LA CINA SI CUCINA LA PROSSIMA GENERAZIONE DI LEADER - DOPO LA FRAGOROSA USCITA DI BO XILAI, TRA CORNA E OMICIDI, IL POLITBURO DEL PARTITO COMUNISTA STA PER ESSERE RINNOVATO - AL POTERE ANDRÀ L’ATTUALE VICEPRESIDENTE XI JINPING, LI KEQIANG NUMERO DUE - INCERTO IL DESTINO DI HU JINTAO: POTREBBE DIRIGERE L’ESERCITO, RUOLO CHIAVE - LA MAGGIORE NOVITÀ È HU CHUNHUA, GIÀ PAPABILE PER LA PRESIDENZA DEL 2022…

Francesco Sisci per "Il Sole 24 Ore"

Si tratta dell'evento politico più importante del mondo, in cui sarà scelto tutto il gruppo dirigente della seconda grande potenza, quella emergente, la Cina.

La sua leadership concentrerà poteri che negli Stati Uniti, la prima potenza, sono per la maggior parte divisi tra presidente, parlamento, corte suprema, Federal Reserve, giornali e persino associazione degli imprenditori. In Cina invece, paese semi imperiale, semi leninista, semi capitalista, per ciascuno di questi poteri o voci o gruppi di interesse un rappresentante siederà nell'ufficio politico centrale, il comitato permanente del politburo.

Ciò serve a comprendere quanto sia in realtà importante il congresso del Partito Comunista cinese che dopo cinque anni tornerà a riunire a Pechino a metà ottobre circa 2.200 delegati. Stavolta l'appuntamento è ancora più importante poiché tutto il vertice dovrebbe essere rinnovato, dopo due mandati, e dovrebbe andare al potere l'attuale vicepresidente Xi Jinping.

In questa piramide, a differenza del sistema imperiale o leninista, non c'è più però un vertice chiaro, anche se a differenza del sistema capitalista non c'è ancora dialogo chiaro e trasparente fra i vari poteri. L'enfasi sull'idea di una leadership collettiva, da Deng Xiaoping in poi, e i vari "semi imperiale, semi leninista, semi capitalista" indicano come la Cina sia un paese in grande trasformazione istituzionale. L'elemento più importante è quali riforme strutturali, amministrative e politiche emergeranno dal congresso. Questo sarà il cuore vero della riunione, prevista intorno alla metà di ottobre. Ma su questo non ci sono né ci saranno anticipazioni concrete. Di certo c'è il fatto importantissimo che si tratterà di una "democratizzazione". Ma in che senso?

La fazione che si riconosceva nell'ex segretario del Partito di Chongqing Bo Xilai voleva una specie di restaurazione maoista. Chiedeva maggiori poteri per il politburo di Pechino e soprattutto, in economia, appoggiava le imprese di Stato contro quelle private. Il ruolo crescente delle imprese private in Cina era considerato ormai il punto di rottura dell'intero sistema politico nazionale: le imprese private avrebbero potuto condizionare le scelte politiche nazionali come avviene nei paesi capitalistici.

Oggi che Bo è stato sconfitto l'idea, pur debole, rimane. Inoltre se la restaurazione non funziona ed è chiara la volontà di muoversi verso la democrazia non è affatto chiaro come trasformare il corpaccione burocratico, e tutto sommato efficiente, del Partito secondo le regole democratiche occidentali senza provocare sconquassi. Una eventuale crisi, vista l'importanza della Cina nell'economia mondiale, potrebbe diventare un danno globale. Inoltre un passaggio verso la democrazia è nei fatti condizione necessaria per cominciare a realizzare l'agognata unificazione con l'isola di Taiwan, (indipendente nei fatti ma in teoria parte di un'unica Cina).

A questa delicatissima rotta volta a tenere il Partito unito e traghettarlo verso il futuro lavora l'attuale dirigenza. Proprio per l'importanza del processo in corso, i restauratori accusano oggi Deng, prima santificato, di avere rovinato il Paese e arrivano a sostenere che senza le riforme di Deng e con il regime di Mao oggi la Cina sarebbe più ricca e potente.

Con alle spalle questo acceso dibattito non c'è chiarezza sui nomi o le competenze che potranno avere i membri del futuro politburo. La prima incertezza riguarda il presidente attuale Hu Jintao. Non è chiaro se lascerà tutte le cariche o manterrà quella cruciale di presidente della commissione militare centrale, ultimo garante del potere cinese. Nel congresso del 2002, che portò al potere Hu, il presidente precedente Jiang Zemin mantenne la guida dei militari per altri due anni. Hu, sul modello di Jiang, potrebbe conservare il potere per un paio di anni.

