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AVE, CESARE! - I FRATELLI COEN SBERTUCCIANO HOLLYWOOD: “PER SEMBRARE STUPIDI BISOGNA ESSERE MOLTO INTELLIGENTI E NON AVERE LA VANITA’ DELLE STAR. CLOONEY NE E’ COMPLETAMENTE PRIVO” -IL RIMPIANTO PER “TO THE WHITE SEA”: "NESSUNO HA VOLUTO PRODURRE UNA STORIA IN CUI BRAD PITT VENIVA DECAPITATO DOPO 10 MINUTI”

FRATELLI COENFRATELLI COEN

Arianna Finos per “la Repubblica”

 

Nel salotto Dell’hotel De Rome Ethan Coen arriva per primo all’appuntamento. Chiede un caffè che allunga con acqua minerale. S’aggiunge poco dopo l’allampanato Joel, il maggiore dei due fratelli, il più alto e il meno sorridente. Guarda con desiderio le bustine di zucchero, poi si rassegna a un caffè amaro. Abbiamo appena visto il loro Ave, Cesare!, da tre giorni arrivato anche nelle sale italiane.

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È una lettera d’amore a Hollywood ma scritta alla maniera dei fratelli meno romantici del cinema americano. Un affresco leggero, a tratti esilarante, dell’età d’oro degli Studios. Quei favolosi anni Cinquanta in cui l’industria dei sogni era gestita con mano ferrea dalle majors, che reagivano alla concorrenza televisiva e al clima da Guerra fredda sfornando kolossal biblici, musical in technicolor, western all’ultimo sangue e raffinatissimi drammi da salotto. Il film si svolge in una giornata tipo negli studi hollywoodiani di quell’epoca. Molti i set in corso.

 

C’è il kolossal biblico in cui il divo George Clooney viene rapito da un misterioso gruppo chiamato “Futuro”. C’è il film acquatico con la sirena Scarlett Johansson in versione Esther Williams alle prese con una gravidanza indesiderata.

 

E, ancora, un musical con Channing Tatum in una versione sovversiva di Gene Kelly. Infine un dramma da camera in cui un azzimato regista (Ralph Fiennes) si confronta con lo scarso talento di un cowboy-canterino (è Alden Ehrenreich).

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A far funzionare questa macchina così complessa è Josh Brolin (ovvero Eddie Mannix), il fixer degli Studios, quello che deve risolvere le grane e tenere le star più capricciose fuori dagli scandali.

 

Se già in Barton Fink (1991) i due fratelli raccontavano la parabola degli scrittori ingaggiati con faraonici contratti e poi buttati via da produttori cinici (anche lì la major si chiamava Capital Pictures), stavolta Hollywood la prendono in giro ma senza troppa cattiveria.

 

Ora eccoceli tutti e due di fronte. Non sono una voce sola, semplicemente col tempo hanno imparato a infilarsi l’uno dentro il ritmo dell’altro.

 

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Cominciamo da un piccolissimo dettaglio, diciamo così una curiosità: nel film avete messo a capo del gruppo di sceneggiatori comunisti il filosofo del Sessantotto tedesco, Herbert Marcuse. Che Clooney chiama “Herbie”. Come vi è saltato in mente?

Ethan: «Beh, ci siamo tolti una piccola soddisfazione. Non sono molti i film di Hollywood in cui puoi citare Marcuse. Siamo certi che il nostro pubblico apprezzerà».

 

A proposito di Clooney. È il quarto film che fate con lui, ci sarà anche un quinto?

Joel: «Dovremmo proprio farlo, sì. Dopo Burn After Reading ( A prova di spia, 2008) George ci aveva detto che quello sarebbe stato il suo “ultimo idiota”. Disse proprio così.

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Poi però lo abbiamo richiamato dicendogli di fare solo quest’altro ancora e poi basta. Non riesce a dirci di no. E per noi è davvero un piacere lavorare con lui. Devi essere intelligente per fare lo stupido. E non avere quella vanità tipica delle star: George ne è totalmente libero».

 

Ethan: «E poi in generale noi tendiamo sempre, sia con gli attori che con la troupe, a lavorare con le stesse persone quando ci siamo trovati bene. Un altro è Ralph Fiennes: lo inseguivamo da tempo e ora speriamo di poterci lavorare ancora».

 

Da dove siete partiti per arrivare a una cosa come “Ave, Cesare!”?

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Ethan: «All’inizio l’idea era quella di fare un film su Eddie Mannix, fixer della Metro Goldwyn Mayer. Il suo lavoro era quello di andare a recuperare in qualche malfamato locale di San Diego la star di turno riparando ogni eventuale danno. Oppure convincere qualche attore segretamente gay a sposarsi. O sistemare una gravidanza indesiderata.

 

Ma un personaggio così ambiguo ci offriva anche la possibilità di raccontare alcuni dei film con cui io e mio fratello siamo in qualche modo cresciuti. Tra i tanti, diciamo pure tra i peggiori, c’erano i peplum. E lì ci siamo detti: chi meglio di Clooney?».

