henry levy roth

"TRUMP? DURA AL MASSIMO UN ANNO", PAROLA DI PHILIP ROTH – LO RACCONTA BERNARD HENRY LEVY CHE HA ASSISTITO ALL’INSEDIAMENTO DEL NEO PRESIDENTE A CASA DELLO SCRITTORE: "HA PARLATO DELLE FORZE CAPACI DI RESISTERE A QUESTA MAREA NERA DI VOLGARITA' E VIOLENZA. PREVEDE PER LUI UN ANNO AL MASSIMO DI MANDATO..."

Bernard Henry Levy per il Corriere della Sera

 

PHILIP ROTH2PHILIP ROTH2

Il giorno dell' insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, ho fatto la conoscenza di Philip Roth. È stata davvero un' esperienza singolare trascorrere, assieme al nostro amico comune Adam Gopnik, la fine di quella giornata folle in compagnia dello scrittore il quale, tredici anni or sono, nel suo Il complotto contro l' America , ha descritto con grande esattezza lo scenario da incubo in cui, a quanto pare, sta per entrare il Paese.

 

Nell' appartamento di Manhattan, pieno zeppo di scaffali e di libri, dove abita dal giorno in cui ha annunciato di non aver più intenzione di scrivere, Roth ha trascorso la mattina davanti alla televisione. Anche lui, come tanti americani, ma forse con maggiore sconcerto, ha osservato le immagini di quel vecchio bambino rabbioso che strilla e agita i pugni per insultare le élite di Washington, il popolo americano e il mondo intero.

 

HENRY LEVYHENRY LEVY

Abbiamo parlato di quell' altro bambino, quello vero, il piccolo Barron Trump, travestito come il principe di una commedia e spostato come un pacco, o un trofeo, da un palco all' altro dove si celebrava il trionfo del Cesare suo padre. L' autore de Il complotto contro l' America , come sanno i suoi lettori, nutre una tenerezza particolare per le eroine dei suoi romanzi e per questo ci siamo soffermati sul caso di Melania, la nuova First Lady, e su quella sua aria stranamente assente durante tutta la cerimonia: lucida? Rassegnata? Forse consapevole, più di tutti noi, delle catastrofi annunciate? Oppure semplicemente la storia della fanciulla più bella alla festa danzante che un ragazzone ingordo ha invitato a ballare per poi stringerla tra le braccia senza troppi scrupoli?

 

PHILIP ROTHPHILIP ROTH

Roth ha parlato inoltre delle forze capaci di resistere a questa marea nera di volgarità e di violenza, proprio come nel suo romanzo o meglio, nel nuovo romanzo che sta abbozzando in questo momento lo spirito del mondo e nel quale lui, fine conoscitore, riesce a individuare diverse trame, al contempo strampalate e tragiche: 1) il popolo democratico, che vuole ricordare, scendendo in massa nelle strade di tutte le grandi città del Paese, che è stato lui, per numero di voti, ad aver vinto le elezioni; 2) il popolo repubblicano, che sa bene che tra i suoi elettori e Trump, tra l' ex democratico trasformatosi in populista e il Grand Old Party, di cui si è servito come di un trampolino di lancio, è ingaggiata ormai una lotta mortale; 3) la CIA, nella cui sede Trump si reca, il giorno successivo, senza una sola parola per i 117 agenti morti in missione, abbandonandosi a manifestazioni di autocompiacimento puerile e vantandosi del numero dei suoi sostenitori accorsi a festeggiarlo a Washington; 4) i funzionari dell' Fbi, che non gli perdoneranno di aver così frettolosamente dubitato della loro lealtà e integrità per i casi di pirateria informatica durante la campagna elettorale a opera dei servizi segreti russi.

