UN “REALITY” PUO’ CANCELLARE LA REALTA’? - LA STORIA DI ANIELLO ARENA, KILLER DI CAMORRA, STAR DEL NUOVO FILM DI MATTEO GARRONE -“RIABILITATO” DA REALITY? - NAPOLI RINNEGATA: “NELLA MIA CITTÀ NON ABITERÒ PIÙ. SONO FELICE DI ESSERCI NATO, MA IO SONO CAMBIATO, NAPOLI NO, E’ LO SPECCHIO DI UN PASSATO DA SOTTERRARE” - DI SICURO SOTTOTERRA CI SONO GIA’ FINITI I DUE UOMINI ASSASSINATI DA ANIELLO A COLPI DI KALASHNIKOV…

Malcom Pagani per Il Fatto Quotidiano

La Fortezza si mostra da lontano. Dietro curve, colline e tetri manifesti del Museo della Tortura. Quella di Aniello Arena, ergastolano e attore, si chiama memoria. "Ricordo tutto" dice. Date, nomi e cognomi. Il giorno in cui lo zio lo costrinse a nuotare: "Mi portò dove non potevo toccare e mi ordinò di muovermi", la prima sigaretta: "A 8 anni, chiuso in macchina, quante mazzate quando mi scoprirono", l'ultimo sguardo di chi sta per morire. Aniello Arena uccise. Era un camorrista. Un soldato abituato a usare il Kalashnikov.

Davanti al bar Crocelle, nel gennaio 1991, il gesso della Polizia disegnò 2 sagome ai piedi di un altare sacro. Una madonna silenziosa. I rumori del dolore. Arena venne arrestato un anno dopo. Era in famiglia, al pranzo di Natale. Le origini tradiscono. Le origini si possono tradire. Il killer di ieri, "l'altro Aniello", giura lui, "non esiste più". Anche se Napoli è una ferita, un rimorso, lo specchio riflesso di un passato che, sostiene, "ho fatto di tutto per sotterrare".

Anche per questo, se un domani sfiorerà la libertà, non tornerà a ieri. "Nella mia città non abiterò più. Sono felice di esserci nato, ma io sono cambiato, Napoli no". Aniello è piccolo, muscoloso e mentre parla, fissa l'interlocutore. Fa sorridere gli altri più spesso di quanto non gli capiti. Armando Punzo, l'inventore dell'esperienza del teatro carcerario di Volterra, il missionario che dal 1983 officia decine di spettacoli e offre un'alternativa a chi ha le sbarre come panorama, gli siede accanto.

Fu lui a portare Matteo Garrone a Volterra. In una vecchia foto alla parete c'è Arena, sdraiato. In platea, il regista di "Reality" sembra un bambino. Garrone lo avrebbe voluto anche in "Gomorra". "Non avevo ancora raggiunto i benefici previsti dalla legge" rimpiange lui, ampiamente risarcito dal trionfo di Cannes.

Il manifesto di chi ce l'ha fatta
Per Garrone, l'Arena costretto a dormire a Secondigliano a fine riprese ("Senza mai riuscire a prendere sonno, così quando Matteo, che è pignolo, impiegava ore per allestire una scena, fuggivo in roulotte a riposare") era ed è soltanto un attore. Da quando "Reality" ha iniziato il proprio viaggio, si stupisce,"la mia vita è un po'cambiata".Soprattutto "la percezione degli altri detenuti.

Sono il manifesto del riscatto, quello che ce l'ha fatta". Gli altri sperano: "Se ci è riuscito Aniello, magari capita anche a me". Nel rovesciamento della morale di "Reality" e nell'ossessione circolare per la fama che imprigiona il pescivendolo Luciano fino a renderlo schiavo, Arena non vede metafore. È arrivato a un profondo livello di autoanalisi. Gli errori. Il percorso in salita. La redenzione. Le zone d'ombra. L'idea, insopportabile, che male e bene convivano in una sola identità.

Nel travestirsi da venditore di polpo nei vicoli di Barra, periferia orientale, i luoghi della sua infanzia, "tutto sommato serena, padre disoccupato, madre casalinga, l'arte di arrangiarsi come religione" della perdita dell'innocenza e del sangue irrimediabile, ha mostrato assoluto autocontrollo. Nessuna "esoticità del carcerato", per dirla con Punzo, o suggestione da Forrest Gump.

