1- DOPO ”L’ITALIA ALLE VONGOLE” DI PANNUNZIO, “LA REPUBBLICA” DI SCALFARI ED EZIO MAURO CELEBRA, CON UN PICCOLO RITARDO DI 10 ANNI, L’”ITALIA ALLA VACCINARA’” DI DAGOSPIA 2- C’E’ VOLUTO L’OSCENO SATYRICON DE’ NOANTRI SIMULATO DALLA DESTRA MAIALA PER FAR USCIRE DAL “CONO D’OMBRA” IL FENOMENO CAFONAL CHE PER UNA DECADE E’ STATO IGNORATO O SOTTOVALUTATO DAI GIORNALONI (PURISSIMO CAFONAL-STYLE E’ ANCHE IL COLLAGE CHE BRILLA SULLA COPERTINA DELL’ULTIMO NUMERO DE “L’ESPRESSO”) 3- MA E’ L’INFORMAZIONE WEB, BELLEZZA! MENTRE CROLLANO IN EDICOLA LE VENDITE DEI MEDIA DI LOR SIGNORI, E’ IMPOSSIBILE FARE FINTA CHE INTERNET NON ESISTA, IGNORANDOLA PER INVIDIA O PAVIDITÀ: ORMAI, GRILLO INSEGNA, BISOGNA FARCI I CONTI

"In un paese serio, Dagospia non esisterebbe"
(Roberto D'Agostino)

Tina A. Commotrix per Dagospia

In un paese serio, ragionando sul paradosso dagostiniano, il giornalismo non si appaleserebbe con tutta la sua "tolleranza servile" di fronte agli avvenimenti che gli scorrono davanti agli occhi.

In un paese serio e non di "magnifici cialtroni" (Pietro Citati, 1991), il pensiero dei media non sarebbe mai omologato tout court ai Poteri marci. E se qualcuno tenta poi di uscire fuori dal coro delle messe cantate dei giornaloni, rischia di beccarsi l'accusa (infame) di stonare. O, peggio, di cantare per qualche potere occulto.

In un paese serio la stampa dovrebbe praticare la cultura della memoria come "ars memoriae". Ma nelle redazioni dei giornali il ricordare è una colpa e l'oblio una virtù. Gli archivi e le fonti, un fastidio da allontanare.

Dalla presunta trattativa mafia-stato all'ipotesi un golpe bianco, ispirato da mani straniere dietro il massacro (politico) di Tangentopoli, l'immaginario giudiziario Ingroia tutto, con la complicità dei media. Ma i protagonisti (e i testimoni) di quella stagione d'inizio anni Novanta continuano a tacere, omertosi.

Non chiedete a Paolo Mieli o a Eugenio Scalfari se in Italia c'è stata una "rivoluzione" che ha spazzato via la prima Repubblica per schiudere le porte al nuovo che avanzava: Mario Segni, Silvio Berlusconi, Umberto Bossi, Antonio Di Pietro, Beppe Grillo, Matteo Renzi.
A domanda nessuno risponde. Come a dire? la storia siamo noi. La verità può attendere. Oppure richiede una rapida "riattuazione", alla bisogna dei tempi. E' quella sindrome che il filosofo Paul Ricoeur chiama "il fardello che il passato fa pesare sul futuro".

Paolo Mieli, l'ex direttore del Corriere che si spaccia per storico, ha rimosso lo scoop dell'avviso di garanzia al premier Berlusconi nel pieno di un'assise internazionale a Napoli. Se potesse, Mieli lo rinnegherebbe pure.
Scalfari, peccato ben più veniale, non ricorda di aver votato per i socialisti nonostante sia stato eletto dal partito di Nenni in parlamento.

Già, cancellare le tracce oppure depistare la ricerca della verità sembra essere la bussola intellettuale che guida molti professionisti della carta stampata. Dimentichi che l'irrompere sulla scena dell'informazione via web ha rivoluzionato per sempre l'intero mondo dei media.

