COME SI ESCE DALLA PALUDE DELL’ARTICOLO 18? RIBALTANDO L’ONERE DELLA PROVA: SARANNO I LAVORATORI A DOVER DIMOSTRARE DI ESSERE STATI LICENZIATI INGIUSTAMENTE

Andrea Cuomo per “il Giornale

 

RENZI POLETTI
RENZI POLETTI

La vera rivoluzione renziana del lavoro è l'inversione dell'onere della prova sull'articolo 18. Vale a dire: spetterà al dipendente convinto di essere stato licenziato ingiustamente o illegittimamente dover dimostrare le sue ragioni per chiedere il reintegro (o l'indennizzo) e non l'azienda a dover fornire le prove che la «scagionano». Un'idea forte, che ridurrebbe quella sorta di tana-libera-tutti per via giudiziaria che grava sul mercato del lavoro e che potrebbe davvero far saltare il chiavistello del reintegro a tutti i costi che finora ha penalizzato i datori di lavoro.


Ma quella di Renzi è anche una risposta a quanti lo accusano di inzuccherare la riforma del lavoro, come ieri ha fatto la Frankfurter Allgemeine Zeitung parlando di «annuncite» del premier. E pazienza se all'orizzonte si profila forte e chiaro un inasprimento dello scontro del premier con i sindacati e con l'ala sinistra del Pd che sul Jobs Act sta combattendo una guerra di trincea. 

RENZI POLETTI
RENZI POLETTI


L'armistizio che sembrava imminente è rinviato a data da destinarsi. Il successo quasi bulgaro nella direzione di lunedì scorso ha convinto Renzi ad andare diritto per la sua strada alla faccia dei «diciottisti», i compagni di partito che non vogliono svuotare del tutto l'articolo dello Statuto dei lavoratori che rende il licenziamento un percorso a ostacoli. Attualmente la legge prevede tre tipologie di licenziamenti.

 

Se su due - quello discriminatorio, per il quale il reintegro è un totem che nessuno si permette di toccare, e quello economico, per il quale al dipendente resterebbe solo un diritto al risarcimento - regna la pax, la battaglia si incentra sul terzo, quello disciplinare, il più importante perché il più fumoso e quindi quello che attualmente dà origine al maggior numero di reintegri.

 

maria elena boschimaria elena boschi

La linea del Piave della riforma. Inizialmente il governo aveva annunciato di voler sbianchettare totalmente il reintegro per questo tipo di interruzione di rapporto di lavoro, sia nel caso di giusta causa (una presunta violazione grave del dipendente) sia per giustificato motivo (mancanze meno gravi). La guerriglia comunarda ha però costretto Renzi ad aprire a una modifica del Jobs Act su questa materia, che però trasformerebbe la riforma del lavoro nella solita «riformina» renziana.

 

Fino a martedì sembrava imminente un emendamento del governo che recepisse l'accordo raggiunto lunedì nella direzione politica del Pd. Ma ora pare chiaro che il governo voglia tirar dritto, affidando eventuali correzioni di tiro ai margini di manovra che comunque la delega gli lascia. Renzi accontenta così la richiesta dell'Ncd espressa da un allarmatissimo Maurizio Sacconi, che del Jobs Act è relatore in commissione Lavoro del Senato: «Non è detto che verrà presentato un emendamento aggiuntivo perché la delega contiene criteri precisi, ma anche sufficientemente ampi per poi entrare in dettagli successivamente».

 

MAURIZIO SACCONI OCCHIO BENDATOMAURIZIO SACCONI OCCHIO BENDATO

E la renziana di ferro Maria Elena Boschi conferma, allontanando le voci di un possibile ricorso al decreto: «Il ministro Poletti sta valutando in queste ore se presentare un emendamento o ritenere sufficiente il testo della delega e tradurre l'accordo politico nei decreti delegati».


