donald trump benjamin netanyahu hamas al thani erdogan

LA PACE DI TRUMP NON SARÀ PERFETTA MA CONVIENE A TUTTI – STEFANO STEFANINI: “LA PALLA È IN MANO AD HAMAS, MA ANCHE ISRAELE DEVE SCEGLIERE. SE CONTINUA LA GUERRA, SCHIACCIA HAMAS NELLE MISERIE DEGLI ABITANTI DI GAZA CITY MA PERDE LA PACE. NON SOLO PER L'ISOLAMENTO INTERNAZIONALE, RICONOSCIMENTI E SANZIONI EUROPEE, MA PERCHÉ COSTRETTO A UN'OCCUPAZIONE MILITARE PERMANENTE DELLA STRISCIA E DELLA CISGIORDANIA VEDE DEFINITIVAMENTE SVANIRE L'INTESA REGIONALE CON GLI STATI ARABI. GLI RIMANGONO SOLO GLI STATI UNITI. NON POCO MA QUANTO E FINO A QUANDO?” – LA COMPETIZIONE TRA SUNNITI E FRATELLI MUSULMANI, GLI INTERESSI PERSONALI DI DONALD E DI “BIBI”

Estratto dell’articolo di Stefano Stefanini per “La Stampa”

 

donald trump benjamin netanyahu foto lapresse

Le sorti del piano Trump si decidono nei colloqui che iniziano oggi al Cairo. O pace o (continuazione della) guerra. O si sciolgono i nodi di Hamas all'accettazione del piano, o è come se non avesse accettato.

 

La diplomazia adora le vie di mezzo, ma qui non ce ne sono. Il rinvio vedrebbe il presidente americano dar via libera a Benjamin Netanyahu per «finire il lavoro». Finora non interrotto: malgrado Trump lo avesse «ordinato» e Netanyahu, a parole, assecondato, ieri i bombardamenti su Gaza City erano proseguiti.

 

miliziani di hamas in tiro per la cerimonia di rilascio degli ostaggi

Il «finire il lavoro» di Bibi si abbatterebbe terribilmente sui due milioni di abitanti della Striscia […] ; gli ostaggi israeliani ancora in vita (una ventina?) vi darebbero definitivamente addio; il fuoco di Hamas, militarmente annientato, continuerebbe a covare sotto la cenere delle macerie che ricoprono la Striscia.

 

Di tutto il resto - ed è molto e complicato - del piano Trump si parlerà e negozierà dopo, ad abundantiam, ma se adesso, nel giro di una settimana, non ne scattano le 72 ore (appena tre giorni!) iniziali - fine delle operazioni militari di Tsahal, liberazione degli ostaggi e consegna delle salme dei deceduti in cattività, seguita a ruota dall'uscita di quasi duemila detenuti palestinesi dalle prigioni israeliane – resterà un castello di carte.

 

BOMBARDAMENTO SU QUEL CHE RIMANE DI GAZA

[…]  La palla è principalmente nel campo del Movimento di Resistenza Islamico che ha posto tre condizioni: disarmo solo parziale; ritiro rapido delle truppe israeliane dalla Striscia; partecipazione alla futura auto-amministrazione palestinese della Striscia. Tutte cozzano con quanto previsto nel piano ma qualche margine si può trovare.

 

Che consenta a Hamas di salvare la faccia, tipo imbarcarsi per l'esilio con qualche Kalashnikov a tracolla […] ma non di più. L'Idf non si smuoverà di un palmo fino a che non sia pronta e spiegabile sul terreno la forza di stabilizzazione internazionale che la sostituirà.

 

striscia di gaza il controesodo dal sud al nord della striscia foto lapresse 17

Al Cairo, sul negoziato, pur con l'obiettivo condiviso da tutti di sbloccare il piano Trump, confluiscono posizioni e interessi eterogenei. I due protagonisti della guerra, Israele e Hamas, non si parlano direttamente.

 

I più diretti interessati all'esito della trattativa, i palestinesi di Gaza, non sono né rappresentati né consultati – quando hanno modo di far sentire la propria voce dicono «basta guerra» rivolgendosi, oltre che a Israele che li bombarda senza tregua, a Hamas che traccheggia invece di accettare.

 

Per loro e per le loro famiglie c'è poco da scegliere: è in gioco la sopravvivenza fisica. A Hamas il piano Trump pone invece la scelta fra accettazione della sconfitta militare e resistenza fino all'ultimo uomo – quale delle due meglio gli offre sopravvivenza politica?

Netanyahu può «finire il lavoro»: il Movimento non scomparirà.

 

I PUNTI DA CHIARIRE NEL PIANO DI PACE DI TRUMP - VIGNETTA BY ROLLI - IL GIORNALONE - LA STAMPA

Anche Israele […] deve scegliere. Ha vinto la guerra. Il piano Trump gli permette di vincere anche la pace. Se continua la guerra, schiaccia Hamas nelle miserie degli abitanti di Gaza City ma perde la pace. Non solo per l'isolamento internazionale, riconoscimenti e sanzioni europee, ma perché costretto a un'occupazione militare permanente della Striscia e della Cisgiordania vede definitivamente svanire l'intesa regionale con gli Stati arabi. Gli rimangono solo gli Stati Uniti. Non poco ma quanto e fino a quando?

