luigi di maio dimitris avramopouolos

IL QATARGATE DA’ UNA MANO A DI MAIO - COINVOLTO NELL'ATTIVITA' DELLA ONG DI PANZERI, DAL QUALE HA RICEVUTO COMPENSI PER 60 MILA EURO, CROLLANO LE CHANCE DELL’EX COMMISSARIO EUROPEO DIMITRIS AVRAMOPOULOS COME INVIATO UE PER I PAESI DEL GOLFO – RISALGONO LE QUOTAZIONI DI DI MAIO CHE HA DUE OSTACOLI: LA PRESA DI DISTANZA DEL CAPO DELLA FARNESINA, ANTONIO TAJANI, E L’OSTILITÀ NEGLI EMIRATI ARABI, DOV'È VIVO IL RICORDO DELLA CRISI DIPLOMATICA DEL 2021, INNESCATA DAL BLOCCO ALL'EXPORT DI ARMI, DECISO DA DI MAIO…

Paolo Valentino per il “Corriere della Sera”

 

avramopoulos

C'è una conseguenza imprevista nelle disavventure dell'ex commissario europeo Dimitris Avramopoulos. Coinvolto negli intrallazzi di Pier Antonio Panzeri, dal quale ha ammesso di aver avuto compensi per 60 mila euro tra febbraio 2021 e febbraio 2022, l'uomo politico conservatore greco si è subito dimesso dal board di Fight impunity, l'Ong al centro del cosiddetto Qatargate, nella quale sostiene di non aver mai avuto alcuna responsabilità esecutiva o gestionale.

 

Ma la doverosa presunzione d'innocenza non toglie che siano ormai ridotte a zero le chance di Avramopoulos, esponente del Ppe, di ottenere l'incarico di inviato speciale dell'Ue nei Paesi del Golfo, un posto nuovo di zecca creato dall'Alto Rappresentante per la Politica estera, Joseph Borrell, per focalizzare meglio l'azione dell'Europa in tema di approvvigionamento energetico e assistenza internazionale.

 

LUIGI DI MAIO

E questo, secondo fonti europee, rilancia le quotazioni dell'ex ministro degli Esteri Luigi Di Maio, l'altro candidato eccellente, che fra l'altro è il primo della short list selezionata dal panel incaricato di vagliare i nomi in ballo.

 

Contro Di Maio gioca però la presa di distanza del capo della Farnesina, Antonio Tajani, il quale già all'esordio aveva messo le mani avanti, dicendo che il suo predecessore «non è il candidato di questo governo italiano» ma è stato proposto dal «governo precedente».

 

Non è proprio così. E per capirlo occorre andare indietro. Questa ricostruzione è frutto di numerose interviste con fonti diplomatiche e persone informate. È stato lo stesso Di Maio, all'inizio dell'estate, a mettere gli occhi sul nuovo incarico creato da Borrell, col quale aveva stabilito un buon rapporto personale. È importante sottolineare che non si tratta di nomina governativa, nel senso che non c'è una casella che diversi governi cercano di occupare con un nome loro. In questo caso è una candidatura, alla quale si accede per titoli e che poi viene valutata da un panel tecnico, con tanto di audizione.

 

DIMITRIS AVRAMOPOULOS CON L AMBASCIATORE DEL QATAR

Per questo non è esatto dire, come sostengono alcuni, che sia stato Mario Draghi a lanciarla, a titolo di compensazione per il «sacrificio» di Di Maio, che ha pagato cara la scissione dai Cinque Stelle per sostenere il suo governo. Il che non significa che l'ex presidente del Consiglio non l'abbia appoggiato. «Impegnandosi massicciamente», come sostiene Der Spiegel ?

 

No. Più verosimilmente, dicono le fonti, esprimendosi in senso positivo con Borrell, il quale ha chiesto referenze su Di Maio, così come ha fatto per tutti gli altri. Difficile immaginare che l'ex premier non parlasse bene del capo della sua diplomazia.

 

luigi di maio a napoli

In realtà, nei mesi estivi Di Maio ha dovuto studiare e sgobbare, facendosi aiutare da alcuni coach di assoluto livello. Fra questi, il segretario generale della Farnesina e già suo capo di gabinetto Ettore Sequi, decisivo nella fase di preparazione della candidatura.

