DEMOCRAZIA INTERROTTA? E DAL PATTO DELLA PROSTATA DI BOSSI-BANANA, SIAMO PASSATI AL PATTO DELLA SUPPOSTA A DUE PUNTE DI ALFANO-BERSANI - I LEADER (PER MANCANZA DI PROVE) DI PD E PDL SI METTONO D’ACCORDO PER VOTARE INSIEME LA RIFORMA DEL LAVORO CHE ARRIVERÀ NEL 2012, CERCANDO DI ARGINARE L’ASCESA DEL TERZO POLO E SOPRATTUTTO DI IDV E LEGA CHE AVANZANO NEI SONDAGGI - “RE GIORGIO” IMPONE AL BANANA (VIA LETTA) UN PRANZO DELLA PACE CON RIGOR MONTIS, E AI PARTITI DI TROVARE UN ACCORDO ENTRO LA BEFANA…

1- IL PATTO SEGRETO TRA BERSANI E ALFANO - "IL SOSTEGNO A MONTI CI COSTA, AIUTIAMOCI" - OGGI PRANZO DELLA PACE TRA IL PREMIER E IL CAVALIERE...
Francesco Bei per "la Repubblica"

«Ministro Fornero, mi raccomando, sulla riforma del mercato del lavoro è meglio procedere con cautela». Il consiglio deve aver lasciato di stucco ieri Elsa Fornero, anche perché a dispensarglielo, sotto le volte affrescate del Quirinale, non è stato un esponente del Pd o dei sindacati, ma il segretario del Pdl Angelino Alfano. Un episodio sorprendente se solo si pensa alla furia ideologica anti-Cgil del passato ministro Sacconi.

Il fatto è che Alfano è ora preoccupato per la tenuta del Pd e per la concorrenza dell´Italia dei Valori. Così come Bersani guarda con apprensione alle crescenti lacerazioni interne nel Pdl e alla deriva separatista del Carroccio. Entrambi poi fanno i conti con la crescita del terzo polo e la concorrenza di Casini.

Un intero quadro sta smottando e i segretari dei due maggiori partiti hanno quindi stretto un patto di mutuo sostegno per non farsi travolgere. Ora si parlano, molto più spesso di quanto non si pensi, e anche ieri - complice il ricevimento da Napolitano - un colloquio c´è stato. L´asse segreto si basa sulla reciproca convenienza e sull´assunto che «nessuno deve pagare troppo il sostegno a Monti».

Anche perché, questo lo temono sia i vertici del Pd sia a via dell´Umiltà, i prossimi mesi saranno ancora più difficili. E nessuno potrà sfilarsi facilmente dalla maggioranza. «Tra febbraio e marzo forse sarà necessaria un´altra manovra - sospira Paolo Bonaiuti - e non vedo tutta questa fretta di andare a elezioni anticipate e raccogliere l´eredità del governo tecnico. Così, anche se ci sono inevitabili maldipancia, sia noi che il Pd continueremo ad appoggiare Monti».

Frutto di questo "appeasement" è anche il pranzo della pace che vedrà oggi a palazzo Chigi Mario Monti seduto accanto a Berlusconi e Gianni Letta. Un invito arrivato dal premier ma preparato da una telefonata tra Napolitano e Letta. Il capo dello Stato era infatti preoccupato per l´escalation di toni del Cavaliere contro il governo. Un esecutivo descritto come un esproprio della democrazia, guidato da un premier «disperato». Troppo per non far scattare l´allarme rosso del Quirinale.

Così, grazie anche alla diplomazia felpata del Colle, si è arrivati al pranzo di oggi. Facilitato da quel bigliettino che Monti inviò a Berlusconi venerdì scorso in aula, un invito a «collaborare» e a lasciarsi alle spalle i diverbi. Il ruolo "pacificatore" di Napolitano è del resto sollecitato anche da Alfano e Bersani per abbassare la temperatura politica e offrire una sponda ai partiti che stanno pagando il prezzo più alto nell´appoggio a Monti. Non è un caso che ieri il capo dello Stato abbia elogiato quelle forze politiche che hanno votato la fiducia a Monti, «un titolo di merito, non un motivo di imbarazzo».

Ora tuttavia c´è un enorme scoglio che può mettere a rischio la maggioranza: la riforma del mercato del lavoro. Una materia incandescente per il Pd, considerato il veto posto dalla Cgil. Che infatti porta un falco come Daniela Santanché a ipotizzare che «Monti cadrà a gennaio, da sinistra, sull´articolo 18». È per sventare questa trappola che Napolitano ieri ha iniziato la sua moral suasion sulle riforme da fare «senza rigide pregiudiziali», aprendo così una rete di protezione sotto al governo.