HENRY LEVY1HENRY LEVY1

 

Ma non è strano, dico io, che la più grande democrazia al mondo debba contare su meccanismi istituzionali di «controlli e contrappesi» talmente insulsi e inefficaci? Quello che è strano, risponde Roth con una delle sue fragorose risate, la testa rovesciata all' indietro, con le quali punteggia la conversazione, è piuttosto lo stato di insurrezione sospesa la cui responsabilità ricade su questo presidente eletto controvoglia, per il quale prevede un mandato ancor più breve (un anno al massimo) rispetto al protagonista del suo romanzo.

 

philip roth1philip roth1

Le due situazioni, lo sa benissimo, non sono esattamente paragonabili. Il romanzo si svolge nel 1940. È Charles Lindbergh, il celebre aviatore dalle simpatie pro naziste, ad aver sconfitto sul filo di lana il favorito dell' epoca, F.D. Roosevelt. E Lindbergh, si sa, era un antisemita dichiarato.

 

Ma allo stesso tempo Questa retorica mussoliniana L' alleanza offerta a Farage e Orban, a Le Pen e a Putin, vale a dire a tutti i peggiori leader populisti o fascistoidi sull' altra sponda dell' Atlantico. E poi il suo slogan, «America first»: ci si stupisce che qui, negli Stati Uniti, una tale dichiarazione non abbia suscitato orrore nel cuore di tutti coloro che abbiano un minimo di cultura politica e di buon senso, qualunque siano le loro appartenenze.

 

KKK PER TRUMPKKK PER TRUMP

Perché era proprio quello lo slogan ufficiale dei nazisti americani all' epoca di Charles Lindbergh, nel 1940. Era quello lo slogan agitato da quanti, in America, si opponevano alla guerra contro la Germania hitleriana. Era in suo nome che venivano denunciati invece gli ebrei considerati «guerrafondai», accusati di voler anteporre i propri interessi a quelli del Paese. Ed è questo slogan, ripetuto oggi fin sui gradini del Campidoglio che ha spinto David Duke, antico leader del Ku Klux Klan, a urlare un trionfante: «Ce l' abbiamo fatta!».

 

Donald Trump ne è perfettamente al corrente. E risponde, quando gli vengono ricordati questi fatti, che egli guarda «al futuro», e non «al passato». Ebbene, il mondo dell' azione si divide tra nichilisti senza memoria e quanti sanno che le lingue hanno una storia, e quindi un subconscio. La partita si giocherà tra coloro che credono sia possibile, senza pensare alle conseguenze, ripetere quindici volte in un discorso lo slogan dei suprematisti bianchi, e coloro che sanno che le parole hanno una precisa genealogia, pronta a vendicarsi ogni qualvolta essa viene negata o dimenticata.

HENRY LEVY BERGOGLIOHENRY LEVY BERGOGLIO

 

Per non parlare poi di un' ironia particolarmente sinistra, quando si scopre che il presidente più impopolare d' America, contestato in questi giorni nella prima dimostrazione globale della storia, l' alleato dei demagoghi più impresentabili e, spesso, i più criticati della nostra epoca, quest' uomo ha stretto amicizia, a Gerusalemme, con quegli stessi individui che il suo predecessore, nella finzione narrativa, trattava come appartenenti a una sottospecie umana.

 

Mi auguro soltanto che i beneficiari delle sue repentine premure sapranno ben guardarsi da tale amico, come si guardano dai loro nemici. Mi auguro che non dimentichino mai che il destino di Israele è una cosa troppo seria per abbandonarlo ai pretesti di un avventuriero ignorante e impulsivo, che vuol farne una dimostrazione di autorità o del suo presunto talento nel condurre trattative.

HENRY LEVY2HENRY LEVY2

 

Altrimenti gli ebrei in Israele, negli Stati Uniti e nel mondo intero non avranno altra scelta, come nel romanzo di Philip Roth, che accettare la sorte ugualmente funesta di Winchell, la vittima, o di Bengelsdorf, l' ostaggio consenziente. L' America non ha letto Philip Roth con l' attenzione dovuta. Il mondo di Roth o quello di Trump, a noi la scelta.