 

Due altri «allenatori» sono stati l'ambasciatore Stefano Sannino, segretario generale del Seae, il Servizio europeo per l'azione esterna, quindi di fatto il vice di Borrell, e Fernando Gentilini, diplomatico italiano anche lui distaccato al Seae, dove ha diretto il desk per Medio Oriente e Nord Africa, nonché autore di libri molto interessanti sull'Afghanistan e Israele.

 

La preparazione è andata a buon fine, se è vero che dopo i colloqui il panel ha messo Di Maio in testa alla short list, di cui fanno parte, oltre ad Avramopoulos, anche l'ex ministro degli Esteri cipriota, Markos Kyprianou e il diplomatico slovacco Jan Kubis, già capo della missione Onu in Libia.

 

DIMITRIS AVRAMOPOULOS

Sul piano politico, uno che ha fatto il ministro degli Esteri per tre anni risponde sicuramente ai requisiti dell'incarico.

 

Sul piano tecnico, qualche dubbio è lecito: «Di Maio - ha detto a Le Monde un ex manager dell'energia italiano - non ha le basi per capire i dossier energetici, ma è considerato uno che studia e si applica. In realtà, l'incarico è abbastanza nebuloso e sarà difficile che cambi qualcosa: gli Stati produttori continueranno a trattare con le compagnie nazionali».

 

ANTONIO TAJANI

L'handicap più importante rimane però la presa di distanza di Tajani. Borrell, infatti potrebbe esitare a proporre un nome non gradito a uno dei Paesi fondatori. Certo si può argomentare che forse è sempre meglio avere un italiano piuttosto che il rappresentante di un altro Paese in un incarico europeo.

 

Ma un altro ostacolo è una certa ostilità negli Emirati Arabi, dov' è vivo il ricordo della crisi diplomatica del 2021, innescata dal blocco all'export di armi, deciso da Di Maio per sanzionarne il coinvolgimento nel conflitto in Yemen: «La nomina di Di Maio come inviato dell'Ue nel Golfo deve nascondere un senso europeo dell'ironia che mi sfugge», ha detto Mohammed Baharoon, che dirige il Centro di ricerca politica di Dubai. Ma la certa uscita di scena di Avramopoulos, spiegano le fonti europee, fa dell'ex ministro degli Esteri italiano «il candidato più forte». In ritardo sulla tabella di marcia, la decisione, che dev' essere approvata a maggioranza qualificata dal Consiglio, potrebbe essere presa nei prossimi giorni.

la dirty dancing di luigi di maio 1

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ignazio la russa matteo salvini antonio tajani

DAGOREPORT – LE REGIONALI SONO ANDATE A FINIRE COME NON VOLEVA, SALTELLANDO FUNICULÌ-FUNICULÀ, GIORGIA MELONI: LA "STATISTA DELLA SGARBATELLA", CHE RISCHIA DI NON TORNARE A PALAZZO CHIGI TRA DUE ANNI, ACCELERA SULLA DOPPIETTA PREMIERATO-LEGGE ELETTORALE, MA NON TUTTO FILA LISCIO A PALAZZO CHIGI: SALVINI E TAJANI SPUTERANNO SANGUE PUR DI OPPORSI ALL’INDICAZIONE DEL NOME DEL PREMIER SULLA SCHEDA ELETTORALE, CHE FINIREBBE PER CANNIBALIZZARLI - LA LEGA È CONTRARISSIMA ANCHE AL PREMIO DI MAGGIORANZA ALLA COALIZIONE (CON LA SOGLIA AL 40%, LA LEGA DIVENTEREBBE SACRIFICABILE) – ALTRA ROGNA: IGNAZIO LA RUSSA SCENDE IN CAMPO IN MODALITÀ SCASSA-MELONI: HA RINFOCOLATO LA POLEMICA SU GAROFANI E SE NE FOTTE DEI DIKTAT DELLA DUCETTA (FIDANZA SINDACO DI MILANO? NO, MEJO LUPI; PRANDINI GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA? NO, QUELLA È ROBA MIA)

francesco de tommasi marcello viola daniela santanche ignazio leonardo apache la russa davide lacerenza pazzali