E per lo stesso motivo Alfano ha consigliato «cautela» al ministro Fornero, colpevole di aver evocato il tabù dell´articolo 18. L´uscita del ministro del Welfare ha mandare fuori dai gangheri anche un fan di Monti come il Pd Beppe Fioroni: «Il governo su una materia come il lavoro dovrebbe comunicare di meno e condividere di più». Anche perché, in fondo, lasciando da parte l´articolo 18 sui licenziamenti, il Pdl e il Pd sono convinti di poter reggere la riforma in arrivo.

«L´intesa è possibile - spiega a sera Dario Franceschini in un Transatlantico ormai deserto - ma non si può partire dall´articolo 18, che oltretutto riguarda ormai una minoranza di lavoratori. Se non si parte da lì un accordo è a portata di mano». Anche Monti sembra sia consapevole del rischio di procedere a spallate su questo tema.

A Walter Veltroni, davanti al buffet al Quirinale, il premier ha assicurato che sulle pensioni «siamo dovuti intervenire rapidamente, ma il lavoro è un´altra cosa». L´articolo 18, ha ripetuto il Professore a più di un interlocutore, è «un falso problema», sul quale sarebbe sbagliato andare al «muro contro muro». Ma la riforma del lavoro si farà, su questo il premier non è disposto a subire veti.


2- IL COLLE INCHIODA I PARTITI E I TRE LEADER ORA DEVONO VEDERSI...
Ugo Magri per "La Stampa"

Sui partiti il monito è rimbombato forte. Dal Pd al Pdl (passando per il Terzo Polo) il discorso del Presidente è stato inteso nella stessa maniera, come la tirata d'orecchi che precede lo sculaccione. Confida un esponente democratico di prima fila: «Napolitano ci ha ricordato che questo non è un governo qualunque, è il suo governo, dietro a Monti ci sta lui personalmente di persona, quindi niente scherzi». Prosegue sottovoce il ragionamento un parigrado di centrodestra: «Il vecchio del Colle ha captato una certa tendenza a sfilarsi, nostra ma anche di Bersani, e ha inchiodato immediatamente ciascuno alle proprie responsabilità».

A parole, Re Giorgio sembra aver fatto centro; dalle forze pro-governo sale un plauso corale, un tripudio di ottime intenzioni. Come al solito, si tratta di tradurle in concreto. E, concretamente, i partiti sanno che cosa Napolitano chiede loro. Riassume al Tg1 «deminzolinizzato» il segretario Pd: «Il Capo dello Stato ha detto che le forze politiche devono dar luogo a un'agenda di riforme istituzionali che comprenda la riduzione del numero dei parlamentari, la legge elettorale e i costi della politica».

Una volta decisa la lista, i partiti saranno chiamati a sostenerla in Parlamento e nelle piazze. Ma adesso, subito, è obbligatorio che i rispettivi «boss» si vedano, si riuniscano, prendano impegni. Magari profittando della pausa natalizia. O comunque appena passata la Befana, perché aspettare fine gennaio o più in là sarebbe troppo tardi, specie se il carnet delle cose da fare comprenderà la modifica alla Costituzione, con doppia lettura del Parlamento...

Al momento, non risulta fissato alcun appuntamento tra i leader. Dopo un esordio in grande stile, «A-B-C» (Alfano-Bersani-Casini) hanno caduto il testimone ai rispettivi capigruppo, invero molto operosi. Ora però Napolitano fa intendere: tocca di nuovo a loro. Se i tre esitano, una ragione c'è. Concordare le riforme di qui al 2013 significa dar luogo all'«atto fondativo» di una nuova maggioranza politico-programmatica.

Un passo avanti molto molto impegnativo. Il Presidente tra le righe lo sollecita perché altrimenti l'Italia rischia di farne uno indietro. O si prendono impegni alla luce del sole, oppure a poco a poco la tela si sdrucisce. Casini non avrebbe problemi, anzi i terzopolisti sono gli antesignani del nuovo «compromesso storico» per amore della patria e anche per loro interesse: se i ghiacciai di destra e di sinistra si sciolgono, sai quanta acqua nell'orto centrista (nei sondaggi l'Udc viaggia intorno all'8 per cento). Per lo stesso motivo tremano il Pd (sempre in testa alla classifica, ma in calo di 2 punti rispetto a quando sfiorava il 30 per cento) e soprattutto il Pdl.