 

Per gli altri negoziatori, la partita del Cairo è geopolitica. Il piano Trump fa degli Usa, oltre che grande protettore dello Stato ebraico come è sempre stato, il garante degli interessi dei palestinesi e l'anello di congiunzione tra Gerusalemme e il Golfo. Cioè la parte del mondo in cui Donald Trump ha investito di più, anche in termini di interessi personali.

al thani con recep tayyip erdogan

 

Se realizzato – un grosso se, il Medio Oriente è un cimitero di elefanti di piani – riporta allo zenith l'influenza regionale degli Stati Uniti, in continua discesa dopo le vicende irachena e afghana.

 

Fra Paesi arabi e Turchia, uniti solo nell'ergersi a paladini dei palestinesi, c'è la sotterranea competizione per il futuro di Gaza tra fronte sunnita, con in testa l'Egitto che ospita il negoziato, e Qatar e Turchia, padrini della Fratellanza Musulmana alla quale si ricollega Hamas.

 

Infine, i due principali leader, Donald Trump e Benjamin Netanyahu, farebbero di tutto ma non tanto per guerra o pace, o per motivazioni geopolitiche, ma per perseguire obiettivi personali.

 

Pierbattista Pizzaballa Teofilo III

Donald per essere l'artefice della pace in Medio Oriente – per il posto nella storia e, in transito, per il Nobel. Bibi per rimanere al potere, e sottrarsi alle vicende giudiziarie. Pur di raggiungere i rispettivi obiettivi sono pronti a qualsiasi giravolta tattica.

 

Miracolo se questo guazzabuglio negoziale produce un accordo che sblocca le prime 72 ore del piano Trump? Forse, ma dopo tutto siamo in Terra Santa.

 

Nell'improbabile coro di consensi che l'ha accolto, da Ursula von der Leyen a Recep Tayyip Erdogan, spicca per realismo e lucidità la lettera del cardinale Pierbattista Pizzaballa: non sappiamo se sia la fine della guerra e l'inizio della pace ma «è il primo passo indispensabile per cominciare a costruirla». Il patriarca di Gerusalemme conosce bene israeliani e palestinesi. Sa di cosa sta parlando.

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ignazio la russa matteo salvini antonio tajani

DAGOREPORT – LE REGIONALI SONO ANDATE A FINIRE COME NON VOLEVA, SALTELLANDO FUNICULÌ-FUNICULÀ, GIORGIA MELONI: LA "STATISTA DELLA SGARBATELLA", CHE RISCHIA DI NON TORNARE A PALAZZO CHIGI TRA DUE ANNI, ACCELERA SULLA DOPPIETTA PREMIERATO-LEGGE ELETTORALE, MA NON TUTTO FILA LISCIO A PALAZZO CHIGI: SALVINI E TAJANI SPUTERANNO SANGUE PUR DI OPPORSI ALL’INDICAZIONE DEL NOME DEL PREMIER SULLA SCHEDA ELETTORALE, CHE FINIREBBE PER CANNIBALIZZARLI - LA LEGA È CONTRARISSIMA ANCHE AL PREMIO DI MAGGIORANZA ALLA COALIZIONE (CON LA SOGLIA AL 40%, LA LEGA DIVENTEREBBE SACRIFICABILE) – ALTRA ROGNA: IGNAZIO LA RUSSA SCENDE IN CAMPO IN MODALITÀ SCASSA-MELONI: HA RINFOCOLATO LA POLEMICA SU GAROFANI E SE NE FOTTE DEI DIKTAT DELLA DUCETTA (FIDANZA SINDACO DI MILANO? NO, MEJO LUPI; PRANDINI GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA? NO, QUELLA È ROBA MIA)

francesco de tommasi marcello viola daniela santanche ignazio leonardo apache la russa davide lacerenza pazzali

