CLINT EASTWOOD ALLE “QUATTRO STAGIONI” – A 84 ANNI, UN FILM SU FRANKIE VALLI E I FOUR SEASONS, BAND DI ITALO-AMERICANI CHE INCENDIARONO LA FEBBRE DEL SABATO - “IL MIO SEGRETO? TENGO “IL VECCHIO” LONTANO DA ME”

Silvia Bizio per "La Repubblica"

 

jersey boys clint eastwoodjersey boys clint eastwood

Una nuova barba, una nuova fidanzata, Christina Sandera, 40 anni meno di lui, e due film in un anno: Clint Eastwood, 84 anni, è inarrestabile. Due giorni fa ha finito di girare American Sniper , dall’autobiografia del tiratore scelto americano Chris Kyle, interpretato da Bradley Cooper. Ora è a New York per Jersey Boys (in Italia uscirà il 18), l’altro film che ha diretto, ispirato al celebre musical che racconta la storia dei Four Seasons, da ragazzi di strada a popstar degli anni 60.

 

John Lloyd Young interpreta il cantante Frankie Valli. «Non avevo mai visto il musical - dice Eastwood quando lo incontriamo al Waldorf Astoria Hotel - ma conoscevo Frankie Valli, mi piaceva. Lo spettacolo era stato a lungo un successo qui a New York e anche a Londra. Mi sembrava divertente». Parla lentamente, Eastwood. Sembra misurare le parole. Forse gli anni cominciano a farsi sentire.

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Lei è soprattutto un amante del jazz.

«Il jazz e ogni tipo di musica, nell’82 ho fatto Honky Tonk Man , ora vorrei fare un film sulla classica, ho sempre invidiato gli autori di Amadeus. Non avevo una gran passione per il sound anni 60 ma le canzoni dei Four Seasons avevano un certo spirito, penso a I can’t take my eyes off you . Ho preso veri musicisti di varie compagnie, da New York, San Francisco, Las Vegas, persone che hanno fatto centinaia di show».

 

Dove era lei, fisicamente ed emotivamente, negli anni 60?

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«Erano anni di cambiamenti ma io ero lento, gli altri provavano le droghe e io bevevo birra. Mi piaceva Charlie Parker e poi il country, raccontava storie che capivo. Lavoravo molto, era un periodo culturalmente interessante. Ma gli anni formativi per me, musicalmente, sono stati i 40, Sinatra e Nat King Cole, Ella Fitzgerald, Peggy Lee. Tutto è cambiato quando i musicisti sono diventati i ragazzi della porta accanto, e hanno smesso di tirar fuori qualcosa di speciale».

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I suoi attori raccontano che lei fa pochi ciak, a differenza di registi come Orson Welles e Stanley Kubrick.

«Faccio quelli necessari. So quel che voglio, sono deciso. Magari chi ne fa molti è incerto su quel che desidera. Howard Hawks e John Ford lavoravano in fretta ma sempre attenti ai dettagli. Ognuno ha il proprio stile, l’unica cosa che conta è che, alla fine, il film funzioni e che ci sia un bel clima, il nervosismo si trasmette alla troupe e al cast. Prima di girare, ho già in testa un’idea di montaggio, fa risparmiare tempo e denaro».

 

Ha un’energia invidiabile.

«È l’interesse per quel che faccio. Ma ho un segreto: tengo “il vecchio” lontano da me. Me l’ha detto un tipo che ho conosciuto, aveva 90 anni e ne dimostrava 60, da allora è diventato il mio motto.

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Ho incontrato il regista portoghese Manoel de Oliveira, ha 105 anni e ancora dirige, ha un’incredibile curiosità per quello che lo circonda. Certo, da giovane pensi alla carriera, da vecchio apprezzi di più la famiglia, gli amici. Ma se cominci a vivere nel passato ti prende la nostalgia. Devi goderti quello che verrà, il successo dei tuoi figli, o aiutare chi non ce la fa».

 

Cosa l’ha incuriosita di American Sniper ?

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«Quando mi hanno chiesto se volevo dirigerlo, stavo leggendo il libro. Mi piaceva la storia di quest’uomo anche se non ero favorevole alle guerre in Iraq e Afghanistan alle quali ha partecipato, è diverso dalla seconda guerra mondiale, allora tutto il paese appoggiava lo sforzo bellico. Era interessante il suo rapporto con la moglie e i figli. Fisicamente è stato impegnativo, più di altri film. Ora vorrei fermarmi. A meno che non salti fuori qualche progetto che mi carichi di adrenalina».

 

C’è qualcosa che la spaventa?

«Penso alla situazione del mondo e mi chiedo se stia andando come vorrei, ma non posso farci nulla. Sono cresciuto nel clima della Depressione degli anni 30 ma oggi la crisi sembra più lunga e più dura. È un paese diverso, questo».

 

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È ancora ottimista?

«Sì, anche se è difficile. Ma cerco di esserlo, il pessimismo è una strada che va all’incontrario ».

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