(Traduzione di Rita Baldassare)

 

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ignazio la russa matteo salvini antonio tajani

DAGOREPORT – LE REGIONALI SONO ANDATE A FINIRE COME NON VOLEVA, SALTELLANDO FUNICULÌ-FUNICULÀ, GIORGIA MELONI: LA "STATISTA DELLA SGARBATELLA", CHE RISCHIA DI NON TORNARE A PALAZZO CHIGI TRA DUE ANNI, ACCELERA SULLA DOPPIETTA PREMIERATO-LEGGE ELETTORALE, MA NON TUTTO FILA LISCIO A PALAZZO CHIGI: SALVINI E TAJANI SPUTERANNO SANGUE PUR DI OPPORSI ALL’INDICAZIONE DEL NOME DEL PREMIER SULLA SCHEDA ELETTORALE, CHE FINIREBBE PER CANNIBALIZZARLI - LA LEGA È CONTRARISSIMA ANCHE AL PREMIO DI MAGGIORANZA ALLA COALIZIONE (CON LA SOGLIA AL 40%, LA LEGA DIVENTEREBBE SACRIFICABILE) – ALTRA ROGNA: IGNAZIO LA RUSSA SCENDE IN CAMPO IN MODALITÀ SCASSA-MELONI: HA RINFOCOLATO LA POLEMICA SU GAROFANI E SE NE FOTTE DEI DIKTAT DELLA DUCETTA (FIDANZA SINDACO DI MILANO? NO, MEJO LUPI; PRANDINI GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA? NO, QUELLA È ROBA MIA)

francesco de tommasi marcello viola daniela santanche ignazio leonardo apache la russa davide lacerenza pazzali

DAGOREPORT - CHE FINE HANNO FATTO LE INCHIESTE MILANESI SULLA SANTANCHE', SUL VISPO FIGLIO DI LA RUSSA, SUL BORDELLO DELLA "GINTONERIA" AFFOLLATA DI POLITICI, IMPRENDITORI E MAGISTRATI, OPPURE SULL'OSCURA VENDITA DELLA QUOTA DI MPS DA PARTE DEL GOVERNO A CALTAGIRONE E COMPAGNI? - A TALI ESPLOSIVE INDAGINI, LE CUI SENTENZE DI CONDANNA AVREBBERO AVUTO UN IMMEDIATO E DEVASTANTE RIMBALZO NEI PALAZZI DEL POTERE ROMANO, ORA SI AGGIUNGE IL CASO DEL PM FRANCESCO DE TOMMASI, BOCCIATO DAL CONSIGLIO GIUDIZIARIO MILANESE PER “DIFETTO DEL PREREQUISITO DELL’EQUILIBRIO” NELL’INDAGINE SUL CASO DI ALESSIA PIFFERI – MA GUARDA IL CASO! DE TOMMASI È IL PM DELL’INCHIESTA SUI DOSSIERAGGI DELL’AGENZIA EQUALIZE DI ENRICO PAZZALI, DELICATISSIMA ANCHE PER I RAPPORTI DI PAZZALI CON VERTICI GDF, DIRIGENTI DEL PALAZZO DI GIUSTIZIA MILANESE E 007 DI ROMA - SE IL CSM SPOSASSE IL PARERE NEGATIVO DEL CONSIGLIO GIUDIZIARIO, LA CARRIERA DEL PM SAREBBE FINITA E LE SUE INDAGINI SUGLI SPIONI FINIREBBERO NEL CESTINO - LA PROCURA DI MILANO RETTA DA MARCELLO VIOLA, CON L'ARRIVO DELL'ARMATA BRANCA-MELONI, E' DIVENTATA IL NUOVO ''PORTO DELLE NEBBIE''?

