MANDIAMO LA BOLDRINI A PECHINO: IL GOVERNO CINESE “SUGGERISCE” DI EVITARE LA MINIGONNA CONTRO LE MOLESTIE

Eleonora Barbieri per "Il Giornale"

Alle compagne che vestono un po' troppo striminzito, magari con abiti corti o scollati, minigonne, pantaloncini o jeans a vita bassa, le gerarchie della Repubblica popolare hanno voluto riservare qualche pillola di saggezza: evitate, altrimenti rischiate di essere molestate. Specialmente sugli autobus, o in metropolitana.

Un consiglio ispirato, chiaramente, all'idea tutta egualitaria delle pari opportunità: vestitevi come maschi, e vi scambieranno per tali, e quindi niente stupri. Niente palpeggiamenti fastidiosi. Niente molestie che poi - spiegano sempre le autorità - sono difficili da dimostrare, perché sui mezzi pubblici ci sono poche telecamere e insomma le prove sono scarse, anche se le lamentele e le denunce sono frequenti, soprattutto in estate.

È proprio per via del caldo che la Commissione di pubblica sicurezza di Pechino ha deciso di pubblicare una «guida» on line con i suggerimenti per le donne che si muovono a bordo dei mezzi pubblici. Primo fra tutti, appunto, quello di lasciare nell'armadio gli abitini succinti. Perché potrebbero spingere i compagni (maschi) a molestare chi li indossa. Ma non solo: signore e signorine dovrebbero stare attente a non sedersi ai piani superiori dei bus a due piani o a non fermarsi sulle scale, in piedi, perché qualcuno, dai piani inferiori, potrebbe scattare fotografie sconce a loro insaputa.

E siccome le precauzioni non sono mai troppe, gli esperti della pubblica sicurezza consigliano anche di coprirsi con sacchetti e giornali (ma perché non un sacco nero, o un pratico burqa, o una tuta da addetto alle centrali nucleari?).

La Commissione non è che si sia attivata, per esempio, per aumentare il livello di sicurezza sui mezzi, magari potenziando il servizio di sorveglianza. Non è che abbia chiesto leggi più severe. No. Le molestie sono difficili da provare e, anche quando siano accertate, la pena massima per chi le commette è di quindici giorni di galera. Sul piano dei diritti o della prevenzione da parte della legge, nessuna richiesta, nessun appunto: l'unica idea che siano riusciti a concepire è stata quella di dire alle donne di coprirsi. Di rinunciare a quegli abiti che «rivelano troppo», per evitare di essere «disturbate».

Perché se la colpa è del vestito, la molestia diventa un «disturbo», non un abuso, non proprio una infrazione della legge, faccenda che, come è noto, i cinesi prendono molto seriamente: tanto che Amnesty International ha smesso di pubblicare le stime sulla pena di morte perché coperte dal segreto, anche se dai dati a disposizione, spiega l'ultimo rapporto del 2012, «emerge chiaramente che in Cina avvengono più esecuzioni che nel resto del mondo messo assieme».

Non è che la polizia sia arrivata a dire espressamente che sia colpa delle donne - è solo il passo successivo - ma certo insinuare che se indossano abiti meno «provocanti» allora corrano anche meno rischi è qualcosa che si concilia male (in teoria) con la Repubblica del popolo, popolo in cui tutti sono uguali, e le compagne hanno le stesse aspirazioni e possibilità dei compagni, anche di carriera, per esempio nell'esercito.

È vero che è lo stesso paese dove, sempre in virtù della parità assoluta fra le persone e i sessi, le bambine vengono massacrate nella pancia delle madri, così che il figlio unico imposto dalla legge sia maschio, e così che le femmine ora sono troppo poche, e nelle campagne vengono rapite o vendute per darle in sposa a chi non ne trova una. Fatto sta che, per questioni di pari opportunità, non si persegue il persecutore: se vieni molestata sull'autobus (anzi «disturbata»), la prossima volta mettiti un vestito lungo. O magari stai a casa, a fare figli (maschi).

 

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