È ANCORA “GUERRA CIVILE” IN SIRIA QUANDO È COMBATTUTA DA MILIZIE DI HEZBOLLAH E IRAN, ED È PAGATA DA QATAR, USA, GB, RUSSIA, TURCHIA E SAUDITI?

Francesca Paci per "La Stampa"

Possiamo ancora chiamare guerra civile l'infinita crisi siriana che ammonta già ad almeno 80 mila vittime? Il protagonismo dei miliziani sciiti di Hezbollah nella battaglia di Qusayr, in cui ne sarebbero caduti una trentina compreso il venerato comandante Fady al-Jazzar, allarga definitivamente il campo al vicino Libano, dove, di riflesso, 3 persone sono morte ieri a Tripoli nell'ennesimo scontro tra sunniti e alawiti.

Ma tutti i paesi della regione sono ormai belligeranti, chi indirettamente, come i filo-ribelli Qatar, Arabia Saudita e Turchia (più una defilata Giordania timorosa anche dei suoi passi), chi in prima linea (Hezbollah accanto a Damasco e, a detta dei ribelli, l'Iran).

«Ci approssimiamo al collasso della Siria e a una catastrofe regionale» ammonisce il ministro degli Esteri britannico William Hague auspicando l'efficacia della conferenza di pace «Ginevra 2». Parole che suonano tardive mentre Damasco annuncia di aver intercettato un veicolo militare israeliano vicino a Qusayr e soprattutto l'Iraq viene travolto da una raffica di attentati contro obiettivi sciiti (85 morti e centinaia di feriti in ventiquattr'ore) da evocare i peggiori scontri interconfessionali del 2006/2007.

Il governo di Baghdad, unico tra le cancellerie arabe a essere guidato dalla minoranza sciita (un tempo oppressa da Saddam), sostiene di volersi mantenere neutrale nella contigua crisi, ma non cela la paura di un post Assad controllato dai cugini siriani di quei sunniti che da mesi manifestano nelle principali città dell'Iraq contro il premier e i suoi ministri.

Non a caso l'Iraq accoglie pochissimi profughi siriani (alcune frontiere come al Qaim sono serrate). Di fatto, sebbene giuri il contrario, Baghdad chiude più di un occhio sul passaggio delle armi iraniane dirette a Damasco, un po' pilatescamente ma un po' per saldare l'alleanza con Teheran nel Medioriente che pullula di nemici.

«L'Iran è visto ora con ostilità nella maggioranza dei Paesi arabi dove cresce un settarismo assente nelle prime fasi della primavera araba» scrive il sondaggista James Zogby nel volume «Looking at Iran».

D'altra parte l'avanguardia del fronte anti-ayatollah, che è rappresentata oggi dall'opposizione siriana, annovera tra le sue fila parecchi fuoriusciti iracheni, saddamisti rivoltisi contro l'ex compagno baathista Assad per fronteggiare il blocco sciita ma anche qaedisti formatisi con al-Zawahri pronti, una volta cacciato il regime, a portare la guerra ben oltre la regione.

«Il vero potenziale pericolo per la seconda amministrazione Obama è la crisi siriana» osserva il vice presidente del Wilson Center di Washington Aaron David Miller. Prova ne sia l'imminente quarta sortita mediorientale del segretario di Stato Kerry che deve barcamenarsi tra il primadonnismo di Mosca, la tentazione israeliana di un nuovo raid contro i depositi di armi di Hezbollah in Siria, le mille anime degli oppositori di Damasco (a Madrid si sono appena riuniti 86 gruppi di dissidenti) e l'attivismo molto interessato del Qatar che ieri ha duramente criticato l'inerzia occidentale di fronte alle vittime di Assad.

La battaglia di Qusayr (condannata dalla Casa Bianca) cambia la prospettiva. Quella siriana non è più solo una feroce guerra civile (ieri sono morte almeno 95 persone tra cui, pare, una donna e 7 bambini durante il bombardamento di Raqqah) né si limita ai confini regionali: a dieci anni dall'inizio del conflitto in Iraq siamo tutti sempre più impelagati in Medioriente.

 

WILLIAM HAGUEASSAD al-Zawahri VLADIMIR PUTIN E BARACK OBAMA jpegsiria siria armi chimiche armi chimiche siria

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