(...)

Il dramma vero di Berlusconi è un altro. Se partecipa al «grande abbraccio» con ex-dc ed ex-pci, scopre il fianco alla concorrenza della Lega balzata oltre il 10 per cento nelle rilevazioni riservate. Silvio ha tentato di addomesticare Bossi invitandolo l'altra sera ad Arcore: un modo per far credere che l'opposizione del Carroccio è tutta una messinscena. Ma l'Umberto ha mangiato la foglia e Berlusconi ha cenato da solo. Se la ride Calderoli: «Noi entrare in maggioranza con lui; più facile che alla fine Berlusconi si ritrovi fuori con noi».

 

ANGELINO ALFANO E PIERLUIGI BERSANI LETTA BERLUSCONI GIORGIO NAPOLITANOPIER FERDINANDO CASINI UMBERTO BOSSI ANTONIO DI PIETRO

Ultimi Dagoreport

matteo salvini roberto vannacci giorgia meloni massimiliano fedriga luca zaia

DAGOREPORT – GIORGIA MELONI HA GLI OCCHI PUNTATI SULLA TOSCANA! NELLA REGIONE ROSSA SARÀ CONFERMATO EUGENIO GIANI, MA ALLA DUCETTA INTERESSA SOLO REGISTRARE IL RISULTATO DELLA LEGA VANNACCIZZATA – SE IL GENERALE, CHE HA RIEMPITO LE LISTE DI SUOI FEDELISSIMI E SI È SPESO IN PRIMA PERSONA, OTTENESSE UN RISULTATO IMPORTANTE, LA SUA PRESA SULLA LEGA SAREBBE DEFINITIVA CON RIPERCUSSIONI SULLA COALIZIONE DI GOVERNO – INOLTRE ZAIA-FEDRIGA-FONTANA SONO PRONTI A UNA “SCISSIONE CONTROLLATA” DEL CARROCCIO, CREANDO DUE PARTITI FEDERATI SUL MODELLO DELLA CDU/CSU TEDESCA - PER LA MELONI SAREBBE UNA BELLA GATTA DA PELARE: SALVINI E VANNACCI POTREBBERO RUBARLE VOTI A DESTRA, E I GOVERNATORI IMPEDIRLE LA PRESA DI POTERE AL NORD...

matteo salvini luca zaia giorgia meloni orazio schillaci

FLASH! – L’”HUFFPOST” RIPORTA CHE SALVINI VUOL CONVINCERE LUCA ZAIA A PORTARE IL SUO 40% DI VOTI IN VENETO MA SENZA CHE IL SUO NOME BRILLI SUL SIMBOLO – PER ACCETTARE IL CANDIDATO LEGHISTA STEFANI, LA MELONA INSAZIABILE, PAUROSA CHE L’EX GOVERNATORE VENETO PORTI VIA TROPPI VOTI A FDI, L’HA POSTO COME CONDIZIONE A SALVINI – PER FAR INGOIARE IL ROSPONE, OCCORRE PERÒ CHE ZAIA OTTENGA UN INCARICO DI PESO NEL GOVERNO. IL MAGGIORE INDIZIATO A LASCIARGLI LA POLTRONA SAREBBE ORAZIO SCHILLACI, MINISTRO TECNICO IN QUOTA FDI, ENTRATO IN COLLISIONE CON I TANTI NO-VAX DELLA FIAMMA - AVVISATE QUEI GENI DI PALAZZO CHIGI CHE ZAIA SUI VACCINI LA PENSA ESATTAMENTE COME SCHILLACI…

monique veaute

NO-CAFONAL! – ARCO DI TRIONFO PER MONIQUE VEAUTE, QUELLA VISPA RAGAZZA FRANCESE CHE NEL 1984 GIUNSE A ROMA PER LAVORARE ALL’ACCADEMIA DI FRANCIA DI VILLA MEDICI - DA ABILISSIMA CATALIZZATRICE DI GENIALI E VISIONARIE REALTÀ ARTISTICHE INTERNAZIONALI, DETTE VITA A UN FESTIVAL CHE SCOSSE LO STATO DI INERZIA E DI AFASIA CULTURALE IN CUI ERA PIOMBATA ROMA DOPO L’ERA DI RENATO NICOLINI – L'ONORIFICENZA DI ''COMMANDEUR DE L'ORDRE DES ARTS ET DES LETTRES'' NON POTEVA NON ESSERE CONSEGNATA DALL’AMBASCIATORE FRANCESE SE NON A VILLA MEDICI, DOVE 40 ANNI FA TUTTO È NATO….