Alla fine l'accordo politico tutto interno al Pd per un ammorbidimento sull'articolo 18 da parte del governo finirà probabilmente declassato a semplice ordine del giorno. Una mozione di intenti e poco più, che sa tanto di trappola per i pasdaràn del reintegro. «Un semplice ordine del giorno non è sufficiente. Già la legge delega è generica, così sarebbe troppo», soffia frustrato Federico Fornaro, senatore della minoranza Pd. La riforma è una coperta corta: se la tiri da una parte scopri l'Ncd, se la tiri dall'altra fai prendere freddo ai veterocomunisti. Quello che sembra stare sempre al caldo è Renzi.

 

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ursula von der leyen donald trump dazi matteo salvini

LA LETTERINA DELL’AL CAFONE DELLA CASA BIANCA È UNA PISTOLA PUNTATA ALLA TEMPIA DEI LEADER EUROPEI, CUI È RIMASTA UNA SOLA VIA DI USCITA, QUELLA COSIDDETTA “OMEOPATICA”: RISPONDERE AL MALE CON IL MALE. LINEA DURA, DURISSIMA, ALTRIMENTI, ALLE LEGNATE DI TRUMP, DOMANI, ALL’APERTURA DELLE BORSE, SI AGGIUNGERANNO I CALCI IN CULO DEI MERCATI. LA CINA HA DIMOSTRATO CHE, QUANDO RISPONDI CON LA FORZA, TRUMP FA MARCIA INDIETRO - SE LA “GIORGIA DEI DUE MONDI” ORMAI È RIMASTA L’UNICA A IMPLORARE, SCODINZOLANTE, “IL DIALOGO” COL DAZISTA IN CHIEF, NEMMENO LE CIFRE CATASTROFICHE SULLE RIPERCUSSIONI DELLE TARIFFE USA SULLE  AZIENDE ITALIANE, TANTO CARE ALLA LEGA, HA FERMATO I DEMENZIALI APPLAUSI ALLA LETTERA-RAPINA DA PARTE DI MATTEO SALVINI – ASCOLTATE JOSEPH STIGLITZ, PREMIO NOBEL PER L’ECONOMIA: “TRUMP NON AGISCE SECONDO ALCUN PRINCIPIO ECONOMICO, NON CONOSCE LO STATO DI DIRITTO, È SEMPLICEMENTE UN BULLO CHE USA IL POTERE ECONOMICO COME UNICA LEVA. SE POTESSE, USEREBBE QUELLO MILITARE’’

steve witkoff marco rubio sergei lavrov

RUBIO, IL TAJANI STARS AND STRIPES – IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO NON TOCCA PALLA E SOFFRE IL POTERE DI STEVE WITKOFF, INVIATO DI TRUMP IN MEDIO ORIENTE CHE SE LA COMANDA ANCHE IN UCRAINA. IL MINISTRO DEGLI ESTERI USA PROVA A USCIRE DALL’ANGOLO PARLANDO DI “NUOVA IDEA” DELLA RUSSIA SUI NEGOZIATI IN UCRAINA. MA IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI PUTIN, LAVROV, SUBITO VEDE IL BLUFF: “CONFERMIAMO LA NOSTRA POSIZIONE” – TRUMP AVEVA OFFERTO DI TUTTO A WITKOFF, MA L’IMMOBILIARISTA NON HA VOLUTO RUOLI UFFICIALI NELL’AMMINISTRAZIONE. E TE CREDO: HA UN CONFLITTO DI INTERESSE GRANDE QUANTO UN GRATTACIELO...

