorale non aiuta le terze forze e, dunque, la vittoria del Pd diventa la premessa fondamentale per costruire una nuova prospettiva di governo e per il futuro stesso del centro». Lo scontro sul voto utile accende Pierferdy che punzecchia il Líder Massimo: «Temo che D'Alema ami così tanto il centro da volerlo piccolo e ininfluente».

L'opera di avvicinamento per stringere un patto post-elezioni di «medio-lungo periodo» con i centristi (ché il termine moderato a D'Alema non piace: «chiunque sia contro la sinistra si definisce così, anche Storace e Calderoli...») prosegue tra schermaglie, punture di spillo e asprezze.

Non sono angosciato dall'idea di autosufficienza al Senato - scandisce il presidente della Fondazione Italianieuropei - ma trovo preoccupante che una forza come la Lega possa governare Piemonte, Lombardia e Veneto. Il rischio di vedere Maroni al Pirellone porta D'Alema a criticare i centristi per la scelta di schierare Albertini: «un centro davvero moderato avrebbe dovuto sostenere Ambrosoli».

La ricerca di un'intesa plurale passa anche dall'attacco «all'ineffabile» Berlusconi e dalla difesa di Vendola «ingiustamente demonizzato e raffigurato alla stregua di un cosacco». Ma la partita con gli adepti dell'Agenda Monti è ancora tutta da giocare. Sul tavolo della prossima legislatura non c'è solo la riforma dell'architettura dello Stato.

Ci sarà, infatti, da eleggere anche il nuovo presidente della Repubblica e D'Alema, nemmeno fosse Manzoni, arriva a tirare in ballo la Provvidenza «che in questi anni ha permesso di evitare danni: ogni volta che è stato eletto il capo dello Stato, infatti, la maggioranza è stata in mano al centrosinistra. E sarà, così anche la prossima volta...», il messaggio recapitato alla casella di posta di Pierferdy.

Da Cossiga a Casini, il tema del rapporto con i moderati viene indagato a fondo nel libro-intervista all'interno del quale affiora anche qualche autocritica: il Líder Massimo ammette che fu un errore ritirare i ministri dell'allora Pds dal primo esecutivo Ciampi («anche se il vero sbaglio - sostiene D'Alema - fu quello di non aver lanciato il governo Prodi con tre anni di anticipo»), si pente per la scelta di essere andato a Palazzo Chigi, dopo la caduta di Prodi («avrei dovuto puntare i piedi per un governo Ciampi», nonostante l'opposizione di Cossiga) e riconosce a Bersani il merito di essersi battuto per legittimare con il passaggio delle primarie la sua candidatura a premier.

C'è stato un errore di valutazione anche su Monti? Con Dagospia, D'Alema difende la scelta del Pd di sostenere il governo del Professore sulla base di un'analisi sulla «drammatica situazione del Paese» e della «necessità» di porre rimedio ai rischi di una crisi che avrebbe travolto l'economia italiana.

«L'errore di valutazione non è stato del Pd ma di Monti che avrebbe dovuto sostenere e incoraggiare e non certo mettersi a capo di un partito perché la sua esperienza di governo lo poneva al di fuori degli schieramenti». Spezzaferro non rinuncia alla staffilata sarcastica: «Vorrei ricordare, comunque, che tra un errore e l'altro, il Pd si appresta a vincere le elezioni. Qualcosa di buono l'avremo fatto...»

Il gioco dei veti incrociati tra Vendola e Casini rende più lontana l'ipotesi di una alleanza di governo tra progressisti e montiani? «Dipenderà dal risultato elettorale. Spero che ci sia una chiara affermazione del Pd. Spetterà poi a quello che sarà il maggior partito del Paese e al suo leader indicare le condizioni per stringere un'alleanza di governo anche se l'attenzione più che sulle formule andrebbe spostata sui contenuti».

