
LA VENEZIA DEI GIUSTI - IL SECONDO FILM IN CONCORSO A VENEZIA 82 È “ORPHAN” (“ARVA”) DELL’UNGHERESE LÁSZLÓ NEMES, CHE SI PRESENTA CON UN FORTE DRAMMONE CON BAMBINO PROTAGONISTA POST-OLOCAUSTO: FILMONE UN PO’ LUNGO, MA DI GRANDE LIVELLO SOTTO TUTTI I PUNTI DI VISTA, ATTORI E SOPRATTUTTO RICOSTRUZIONI SCENOGRAFICHE DELLA BUDAPEST DEL TEMPO - BELLO, SERIO, GRANDE FOTOGRAFIA...
Marco Giusti per Dagospia
Il secondo film in concorso a Venezia 82 è “Orphan” (“Arva”) dell’ungherese László Nemes, il regista, allievo di Bela Tarr, che molto colpì la scena internazionale con “Il figlio di Saul”, grande film sull’Olocausto di pochi anni fa. Si presenta qui con un forte drammone con bambino protagonista post-Olocausto.
Il piccolo Andor Hirsch, è cresciuto negli orfanotrofi alla fine della guerra quando la mamma, Klara, interpretata da Andrea Waskovics, lo ritrova e lo porta a casa a Budapest, Cresce con la convinzione che il padre, ebreo ungherese, prima o poi ritornerà.
Convinzione che non cambia quando, nel 1958, dopo l’occupazione sovietica dell’Ungheria e la tragica repressione militare, lo troviamo cresciuto, l’interprete è il favoloso Borjorjan Barabas, come un tipico ragazzino che vive gran parte della sua vita per le strade della città, rese ancor più pericolose dalla polizia russa che spara a vista a chi osi ribellarsi.
E’ allora che dal nulla appare un rozzo macellaio di campagna, Mihaly, interpretato dal monumentale Gregory Gadebois, che la madre è costretta a accettare come suo uomo e Andor come figlio. Il problema è che la storia che Klara non ha raccontato a Andor cosa le è capitato durante la guerra quando era sfollata in campagna e il macellaio le ha salvato la vita. Probabilmente, insomma, non è, come credeva, figlio del martire ebreo Hirsch, ma del mostruoso macellaio.
La perdita di una identità forte come quella ebrea dopo gli anni dello Shoah, fa perdere il controllo a Andor che inizia a odiare il nuovo padre. Filmone un po’ lungo, ma di grande livello sotto tutti i punti di vista, attori e soprattutto ricostruzioni scenografiche della Budapest del tempo, “Orphan” è un ulteriore dramma sulla ricerca di identità in un momento in cui essere ebreo, cioè poter far parte di una famiglia, di una comunità, può salvarti dal nulla che hai accanto a te.
Può storicizzarti. L’idea di essere orfano, cioè di perdere qualsiasi paternità possibile, fa precipitare il piccolo Andor in una dimensione di tristezza assoluta. Bello, serio, grande fotografia.