UN CAFFE' E UNA SENTENZA: AL TAR COME AL BAR, IN MANETTE IL GIUDICE DE BERNARDI

Lavinia Di Gianvito per Corriere.it

«Un cappuccino anche per il giudice». Sono state intercettazioni come questa a incastrare il gruppo che al Tar del Lazio decideva chi dovesse vincere i ricorsi a suon di tangenti. In carcere sono finiti Franco De Bernardi, magistrato della seconda sezione quater, l'avvocato Matilde De Paola e Giorgio Cerruti, considerato uno degli intermediari delle tangenti. Gli altri due, Marco Pinti e Francesco De Sanctis, sono ai domiciliari insieme all'ex presidente della Popolare di Spoleto, Giovannino Antonini, e all'amministratore delegato della ICS Grandi Lavori, Franco Clementi.

Fra gli indagati, il fondatore dell'impresa di costruzioni Claudio Salini e due ufficiali, l'ammiraglio di squadra Marcantonio Trevisani, da cinque anni presidente del Centro alti studi per la difesa, la principale scuola di formazione degli ufficiali italiani, e il suo collega Luciano Callini, ai vertici dello stato maggiore della Difesa, nei mesi scorsi consulente del caso dei due marò indagati in India per omicidio.

I RICORSI TRUCCATI
Sarebbero decine le cause pilotate contestate dal procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e dal pm Stefano Pesci. E ammonterebbero a cifre tra 10 mila e 50 mila euro le tangenti ricostruite grazie alle conversazioni intercettate per un anno dai carabinieri del Noe, al comando del capitano Pietro Rajola Pescarini.

Attraverso sentenze pilotate l'ex presidente della Popolare di Spoleto, dopo aver incontrato il giudice a cena in un ristorante dei Parioli (su invito di Cerruti), ha vinto il ricorso contro il ministero dell'Economia che aveva commissariato la banca per un buco di diversi milioni di euro. E la ICS Grandi Lavori ha sconfitto il Campidoglio che aveva assegnato a un'altra impresa l'appalto da 25 milioni di euro per la costruzione del ponte della Scafa.

L'ACCORDO FRA IL GIUDICE E L'AVVOCATO
Secondo chi indaga, gli intermediari (Cerruti, Pinti e De Sanctis) conducevano dal magistrato i ricorrenti pronti a ottenere una sentenza favorevole a ogni costo e questi li invitata a rivolgersi all'avvocato, che «sapeva come fare». Ma il ruolo di De Bernardi non era limitato all'invio dei clienti allo studio legale: smessa la toga indossata al mattino al Tar, il magistrato si trasformava in avvocato e scriveva memorie per sostenere le tesi dei ricorrenti.

Scrive infatti il gip Maria Paola Tomaselli nelle 101 pagine dell'ordinanza: «Il giudice aveva stretto con la De Paola un accordo corruttivo "aperto" in virtù del quale egli, in cambio di una parte degli onorari, non solo avrebbe indirizzato alla medesima persone che a lui si rivolgevano, ma avrebbe altresì supportato il ricorrente mediante una fattiva collaborazione nell'attività di assistenza legale».

Ancora: De Bernardi si sarebbe «adoperato per utilizzare la sua collocazione presso il tribunale del Lazio al fine di influenzare a vantaggio del cliente l'esito dei procedimenti sia cercando di indirizzare le cause in udienze nelle quali era prevista la sua presenza, sia svolgendo un'attività di sensibilizzazione nei confronti di giudici amici».

LA SECONDA VOLTA
L'inchiesta, durata un anno, è partita dagli atti trasmessi dalla procura di Napoli, che ha raccolto i primi indizi indagando su una storia di camorra. Il giudice e l'avvocato sono stati arrestati per corruzione in atti giudiziari, gli altri per corruzione. De Bernardi era già finito in carcere a maggio scorso a Palermo nell'ambito di un'inchiesta su un traffico di lingotti d'oro (ma dopo tre giorni l'ordinanza era stata annullata), mentre Cerruti è noto alle cronache poiché nel '93 la sua Compagnia generale finanziaria fallì lasciando un buco di 100 miliardi di lire. Legato alla massoneria e a Flavio Carboni, gli inquirenti erano arrivati a Cerruti seguendo i soldi di Licio Gelli.

GLI AMMIRAGLI
Stando all'ordinanza, De Bernardi avrebbe curato i loro ricorsi «per mezzo dello studio De Paola» e avrebbe «percepito dall'avvocato un compenso di circa 10 mila euro». Una tangente, secondo la procura, mascherata attraverso una fattura per consulenza emessa da Mandija Evis, compagna albanese del magistrato. Su Callini, poi, c'è un'intercettazione che lascia pochi dubbi, visto che De Bernardi, al telefono con l'avvocato De Paola, racconta: «Gli ho fatto una sentenza ad hoc».

 

togheToghe RosseTar del Lazio

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