D'Alema issa la bandiera della «giustizia sociale» e rilancia su «una politica fiscale che incoraggi l'occupazione». Togliere le tasse a chi assume, come ha proposto di fare il Cavaliere? Il Líder Massimo non ci sta e ricorda come il credito di imposta fosse una misura adottata dal suo governo che Berlusconi ha, poi, cancellato nel 2002 con il decreto Omnibus. E i progressisti, invece, cancelleranno la riforma Fornero? «Non vogliamo cancellare ciò che abbiamo votato in questi mesi, vogliamo fare delle cose nuove...» Ma prima bisogna prendere i voti. E non è detto che bastino.

UN PO D ACQUA PER MASSIMO D ALEMA FOTO ANDREA ARRIGA STRETTA DI MANO CASINI GARAVAGLIA FOTO ANDREA ARRIGA PRIMA FILA DE GENNARO LETTA GERONZI STADERINI FOTO ANDREA ARRIGA PRESENTAZIONE DEL LIBRO FOTO ANDREA ARRIGA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI MASSIMO D ALEMA FOTO ANDREA ARRIGA PRESENTAZIONE DEL LIBRO AI MUSEI CAPITOLINI FOTO ANDREA ARRIGA PIER FERDINANDO CASINIO AL CELLULARE FOTO ANDREA ARRIGA PIER FERDINANDO CASINI SORRIDENTE FOTO ANDREA ARRIGA PIER FERDINANDO CASINI INTERVISTATO FOTO ANDREA ARRIGA PIER FERDINANDO CASINI FOTO ANDREA ARRIGA PEPPINO CALDAROLA FOTO ANDREA ARRIGA

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni regionali de luca zaia salvini conte stefani decaro fico

DAGOREPORT: COME SI CAMBIA IN 5 ANNI - PER CAPIRE COME SIA ANDATA DAVVERO, OCCORRE ANALIZZARE I VOTI ASSOLUTI RIMEDIATI DAI PRINCIPALI PARTITI, RISPETTO ALLE REGIONALI DEL 2022 - LA LEGA HA BRUCIATO IL 52% DEI VOTI IN VENETO. NEL 2020 LISTA ZAIA E CARROCCIO AVEVANO OTTENUTO 1,2 MILIONI DI PREFERENZE, QUESTA VOLTA SOLO 607MILA. CONSIDERANDO LE TRE LE REGIONI AL VOTO, SALVINI HA PERSO 732MILA VOTI, IL 47% - TONFO ANCHE PER I 5STELLE: NEL TOTALE DELLE TRE REGIONI HANNO VISTO SFUMARE IL 34% DELLE PREFERENZE OTTENUTE 5 ANNI FA – IL PD TIENE (+8%), FORZA ITALIA IN FORTE CRESCITA (+28,3%), FDI FA BOOM (MA LA TENDENZA IN ASCESA SI È STOPPATA) – I DATI PUBBLICATI DA LUIGI MARATTIN....

luca zaia matteo salvini alberto stefani

DAGOREPORT – DOPO LA VITTORIA DEL CENTRODESTRA IN VENETO, SALVINI NON CITA QUASI MAI LUCA ZAIA NEL SUO DISCORSO - IL “DOGE” SFERZA VANNACCI (“IL GENERALE? IO HO FATTO L'OBIETTORE DI COSCIENZA”) E PROMETTE VENDETTA: “DA OGGI SONO RICANDIDABILE” – I RAS LEGHISTI IN LOMBARDIA S’AGITANO PER L’ACCORDO CON FRATELLI D’ITALIA PER CANDIDARE UN MELONIANO AL PIRELLONE NEL 2028 - RICICCIA CON PREPOTENZA LA “SCISSIONE” SUL MODELLO TEDESCO CDU-CSU: UN PARTITO “DEL TERRITORIO”, PRAGMATICO E MODERATO, E UNO NAZIONALE, ESTREMISTA E VANNACCIZZATO…