de luca manfredi schlein tafazzi conte landini silvia salis

DAGOREPORT - LA MINORANZA DEL PD SCALDA I MOTORI PER LA RESA DEI CONTI FINALE CON ELLY SCHLEIN. L’ASSALTO ALLA GRUPPETTARA (“NON HA CARISMA, CON LEI SI PERDE DI SICURO”), CHE HA TRASFORMATO IL PD DA PARTITO RIFORMISTA IN UN INCROCIO TRA UN CENTRO SOCIALE E UN MEETUP GRILLINO – NONOSTANTE LA SONORA SCONFITTA SUBITA NELLE MARCHE E IL FLOP CLAMOROSO IN CALABRIA, LA SEGRETARIA CON TRE PASSAPORTI E UNA FIDANZATA RESISTE: TRINCERATA AL NAZARENO CON I SUOI FEDELISSIMI QUATTRO GATTI, NEL CASO CHE VADA IN PORTO LA RIFORMA ELETTORALE DELLA DUCETTA, AVREBBE SIGLATO UN ACCORDO CON LA CGIL DI “MASANIELLO” LANDINI, PER MOBILITARE I PENSIONATI DEL SINDACATO PER LE PRIMARIE – IL SILENZIO DEI ELLY ALLE SPARATE DI FRANCESCA ALBANESE - I NOMI DEL DOPO-SCHLEIN SONO SEMPRE I SOLITI, GAETANO MANFREDI E SILVIA SALIS. ENTRAMBI INADEGUATI A NEUTRALIZZARE L’ABILITÀ COMUNICATIVA DI GIORGIA MELONI – ALLARME ROSSO IN CAMPANIA: SE DE LUCA NON OTTIENE I NOMI DEI SUOI FEDELISSIMI IN LISTA, FICO RISCHIA DI ANDARE A SBATTERE…

emmanuel macron

DAGOREPORT – MACRON, DOMANI CHE DECIDERAI: SCIOGLI IL PARLAMENTO O RASSEGNI LE DIMISSIONI DALL'ELISEO? - A DUE ANNI DALLA SCADENZA DEL SUO MANDATO PRESIDENZIALE, IL GALLETTO  È SOLO DI FRONTE A UN BIVIO: SE SCIOGLIE IL PARLAMENTO, RISCHIA DI RITROVARSI LA STESSA INGOVERNABILE MAGGIORANZA ALL’ASSEMBLEA NAZIONALE – PER FORMARE IL GOVERNO, LECORNU SI È SPACCATO LE CORNA ANDANDO DIETRO AI GOLLISTI, E ORA FARÀ UN ULTIMO, DISPERATO, TENTATIVO A SINISTRA CON I SOCIALISTI DI OLIVIER FAURE (MA MACRON DOVRA' METTERE IN SOFFITTA LA RISANATRICE RIFORMA DELLE PENSIONI, DETESTATA DAL 60% DEI FRANCESI) – L’ALTERNATIVA E' SECCA: DIMETTERSI. COSÌ MACRON DISINNESCHEREBBE MARINE LE PEN, INELEGGIBILE DOPO LA CONDANNA - MA È UN SACRIFICIO ARDUO: SE DA TECNOCRATE EGOLATRICO, CHE SI SENTIVA NAPOLEONE E ORA È DI FRONTE A UNA WATERLOO, SAREBBE PORTATO A DIMETTERSI, TALE SCELTA SAREBBE UNA CATASTROFE PER L'EUROPA DISUNITA ALLE PRESE CON LA GUERRA RUSSO-UCRAINA E UN TRUMP CHE SE NE FOTTE DEL VECCHIO CONTINENTE (LA FRANCIA E' L'UNICA POTENZA NUCLEARE EUROPEA E UN POSTO NEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL'ONU), COL PERICOLO CONCRETO DI RITROVARSI ALL'ELISEO BARDELLA, IL GALLETTO COCCODE' DI LE PEN, CHE NEL 2014 AMMISE A "LE MONDE" DI AVER RICEVUTO UN FINANZIAMENTO DI 9 MILIONI DA UNA BANCA RUSSA CONTROLLATA DA PUTIN...