O forse di più, visto che a novembre non avrà compiuto 70 anni, mentre Jiang si ritirò completamente a 78 anni. Voci però raccontano che Hu potrebbe lasciare completamente, e in questo marcare una cesura netta con il passato. Inoltre sul politburo c'è ancora grande confusione. I pochi dati certi paiono essere che Xi avrà la presidenza dello Stato e Li Keqiang sarà il suo numero 2 nel Partito. Ma non è scontato che Li sarà il primo ministro. Potrebbe ottenere la presidenza del parlamento, lo Npc (Il congresso nazionale del popolo). Per sciogliere il dilemma bisognerà aspettare marzo del 2013, prossima sessione del Npc.

Sembra poi esserci consenso sul fatto che il politburo sarà ridotto di numero, dagli attuali nove membri a sette. Ma neanche su questo non vi è una strada tracciata: ogni decisione può essere ribaltata fino all'ultimo momento.

Infine vi è incertezza sugli altri cinque promossi. Voci danno per certa la promozione nell'empireo del potere di Li Yuanchao, attuale capo dell'ufficio organizzazione del Partito, ma non si sa bene con quale incarico. Incerto il destino di Zhang Dejiang, attuale segretario del Partito nella mega metropoli di Chongqing, mandato a rimettere ordine dopo la purga del deposto e neo-maoista Bo Xilai, e poi anche di Wang Yang, segretario della provincia meridionale del Guangdong, rivale del modello politico di Bo.

L'elemento di maggiore novità sarebbe rappresentato dall'arrivo nel politburo di Hu Chunhua, classe 1960. Hu potrebbe essere il presidente della Cina nel 2022. Che riesca ad approdare direttamente al vertice o meno Hu è il futuro. Attualmente segretario del Partito in Mongolia interna Hu ha vissuto in Tibet per "duecento mesi". La sua promozione e il suo corso di carriera indicano come l'attuale leadership pensi sia essenziale concentrarsi sulla questione delle minoranze etniche e in particolare su quella tibetana. Questo è il tema di lungo termine del futuro, sembra dire il Partito. Alla riforma politica e istituzionale invece penseranno Hu e il suo successore Xi.

 

 

XI JINPING jpeghu jintao WEN JiabaoHu Chunhua Li Yuanchao Li Yuanchao Hu Chunhua LI KEQIANG Wang Yang

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ignazio la russa matteo salvini antonio tajani

DAGOREPORT – LE REGIONALI SONO ANDATE A FINIRE COME NON VOLEVA, SALTELLANDO FUNICULÌ-FUNICULÀ, GIORGIA MELONI: LA "STATISTA DELLA SGARBATELLA", CHE RISCHIA DI NON TORNARE A PALAZZO CHIGI TRA DUE ANNI, ACCELERA SULLA DOPPIETTA PREMIERATO-LEGGE ELETTORALE, MA NON TUTTO FILA LISCIO A PALAZZO CHIGI: SALVINI E TAJANI SPUTERANNO SANGUE PUR DI OPPORSI ALL’INDICAZIONE DEL NOME DEL PREMIER SULLA SCHEDA ELETTORALE, CHE FINIREBBE PER CANNIBALIZZARLI - LA LEGA È CONTRARISSIMA ANCHE AL PREMIO DI MAGGIORANZA ALLA COALIZIONE (CON LA SOGLIA AL 40%, LA LEGA DIVENTEREBBE SACRIFICABILE) – ALTRA ROGNA: IGNAZIO LA RUSSA SCENDE IN CAMPO IN MODALITÀ SCASSA-MELONI: HA RINFOCOLATO LA POLEMICA SU GAROFANI E SE NE FOTTE DEI DIKTAT DELLA DUCETTA (FIDANZA SINDACO DI MILANO? NO, MEJO LUPI; PRANDINI GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA? NO, QUELLA È ROBA MIA)

francesco de tommasi marcello viola daniela santanche ignazio leonardo apache la russa davide lacerenza pazzali

DAGOREPORT - CHE FINE HANNO FATTO LE INCHIESTE MILANESI SULLA SANTANCHE', SUL VISPO FIGLIO DI LA RUSSA, SUL BORDELLO DELLA "GINTONERIA" AFFOLLATA DI POLITICI, IMPRENDITORI E MAGISTRATI, OPPURE SULL'OSCURA VENDITA DELLA QUOTA DI MPS DA PARTE DEL GOVERNO A CALTAGIRONE E COMPAGNI? - A TALI ESPLOSIVE INDAGINI, LE CUI SENTENZE DI CONDANNA AVREBBERO AVUTO UN IMMEDIATO E DEVASTANTE RIMBALZO NEI PALAZZI DEL POTERE ROMANO, ORA SI AGGIUNGE IL CASO DEL PM FRANCESCO DE TOMMASI, BOCCIATO DAL CONSIGLIO GIUDIZIARIO MILANESE PER “DIFETTO DEL PREREQUISITO DELL’EQUILIBRIO” NELL’INDAGINE SUL CASO DI ALESSIA PIFFERI – MA GUARDA IL CASO! DE TOMMASI È IL PM DELL’INCHIESTA SUI DOSSIERAGGI DELL’AGENZIA EQUALIZE DI ENRICO PAZZALI, DELICATISSIMA ANCHE PER I RAPPORTI DI PAZZALI CON VERTICI GDF, DIRIGENTI DEL PALAZZO DI GIUSTIZIA MILANESE E 007 DI ROMA - SE IL CSM SPOSASSE IL PARERE NEGATIVO DEL CONSIGLIO GIUDIZIARIO, LA CARRIERA DEL PM SAREBBE FINITA E LE SUE INDAGINI SUGLI SPIONI FINIREBBERO NEL CESTINO - LA PROCURA DI MILANO RETTA DA MARCELLO VIOLA, CON L'ARRIVO DELL'ARMATA BRANCA-MELONI, E' DIVENTATA IL NUOVO ''PORTO DELLE NEBBIE''?