diletta leotta ilary blasi stefano sala pier silvio berlusconi

FLASH – IL BRUTALE AFFONDO DI PIER SILVIO BERLUSCONI SU ILARY BLASI E DILETTA LEOTTA (“I LORO REALITY TRA I PIÙ BRUTTI MAI VISTI”), COSÌ COME IL SILURAMENTO DI MYRTA MERLINO, NASCE DAI DATI HORROR SULLA PUBBLICITÀ MOSTRATI A “PIER DUDI” DA STEFANO SALA, AD DI PUBLITALIA (LA CONCESSIONARIA DI MEDIASET): UNA DISAMINA SPIETATA CHE HA PORTATO ALLA “DISBOSCATA” DI TRASMISSIONI DEBOLI. UN METODO DA TAGLIATORE DI TESTE BEN DIVERSO DA QUELLO DI BABBO SILVIO, PIÙ INDULGENTE VERSO I SUOI DIPENDENTI – A DARE UNA MANO A MEDIASET NON È LA SCURE DI BERLUSCONI JR, MA LA RAI: NON SI ERA MAI VISTA UNA CONTROPROGRAMMAZIONE PIÙ SCARSA DI QUELLA CHE VIALE MAZZINI, IN VERSIONE TELE-MELONI, HA OFFERTO IN QUESTI TRE ANNI…

giorgia meloni elly schlein luca zaia vincenzo de luca eugenio giani elly schlein elezioni regionali

PER UNA VOLTA, VA ASCOLTATA GIORGIA MELONI, CHE DA MESI RIPETE AI SUOI: LE REGIONALI NON VANNO PRESE SOTTOGAMBA PERCHÉ SARANNO UN TEST STRADECISIVO PER LA MAGGIORANZA – UNA SPIA CHE IL VENTO NON SPIRI A FAVORE DELLE MAGNIFICHE SORTI DELL’ARMATA BRANCA-MELONI È IL TENTATIVO DI ANTICIPARE AL 20 SETTEMBRE IL VOTO NELLE MARCHE, DOVE IL DESTRORSO ACQUAROLI RISCHIA DI TORNARE A PASCOLARE (IL PIDDINO MATTEO RICCI È IN LEGGERO VANTAGGIO) – IL FANTASMA DI LUCA ZAIA IN VENETO E LE ROGNE DI ELLY SCHLEIN: JE RODE AMMETTERE CHE I CANDIDATI DEL PD VINCENTI SIANO TUTTI DOTATI DI UN SANO PEDIGREE RIFORMISTA E CATTO-DEM. E IN CAMPANIA RISCHIA LO SCHIAFFONE: SI È IMPUNTATA SU ROBERTO FICO, IMPIPANDOSENE DI VINCENZO DE LUCA, E SOLO UNA CHIAMATA DEL SAGGIO GAETANO MANFREDI LE HA FATTO CAPIRE CHE SENZA LO “SCERIFFO” DI SALERNO NON SI VINCE…

marina pier silvio berlusconi giorgia meloni

NULLA SARÀ COME PRIMA: PIER SILVIO BERLUSCONI, VESTITO DI NUOVO, CASSA IL SUO PASSATO DI RAMPOLLO BALBETTANTE E LANCIA IL SUO PREDELLINO – IN UN COLPO SOLO, CON IL COMIZIO DURANTE LA PRESENTAZIONE DEI PALINSESTI, HA DEMOLITO LA TIMIDA SORELLA MARINA, E MANDATO IN TILT GLI OTOLITI DI GIORGIA MELONI, MINACCIANDO LA DISCESA IN CAMPO. SE SCENDE IN CAMPO LUI, ALTRO CHE 8%: FORZA ITALIA POTREBBE RISALIRE (E MOLTO) NEI SONDAGGI (IL BRAND BERLUSCONI TIRA SEMPRE) – NELLA MILANO CHE CONTA IN MOLTI ORA SCOMMETTONO SUL PASSO INDIETRO DI MARINA DALLA GESTIONE “IN REMOTO” DI FORZA ITALIA: D'ALTRONDE, LA PRIMOGENITA SI È MOSTRATA SEMPRE PIÙ SPESSO INDECISA SULLE DECISIONI DA PRENDERE: DA QUANTO TEMPO STA COGITANDO SUL NOME DI UN SOSTITUTO DI TAJANI?