IL RAMPANTISMO SENZA LIMITISMO DEL ROTTAM’ATTORE – NÉ PATTI, NÉ ACCORDI, RENZI SCEGLIE SEMPRE ‘LA RUPTURE’ - HA DECISO CHE IL SUO TEMPO È ADESSO E FARÀ DI TUTTO PER SFRUTTARLO (LETTA LO SA)

Federico Geremicca per "La Stampa"

Da alcune settimane, diciamo da quando Renzi è stato ufficialmente proclamato segretario del Pd, molti si interrogano intorno alle reali intenzioni del giovane leader del Partito democratico. E cercano di intuirne le mosse.

Vuole la crisi di governo ed elezioni a maggio? Terrà invece fede all'impegno di sostenere Letta fino al 2015? E davvero intende trattare con Berlusconi il modello della nuova legge elettorale? Si tratta di quesiti non semplici e dalle risposte non scontate, certo. Ma la difficoltà ad orientarsi tra i possibili progetti del leader Pd, è accresciuta da due errori che paiono via via più evidenti.

Il primo sta nell'ostinato rifiuto di riconoscere a Renzi un suo «spessore politico» («È un giovane arrogante che non sa quel che vuole»); il secondo consiste nel non conoscerne percorso e storia: e invece il passato, in politica, è spesso illuminante. Nell'ultimo quarto di secolo, non c'è leader importante al quale non sia stata riconosciuta una «cifra politica», uno stile che - bene o male - lo identificasse, per dir così: il decisionismo craxiano, il furbo «tirare a campare» andreottiano, il populismo berlusconiano e via dicendo.

Matteo Renzi è stato, per una prima fase, sprezzantemente, «il rottamatore»; e quando ha mitigato un po' i toni, niente più: al massimo un giovanotto scalpitante, dalle idee così confuse che sarebbe addirittura difficile dire se sia di destra oppure di sinistra. Bene, questa analisi appare sempre più insufficiente, ed è il frutto o di una sottovalutazione suicida (per i suoi avversari) o della reale incapacità a indagare uno stile politico del tutto nuovo.

Comunque sia, considerare Renzi una meteora o, addirittura, un avventuriero senza bussola appare del tutto sbagliato. E a ripercorrerne la breve (non brevissima) cavalcata politica - ecco il secondo punto - si può infatti avere la conferma del fatto che il leader Pd ha sempre avuto le idee chiare e un modo di procedere che non è cambiato negli anni.

A dover sintetizzare i due aspetti, si può provare a schematizzarli così: sul piano della linea, una forte carica polemica nei confronti della sinistra, in nome di un «riequilibrio» a vantaggio del centro cattolico; sul piano del metodo un costante «avanti tutta» contro le gerarchie e l'utilizzo della postazione raggiunta come trampolino per arrivare a quella successiva.

La conferma di tutto ciò è nelle tappe e nella biografia politica di un «giovane rampante» che i big hanno prima colpevolmente sottovalutato, e che ora non capiscono. Vediamo. Nel dicembre 1999 (a 24 anni) è coordinatore del Ppi di Firenze; meno di due anni dopo (il 22 settembre 2001) diventa segretario della Margherita fiorentina e ad applaudire la sua elezione al Palaffari, ironia del destino, c'è in prima fila quella Rosi Bindi che - anni dopo - sarà una delle sue prime «vittime».

Renzi ricopre il ruolo con spregiudicatezza ed energia. Parte senza timori all'attacco di Leonardo Domenici (allora sindaco di Firenze), rilascia interviste aggressive con le quali chiede agli alleati Ds «pari dignità» (in una provincia dove la Margherita vale l'8% ed i Ds quasi il 40...), si batte come un pirata per conquistare posti per esponenti cattolici.

Nell'illusione di frenarne la carica gli viene offerta la candidatura (con successo assicurato) alla presidenza della Provincia. Renzi viene eletto nel giugno del 2004 (a 29 anni) con quasi il 60% dei voti, ma nè la musica nè lo stile cambiano. Forma la giunta, ma uno dopo l'altro «licenzia» diversi assessori (Ds, naturalmente) poco inclini a «obbedir tacendo».

È di nuovo guerra aperta con la sinistra, ma il giovane presidente non solo non si spaventa, ma mette nel mirino l'obiettivo successivo: la conquista di Palazzo Vecchio, praticamente da sempre appannaggio di esponenti del Pci-Pds-Ds. È la vigilia della Grande Guerra, che imporrà Renzi all'attenzione nazionale.

Usando la notorietà e il potere acquisito alla guida della Provincia, decide di candidarsi alle primarie per sindaco contro il parere di tutti: da Rutelli (allora suo riferimento nazionale) ai maggiori esponenti del Pd, è una folla a chiedergli di fermarsi. Ma Renzi si butta, solo contro tutti. È una campagna, quella dell'autunno 2008, che ricorda in maniera impressionante quella poi condotta contro Bersani per la candidatura a premier.

Niente simboli Pd e un'aggressività fino ad allora sconosciuta: «Mi sono candidato contro i dirigenti del mio partito - dice - perchè è finito il tempo in cui si stava buoni e si aspettava il proprio turno... Io ero ancora all'asilo quando altri candidati a queste primarie erano già a Palazzo Vecchio».

Vinse, naturalmente. In maniera clamorosa. E il resto è noto: dopo aver utilizzato la Provincia per arrivare a Palazzo Vecchio, si serve della nuova carica per puntare (sempre in rottura col quartier generale) al colpo grosso. Perde le primarie per la premiership con Bersani ma vince quelle successive per la segreteria del Pd.

Ora molti ipotizzano che intenda usare quella postazione per conquistare Palazzo Chigi: alla luce di quanto visto, la si può considerare una certezza. E se questa è una certezza, anche le altre rischiano di esserlo: che Renzi solitamente ha fretta, che non si lascia imbrigliare in accordi e patti, e che se ha deciso che il suo tempo è adesso, farà di tutto per sfruttarlo. Enrico Letta lo sa. E non da ora: da toscano qual è, nessuno deve spiegargli chi è e come è il suo nuovo segretario...

 

 

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