giorgia meloni regionali de luca zaia salvini conte stefani decaro fico

DAGOREPORT: COME SI CAMBIA IN 5 ANNI - PER CAPIRE COME SIA ANDATA DAVVERO, OCCORRE ANALIZZARE I VOTI ASSOLUTI RIMEDIATI DAI PRINCIPALI PARTITI, RISPETTO ALLE REGIONALI DEL 2022 - LA LEGA HA BRUCIATO IL 52% DEI VOTI IN VENETO. NEL 2020 LISTA ZAIA E CARROCCIO AVEVANO OTTENUTO 1,2 MILIONI DI PREFERENZE, QUESTA VOLTA SOLO 607MILA. CONSIDERANDO LE TRE LE REGIONI AL VOTO, SALVINI HA PERSO 732MILA VOTI, IL 47% - TONFO ANCHE PER I 5STELLE: NEL TOTALE DELLE TRE REGIONI HANNO VISTO SFUMARE IL 34% DELLE PREFERENZE OTTENUTE 5 ANNI FA – IL PD TIENE (+8%), FORZA ITALIA IN FORTE CRESCITA (+28,3%), FDI FA BOOM (MA LA TENDENZA IN ASCESA SI È STOPPATA) – I DATI PUBBLICATI DA LUIGI MARATTIN....

luca zaia matteo salvini alberto stefani

DAGOREPORT – DOPO LA VITTORIA DEL CENTRODESTRA IN VENETO, SALVINI NON CITA QUASI MAI LUCA ZAIA NEL SUO DISCORSO - IL “DOGE” SFERZA VANNACCI (“IL GENERALE? IO HO FATTO L'OBIETTORE DI COSCIENZA”) E PROMETTE VENDETTA: “DA OGGI SONO RICANDIDABILE” – I RAS LEGHISTI IN LOMBARDIA S’AGITANO PER L’ACCORDO CON FRATELLI D’ITALIA PER CANDIDARE UN MELONIANO AL PIRELLONE NEL 2028 - RICICCIA CON PREPOTENZA LA “SCISSIONE” SUL MODELLO TEDESCO CDU-CSU: UN PARTITO “DEL TERRITORIO”, PRAGMATICO E MODERATO, E UNO NAZIONALE, ESTREMISTA E VANNACCIZZATO…

luca zaia roberto vannacci matteo salvini

NON HA VINTO SALVINI, HA STRAVINTO ZAIA – IL 36,38% DELLA LEGA IN VENETO È STATO TRAINATO DA OLTRE 200 MILA PREFERENZE PER IL “DOGE”. MA IL CARROCCIO DA SOLO NON AVREBBE COMUNQUE VINTO, COME INVECE CINQUE ANNI FA: ALLE PRECEDENTI REGIONALI LA LISTA ZAIA PRESE DA SOLA IL 44,57% E IL CARROCCIO IL 16,9% - SE SALVINI PIANGE, MELONI NON RIDE: NON È RIUSCITA A PRENDERE PIÙ VOTI DELLA LEGA IN VENETO E IN CAMPANIA È TALLONATA DA FORZA ITALIA (11,93-10,72%). PER SALVINI E TAJANI SARÀ DIFFICILE CONTRASTARE LA RIFORMA ELETTORALE - PER I RIFORMISTI DEL PD SARÀ DURA DARE UN CALCIO A ELLY SCHLEIN, AZZERATE LE AMBIZIONI DI GIUSEPPE CONTE COME CANDIDATO PREMIER - "LA STAMPA": "IL VOTO È LA RIVINCITA DELLA ‘LEGA NORD’ SU QUELLA SOVRANISTA E VANNACCIANA: LA SFIDA IDEOLOGICA DA DESTRA A MELONI NON FUNZIONA. IL PARTITO DEL NORD COSTRINGERÀ SALVINI AD ESSERE MENO ARRENDEVOLE SUI TAVOLI DELLE CANDIDATURE. SUL RESTO È LECITO AVERE DUBBI…”