DAGOREPORT - CHE FINE HANNO FATTO LE INCHIESTE MILANESI SULLA SANTANCHE', SUL VISPO FIGLIO DI LA RUSSA, SUL BORDELLO DELLA "GINTONERIA" AFFOLLATA DI POLITICI, IMPRENDITORI E MAGISTRATI, OPPURE SULL'OSCURA VENDITA DELLA QUOTA DI MPS DA PARTE DEL GOVERNO A CALTAGIRONE E COMPAGNI? - A TALI ESPLOSIVE INDAGINI, LE CUI SENTENZE DI CONDANNA AVREBBERO AVUTO UN IMMEDIATO E DEVASTANTE RIMBALZO NEI PALAZZI DEL POTERE ROMANO, ORA SI AGGIUNGE IL CASO DEL PM FRANCESCO DE TOMMASI, BOCCIATO DAL CONSIGLIO GIUDIZIARIO MILANESE PER “DIFETTO DEL PREREQUISITO DELL’EQUILIBRIO” NELL’INDAGINE SUL CASO DI ALESSIA PIFFERI – MA GUARDA IL CASO! DE TOMMASI È IL PM DELL’INCHIESTA SUI DOSSIERAGGI DELL’AGENZIA EQUALIZE DI ENRICO PAZZALI, DELICATISSIMA ANCHE PER I RAPPORTI DI PAZZALI CON VERTICI GDF, DIRIGENTI DEL PALAZZO DI GIUSTIZIA MILANESE E 007 DI ROMA - SE IL CSM SPOSASSE IL PARERE NEGATIVO DEL CONSIGLIO GIUDIZIARIO, LA CARRIERA DEL PM SAREBBE FINITA E LE SUE INDAGINI SUGLI SPIONI FINIREBBERO NEL CESTINO - LA PROCURA DI MILANO RETTA DA MARCELLO VIOLA, CON L'ARRIVO DELL'ARMATA BRANCA-MELONI, E' DIVENTATA IL NUOVO ''PORTO DELLE NEBBIE''?

giorgia meloni regionali de luca zaia salvini conte stefani decaro fico

DAGOREPORT: COME SI CAMBIA IN 5 ANNI - PER CAPIRE COME SIA ANDATA DAVVERO, OCCORRE ANALIZZARE I VOTI ASSOLUTI RIMEDIATI DAI PRINCIPALI PARTITI, RISPETTO ALLE REGIONALI DEL 2022 - LA LEGA HA BRUCIATO IL 52% DEI VOTI IN VENETO. NEL 2020 LISTA ZAIA E CARROCCIO AVEVANO OTTENUTO 1,2 MILIONI DI PREFERENZE, QUESTA VOLTA SOLO 607MILA. CONSIDERANDO LE TRE LE REGIONI AL VOTO, SALVINI HA PERSO 732MILA VOTI, IL 47% - TONFO ANCHE PER I 5STELLE: NEL TOTALE DELLE TRE REGIONI HANNO VISTO SFUMARE IL 34% DELLE PREFERENZE OTTENUTE 5 ANNI FA – IL PD TIENE (+8%), FORZA ITALIA IN FORTE CRESCITA (+28,3%), FDI FA BOOM (MA LA TENDENZA IN ASCESA SI È STOPPATA) – I DATI PUBBLICATI DA LUIGI MARATTIN....

luca zaia matteo salvini alberto stefani

DAGOREPORT – DOPO LA VITTORIA DEL CENTRODESTRA IN VENETO, SALVINI NON CITA QUASI MAI LUCA ZAIA NEL SUO DISCORSO - IL “DOGE” SFERZA VANNACCI (“IL GENERALE? IO HO FATTO L'OBIETTORE DI COSCIENZA”) E PROMETTE VENDETTA: “DA OGGI SONO RICANDIDABILE” – I RAS LEGHISTI IN LOMBARDIA S’AGITANO PER L’ACCORDO CON FRATELLI D’ITALIA PER CANDIDARE UN MELONIANO AL PIRELLONE NEL 2028 - RICICCIA CON PREPOTENZA LA “SCISSIONE” SUL MODELLO TEDESCO CDU-CSU: UN PARTITO “DEL TERRITORIO”, PRAGMATICO E MODERATO, E UNO NAZIONALE, ESTREMISTA E VANNACCIZZATO…

luca zaia roberto vannacci matteo salvini

NON HA VINTO SALVINI, HA STRAVINTO ZAIA – IL 36,38% DELLA LEGA IN VENETO È STATO TRAINATO DA OLTRE 200 MILA PREFERENZE PER IL “DOGE”. MA IL CARROCCIO DA SOLO NON AVREBBE COMUNQUE VINTO, COME INVECE CINQUE ANNI FA: ALLE PRECEDENTI REGIONALI LA LISTA ZAIA PRESE DA SOLA IL 44,57% E IL CARROCCIO IL 16,9% - SE SALVINI PIANGE, MELONI NON RIDE: NON È RIUSCITA A PRENDERE PIÙ VOTI DELLA LEGA IN VENETO E IN CAMPANIA È TALLONATA DA FORZA ITALIA (11,93-10,72%). PER SALVINI E TAJANI SARÀ DIFFICILE CONTRASTARE LA RIFORMA ELETTORALE - PER I RIFORMISTI DEL PD SARÀ DURA DARE UN CALCIO A ELLY SCHLEIN, AZZERATE LE AMBIZIONI DI GIUSEPPE CONTE COME CANDIDATO PREMIER - "LA STAMPA": "IL VOTO È LA RIVINCITA DELLA ‘LEGA NORD’ SU QUELLA SOVRANISTA E VANNACCIANA: LA SFIDA IDEOLOGICA DA DESTRA A MELONI NON FUNZIONA. IL PARTITO DEL NORD COSTRINGERÀ SALVINI AD ESSERE MENO ARRENDEVOLE SUI TAVOLI DELLE CANDIDATURE. SUL RESTO È LECITO AVERE DUBBI…”