giorgia meloni regionali de luca zaia salvini conte stefani decaro fico

DAGOREPORT: COME SI CAMBIA IN 5 ANNI - PER CAPIRE COME SIA ANDATA DAVVERO, OCCORRE ANALIZZARE I VOTI ASSOLUTI RIMEDIATI DAI PRINCIPALI PARTITI, RISPETTO ALLE REGIONALI DEL 2022 - LA LEGA HA BRUCIATO IL 52% DEI VOTI IN VENETO. NEL 2020 LISTA ZAIA E CARROCCIO AVEVANO OTTENUTO 1,2 MILIONI DI PREFERENZE, QUESTA VOLTA SOLO 607MILA. CONSIDERANDO LE TRE LE REGIONI AL VOTO, SALVINI HA PERSO 732MILA VOTI, IL 47% - TONFO ANCHE PER I 5STELLE: NEL TOTALE DELLE TRE REGIONI HANNO VISTO SFUMARE IL 34% DELLE PREFERENZE OTTENUTE 5 ANNI FA – IL PD TIENE (+8%), FORZA ITALIA IN FORTE CRESCITA (+28,3%), FDI FA BOOM (MA LA TENDENZA IN ASCESA SI È STOPPATA) – I DATI PUBBLICATI DA LUIGI MARATTIN....

luca zaia matteo salvini alberto stefani

DAGOREPORT – DOPO LA VITTORIA DEL CENTRODESTRA IN VENETO, SALVINI NON CITA QUASI MAI LUCA ZAIA NEL SUO DISCORSO - IL “DOGE” SFERZA VANNACCI (“IL GENERALE? IO HO FATTO L'OBIETTORE DI COSCIENZA”) E PROMETTE VENDETTA: “DA OGGI SONO RICANDIDABILE” – I RAS LEGHISTI IN LOMBARDIA S’AGITANO PER L’ACCORDO CON FRATELLI D’ITALIA PER CANDIDARE UN MELONIANO AL PIRELLONE NEL 2028 - RICICCIA CON PREPOTENZA LA “SCISSIONE” SUL MODELLO TEDESCO CDU-CSU: UN PARTITO “DEL TERRITORIO”, PRAGMATICO E MODERATO, E UNO NAZIONALE, ESTREMISTA E VANNACCIZZATO…

luca zaia roberto vannacci matteo salvini

NON HA VINTO SALVINI, HA STRAVINTO ZAIA – IL 36,38% DELLA LEGA IN VENETO È STATO TRAINATO DA OLTRE 200 MILA PREFERENZE PER IL “DOGE”. MA IL CARROCCIO DA SOLO NON AVREBBE COMUNQUE VINTO, COME INVECE CINQUE ANNI FA: ALLE PRECEDENTI REGIONALI LA LISTA ZAIA PRESE DA SOLA IL 44,57% E IL CARROCCIO IL 16,9% - SE SALVINI PIANGE, MELONI NON RIDE: NON È RIUSCITA A PRENDERE PIÙ VOTI DELLA LEGA IN VENETO E IN CAMPANIA È TALLONATA DA FORZA ITALIA (11,93-10,72%). PER SALVINI E TAJANI SARÀ DIFFICILE CONTRASTARE LA RIFORMA ELETTORALE - PER I RIFORMISTI DEL PD SARÀ DURA DARE UN CALCIO A ELLY SCHLEIN, AZZERATE LE AMBIZIONI DI GIUSEPPE CONTE COME CANDIDATO PREMIER - "LA STAMPA": "IL VOTO È LA RIVINCITA DELLA ‘LEGA NORD’ SU QUELLA SOVRANISTA E VANNACCIANA: LA SFIDA IDEOLOGICA DA DESTRA A MELONI NON FUNZIONA. IL PARTITO DEL NORD COSTRINGERÀ SALVINI AD ESSERE MENO ARRENDEVOLE SUI TAVOLI DELLE CANDIDATURE. SUL RESTO È LECITO AVERE DUBBI…”