 

Gli anni Cinquanta sono anche la vostra era cinematografica preferita?

Ethan: «Diciamo più i Sessanta, se non altro perché le cose che vedi in tv quando sei ragazzino poi sono quelle che ti restano più impresse nella memoria. E poi tutti lì a magnificare i Settanta solo perché ci sono stati i grandi come Coppola o come Scorsese. Per noi sono stati più importanti i Sessanta».

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Joel: «La sera ci guardavamo i film in tv e il giorno dopo ne facevamo il remake con la Super8 e un gruppetto di amici».

Ethan: «Già, proprio così: nessunissima ambizione, solo il nostro gioco più bello».

 

Il film è ricco di citazioni. Avete dovuto studiare molto?

Joel: «No, anche la Hollywood degli anni Cinquanta è un periodo che conosciamo molto bene. Non abbiamo dovuto studiare un granché».

 

Ethan: «Ci siamo giusto rivisti alcuni numeri di Esther Williams e le stravaganze coreografie di Buzz Berkeley. E per il tip tap qualche balletto di Gene Kelly».

 

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Joel: «La cosa che ci ha fatto divertire di più è che ogni settimana ci trovavamo a girare un film diverso: una volta il biblico, poi il musical, il western, l’acquatico...».

 

Joel: «Ah, ovviamente ci siamo anche rivisti la battaglia di Ben- Hur, soprattutto per capire come erano fatti gli esterni e per lavorare sul look. E ovviamente abbiamo usato nuove tecnologie per creare cose che allora si facevano in modo diverso. E soprattutto che oggi non si farebbero più: ma chi diavolo se lo guarderebbe un balletto acquatico?».

 

Il film era stato annunciato ben dieci anni fa: perché lo avete fatto solo ora?

Ethan: «Ci capita spesso che alcuni progetti si fermino. Fargo (1996, ndr) ha aspettato due anni dopo che l’avevamo buttato giù. Brother Where Art Thou ( Fratello, dove sei?, 2000) invece lo facemmo subito. Perché avendo accennato dell’idea a George (Clooney, ndr) lui pensò bene di annunciarlo pubblicamente come il suo prossimo film! Quanto a Ave, Cesare! se avessimo aspettato ancora un po’, tutti quelli che volevamo coinvolgere sarebbero stati troppo vecchi».

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Esther Williams, George Cukor, Gene Kelly, Robert Taylor, Carmen Miranda, Eddie Mannix. Molti personaggi del film sono ispirati ai veri protagonisti di quel periodo.

Joel: «Sì, più o meno. I riferimenti sono quelli che qualsiasi cinefilo riconoscerà subito».

 

È un’epoca che non esiste più.

Joel: «Gli studios oggi operano in modo molto più diversificato, poi col tempo sono entrate in gioco altre variabili, anche altre forme di finanziamento. E persino quando i soldi vengono direttamente dagli studios ci sono comunque vari gradi di controllo: non è che si può andare a dire a uno come James Cameron cosa fare e cosa non fare».

 

E alle star?

Joel: «Anche loro oggi sono molto più indipendenti di una volta. All’epoca erano sostanzialmente di proprietà delle majors che le creavano e ne disponevano. Anche fisicamente ».

 

A proposito di majors, finanziamenti e epoche che non esistono più: il vostro film di esordio, “Sangue facile”, anno 1984, fu finanziato da un gruppo di commercialisti, parrucchieri e avvocati...

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Ethan: «Beh sì, possiamo dire di essere stati fortunati, eravamo completamente fuori dal business. Ma va detto che quelli erano tempi in cui era molto più facile lavorare in modo indipendente. Il mercato si era aperto e il cinema veniva considerata un’attività lucrativa».

 

Mai ricevuto pressioni?

Ethan: «No, i nostri film sono troppo piccoli per averne. Noi facciamo ciò che ci sentiamo di fare e ciò che possiamo fare. E anche da cineasti ci piace premiare opere che consideriamo diverse.Voglio dire: a Cannes abbiamo consegnato la Palma a un film come Dheepan! ».

 

Una delle scene più divertenti di “Ave, Cesare!” è quando Mannix convoca esponenti di tutte le religioni per discutere degli aspetti teologici del kolossal biblico. Il rabbino chiude la discussione sulle definizioni di Dio proposte dai cristiani dicendo: “Dio è dio, e basta. Ed è sempre incazzato”.

 

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Ethan: «Siamo cresciuti in una comunità ebraica ma abbiamo voluto che il nostro personaggio principale fosse invece molto cattolico. Mannix è come un padre per quei figli incoscienti che sono le star. Il grande cattivo della storia è invece il comunismo, che è una religione secolare».

 

C’è stato mai un film che alla fine non siete riusciti a realizzare?

Ethan: «Certo che sì. To the White Sea, la storia di un aviatore americano abbattuto durante il bombardamento di Tokyo. Avevamo anche trovato una vera star. Ma nessuno ha voluto produrre una storia in cui Brad Pitt veniva decapitato dopo dieci minuti ».

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