Fare finta che Internet non esista, ignorandola per invidia o pavidità, non confrontarsi con questa realtà è solo aver perpetrato lo stesso peccato mortale che il cinema italiano commise ai tempi dell'irrompere della televisione a colori. Nel giro di pochi anni il piccolo schermo si è mangiato il grande.

Non ci auguriamo che Internet faccia altrettanto con la carta stampata, ma non dipende dai new media la sopravvivenza dei quotidiani, ma dai suoi direttori. Del resto, fu Paolo Mieli a sentenziare che "Internet era una moda passeggera come il borsello da uomo alla fine degli Sessanta". Una profezia campata in aria che lo accomuna con il suo collega inglese Simon Jenkins che nel '97 scrisse sul "The Times" che "Internet si pavoneggerà sulla scena per un'ora per poi trovare il proprio posto tra le fila dei media minori...".

In un paese serio, la vanità degli altri (giornali) non dovrebbe mai offendere l'immodestia degli altri (web). Ma forse aveva ragione Giacomo Casanova quando sentenziava che "è "più facile disfarsi dei vizi che della vanità".

Capita così, in un paese poco serio, che nel giro di pochi giorni "L'Espresso" - che mai in 12 anni ha vergato un articolo su Dagospia - ha reso omaggio al sito con una copertina che è purissimo Cafonal (in alto, un occhiello minuscolo lo ricorda). A seguire, domenica scorsa, dopo aver relegato per anni Dagospia nel "cono d'ombra", "la Repubblica" di Ezio Mauro "celebra" i dieci anni del fenomeno Cafonal, tornato d'attualità dopo i Satyricon inscenato dalla destra laziale. Un doppio paginone redatto dall'impareggiabile entomologo della politica, Filippo Ceccarelli. Che, guarda caso, scrisse la prefazione del primo volume di Cafonal.

Eccola finalmente svelata sul quotidiano di Carlo De Benedetti, quell'Italia Babilonia che in dieci anni di duro lavoro ai fianchi dei Poteri marci, Roberto D'Agostino e il mitologico fotografo, Umberto Pizzi (con l'aiuto del fratello Mario) erano riusciti - giorno dopo giorno - sul sito messo al bando dagli altri media. E poi attraverso due epici volumi dal titolo "Cafonal" e "UltraCafonal", entrambi editi da Mondadori.

Eccolo rivisitato su "la Repubblica" il fotoromanzo impietoso e tragico di un paese novista e Cafonalista che, osservò allora Roberto D'Agostino in solitudine, marciava compatto al grido "io sono la mia fiction". Con l'italietta della seconda Repubblica che si "sbriciolava come un supplì" sotto gli occhi complici dei giornaloni. Una realtà ineludibile che i media dei Poteri marci non hanno potuto rimuovere dall'immaginario collettivo. Sarebbe stato troppo osare con i propri lettori.

Scegliendo di tormentarsi, invece, sul federalismo del cielodurista Bossi e i destini della Padania; con la difesa dei cani dell'animalista Brambilla; i polli terzi di Bocchino; le scarpe a punta di D'Alema; i girotondi penosi di Montezemolo; le Caste (altrui), evocate dai Gabibbo alle vongole Stella&Rizzo; i sondaggi a la carte di Mannheimer, compreso l'ultimo che assicura che i militanti del Pd sono per una riconferma di Monti a premier (sic).

E, Scarpe Diem (Della Valle), una stampa che si strazia ma di baci si sazia sui destini di un capitalismo Upper Cafonal dove i suo capi-bastone, arrivati ai materazzi, si scannano tra di loro come nel film "Il Padrino" di Coppola.

In un paese serio in cui la carriera di molti magistrati e giornalisti è assicurata "a vita" (e garantita) indagando all'infinito sui misteri d'Italia, e di fronte a tanta "tolleranza servile" l'unica arma difensiva che ci resta è guardare ai fatti nostri con il tarlo del dubbio e con un' (auto)ironia vigile. Tutto il resto è Cafonal.

 

 

 

 

 

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