luca zaia roberto vannacci matteo salvini

NON HA VINTO SALVINI, HA STRAVINTO ZAIA – IL 36,38% DELLA LEGA IN VENETO È STATO TRAINATO DA OLTRE 200 MILA PREFERENZE PER IL “DOGE”. MA IL CARROCCIO DA SOLO NON AVREBBE COMUNQUE VINTO, COME INVECE CINQUE ANNI FA: ALLE PRECEDENTI REGIONALI LA LISTA ZAIA PRESE DA SOLA IL 44,57% E IL CARROCCIO IL 16,9% - SE SALVINI PIANGE, MELONI NON RIDE: NON È RIUSCITA A PRENDERE PIÙ VOTI DELLA LEGA IN VENETO E IN CAMPANIA È TALLONATA DA FORZA ITALIA (11,93-10,72%). PER SALVINI E TAJANI SARÀ DIFFICILE CONTRASTARE LA RIFORMA ELETTORALE - PER I RIFORMISTI DEL PD SARÀ DURA DARE UN CALCIO A ELLY SCHLEIN, AZZERATE LE AMBIZIONI DI GIUSEPPE CONTE COME CANDIDATO PREMIER - "LA STAMPA": "IL VOTO È LA RIVINCITA DELLA ‘LEGA NORD’ SU QUELLA SOVRANISTA E VANNACCIANA: LA SFIDA IDEOLOGICA DA DESTRA A MELONI NON FUNZIONA. IL PARTITO DEL NORD COSTRINGERÀ SALVINI AD ESSERE MENO ARRENDEVOLE SUI TAVOLI DELLE CANDIDATURE. SUL RESTO È LECITO AVERE DUBBI…”

xi jinping vladimir putin donald trump

DAGOREPORT – L'INSOSTENIBILE PIANO DI PACE DI TRUMP, CHE EQUIVALE A UNA UMILIANTE RESA DELL'UCRAINA, HA L'OBIETTIVO DI  STRAPPARE LA RUSSIA DALL’ABBRACCIO ALLA CINA, NEMICO NUMERO UNO DEGLI USA - CIÒ CHE IL TYCOON NON RIESCE A CAPIRE È CHE PUTIN LO STA PRENDENDO PER IL CULO: "MAD VLAD" NON PUÒ NÉ VUOLE SFANCULARE XI JINPING - L’ALLEANZA MOSCA-PECHINO, INSIEME AI PAESI DEL BRICS E ALL'IRAN, È ANCHE “IDEOLOGICA”: COSTRUIRE UN NUOVO ORDINE MONDIALE ANTI-OCCIDENTE – IL CAMALEONTISMO MELONI SI INCRINA OGNI GIORNO DI PIÙ: MENTRE IL VICE-PREMIER SALVINI ACCUSA GLI UCRAINI DI ANDARE “A MIGNOTTE” COI NOSTRI SOLDI, LA MELONI, DAL PIENO SOSTEGNO A KIEV, ORA NEGA CHE IL PIANO DI TRUMP ACCOLGA PRATICAMENTE SOLO LE RICHIESTE RUSSE ("IL TEMA NON È LAVORARE SULLA CONTROPROPOSTA EUROPEA, HA SENSO LAVORARE SU QUELLA AMERICANA: CI SONO MOLTI PUNTI CHE RITENGO CONDIVISIBILI...")

donald trump volodymyr zelensky vladimir putin servizi segreti gru fsb cia

DAGOREPORT - L’OSCENO PIANO DI PACE SCODELLATO DA TRUMP, CHE EQUIVALE A UNA CAPITOLAZIONE DELL’UCRAINA, ANDAVA CUCINATO BENE PER FARLO INGOIARE A ZELENSKY - E, GUARDA LA COINCIDENZA!, ALLA VIGILIA DELL’ANNUNCIO DEL PIANO TRUMPIANO SONO ESPLOSI GLI SCANDALI DI CORRUZIONE A KIEV, CHE VEDONO SEDUTO SU UN CESSO D’ORO TIMUR MINDICH, L’EX SOCIO DI ZELENSKY CHE LO LANCIÒ COME COMICO - PER OTTENERE ZELENSKY DIMEZZATO BASTAVA POCO: È STATO SUFFICIENTE APRIRE UN CASSETTO E DARE ALLA STAMPA IL GRAN LAVORIO DEI SERVIZI SEGRETI CHE “ATTENZIONANO” LE TRANSIZIONI DI DENARO CHE DA USA E EUROPA VENGONO DEPOSITATI AL GOVERNO DI KIEV PER FRONTEGGIARE LA GUERRA IN CORSO…