Solo applicazione. "Da bambino mia madre mi portava a vedere la sceneggiata napoletana. Per me il teatro era solo quello. Quando arrivai qui, feci la domanda per il corso di Punzo senza entusiasmo. Per curiosità ed egoismo. Per non trovarmi da solo in cella a smadonnare". Conquistato, in 20 giorni. "Mi son detto: ‘cazzo, ma che è sta roba? Dove sono vissuto finora?".

Al princìpio era frenato. "Avevo paura di espormi. Poi ho capito che non fregava niente a nessuno e mi sono sbloccato". Mettersi in discussione gli è servito. "Anche a contenere la rabbia. Quando tutte le porte sono chiuse e ciò che sei stato non si cancella devi evadere con la testa". Immaginare la vita non aiuta a viverla. "Ho sempre fatto sport. Non bastava. Armando non mi ha insegnato solo a interpretare un copione, mi è stato amico. Ero depresso. Lui mi aggrediva: ‘Ti deprimi e allora? Cosa ottieni?'". Accento napoletano : "Mi arrabbiavo tantissimo. Ma comm'è? Io sto incazzato e lui mi viene sotto? Arrivai a parlare da solo: ‘Mi sto piangendo addosso, ma alla fine? Lo risolvo ‘o problema? Vai Aniè, alzati di nuovo, cammina'. Aveva ragione lui".

L'amicizia che mantiene vivi oltre il muro invalicabile
Punzo e Arena sono complici. Il primo ironizza: "Gli attori depressi non si sopportano", l'altro lavora di mimica, disegna cerchi nell'aria, agita le mani. "Se lo avessi incontrato prima - non vuole essere una giustificazione - sarebbe andata diversamente. Fino ai 10 anni sono stato una cosa. Dai 10 ai 20 un'altra, a caccia di falsi ideali, accompagnato da individui sbagliati. Scavare nel ragazzo che ero è un dolore e insistere con i ricordi è pericoloso. Rischia di far emergere ciò che ero". Arena non conosce William Blake, ma sa che dell'amore non si parla.

"Sono separato. Ho 2 figli e una compagna. Tutto qui". I ragazzi sono grandi, i rapporti mediati da troppi filtri. A quando la guardia riconsegnerà una distinta per la firma e un sacco colmo di masserizie ingiallite, Arena pensa spesso. "Ma almeno per adesso non c'è niente ‘a ffa. Devo affrontare alcune tappe e comunque, non deciderò io. Non ho un ‘fine pena', sono nelle mani degli altri. Se mi comporterò bene, ci sarà la semilibertà e poi la condizionale". La fine. Il nuovo inizio. Nell'attesa, Arena continuerà a recitare guidato da Punzo.

Se il maestro rifiuta beatificazioni : "Salvare l'uomo, dal punto di vista artistico, non paga. Ti convinci del tuo ruolo civile, sostieni di fare qualcosa per loro, ma rischi di farlo solo per te stesso", l'allievo non dubita: "Il teatro ha fatto uscire fuori quello che ero. Il mio carattere, le mie debolezze. Anche attraverso le parole di un autore come Scespìr". Non più solo "Aniello il detenuto, ma tutti gli altri Aniello". Ancora la lingua di Napoli. La scoperta che non si ferma: "A me mi piace ‘sta cosa che tu sei tu. Lì sopra. Con il tuo corpo, la tua voce, i tuoi gesti".

Nel giardino di Carte Bianche, l'associazione che lo ha assunto e che grazie all'Articolo 21 gli permette di essere seduto fuori dalla cella a raccontarsi, l'ex ingranaggio di un'epoca lontana ha imparato a far scorrere le ore. A dare un senso alle tacche sparse tra gli istituti di pena di mezza Italia, ai pupazzi di neve fatti a Campobasso, al sole estivo di Vasto, alla durezza di Viterbo. Ogni tanto l'orologio si ferma. E capita di confondere il giorno con la notte. "Quando sono andato a Roma per la conferenza stampa ho dormito a Rebibbia. Alle 5 di mattina sento battere sulla cella.

Era un vecchio compagno di detenzione che usciva per il lavoro esterno. ‘Aniè, ma davvero hai fatto ‘o film? Fatti abbracciare'. Abbiamo messo su un caffè, assaporato la distanza". C'è sempre una clessidra di mezzo. Ora Aniello deve andare. Esce in giardino, il portone della Fortezza a un passo. Il coniglio di Alice gli gira intorno. Ognuno ha un proprio paese delle meraviglie.

 

 

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