DAGOREPORT - CHE FINE HANNO FATTO LE INCHIESTE MILANESI SULLA SANTANCHE', SUL VISPO FIGLIO DI LA RUSSA, SUL BORDELLO DELLA "GINTONERIA" AFFOLLATA DI POLITICI, IMPRENDITORI E MAGISTRATI, OPPURE SULL'OSCURA VENDITA DELLA QUOTA DI MPS DA PARTE DEL GOVERNO A CALTAGIRONE E COMPAGNI? - A TALI ESPLOSIVE INDAGINI, LE CUI SENTENZE DI CONDANNA AVREBBERO AVUTO UN IMMEDIATO E DEVASTANTE RIMBALZO NEI PALAZZI DEL POTERE ROMANO, ORA SI AGGIUNGE IL CASO DEL PM FRANCESCO DE TOMMASI, BOCCIATO DAL CONSIGLIO GIUDIZIARIO MILANESE PER “DIFETTO DEL PREREQUISITO DELL’EQUILIBRIO” NELL’INDAGINE SUL CASO DI ALESSIA PIFFERI – MA GUARDA IL CASO! DE TOMMASI È IL PM DELL’INCHIESTA SUI DOSSIERAGGI DELL’AGENZIA EQUALIZE DI ENRICO PAZZALI, DELICATISSIMA ANCHE PER I RAPPORTI DI PAZZALI CON VERTICI GDF, DIRIGENTI DEL PALAZZO DI GIUSTIZIA MILANESE E 007 DI ROMA - SE IL CSM SPOSASSE IL PARERE NEGATIVO DEL CONSIGLIO GIUDIZIARIO, LA CARRIERA DEL PM SAREBBE FINITA E LE SUE INDAGINI SUGLI SPIONI FINIREBBERO NEL CESTINO - LA PROCURA DI MILANO RETTA DA MARCELLO VIOLA, CON L'ARRIVO DELL'ARMATA BRANCA-MELONI, E' DIVENTATA IL NUOVO ''PORTO DELLE NEBBIE''?

giorgia meloni regionali de luca zaia salvini conte stefani decaro fico

DAGOREPORT: COME SI CAMBIA IN 5 ANNI - PER CAPIRE COME SIA ANDATA DAVVERO, OCCORRE ANALIZZARE I VOTI ASSOLUTI RIMEDIATI DAI PRINCIPALI PARTITI, RISPETTO ALLE REGIONALI DEL 2022 - LA LEGA HA BRUCIATO IL 52% DEI VOTI IN VENETO. NEL 2020 LISTA ZAIA E CARROCCIO AVEVANO OTTENUTO 1,2 MILIONI DI PREFERENZE, QUESTA VOLTA SOLO 607MILA. CONSIDERANDO LE TRE LE REGIONI AL VOTO, SALVINI HA PERSO 732MILA VOTI, IL 47% - TONFO ANCHE PER I 5STELLE: NEL TOTALE DELLE TRE REGIONI HANNO VISTO SFUMARE IL 34% DELLE PREFERENZE OTTENUTE 5 ANNI FA – IL PD TIENE (+8%), FORZA ITALIA IN FORTE CRESCITA (+28,3%), FDI FA BOOM (MA LA TENDENZA IN ASCESA SI È STOPPATA) – I DATI PUBBLICATI DA LUIGI MARATTIN....

luca zaia matteo salvini alberto stefani

DAGOREPORT – DOPO LA VITTORIA DEL CENTRODESTRA IN VENETO, SALVINI NON CITA QUASI MAI LUCA ZAIA NEL SUO DISCORSO - IL “DOGE” SFERZA VANNACCI (“IL GENERALE? IO HO FATTO L'OBIETTORE DI COSCIENZA”) E PROMETTE VENDETTA: “DA OGGI SONO RICANDIDABILE” – I RAS LEGHISTI IN LOMBARDIA S’AGITANO PER L’ACCORDO CON FRATELLI D’ITALIA PER CANDIDARE UN MELONIANO AL PIRELLONE NEL 2028 - RICICCIA CON PREPOTENZA LA “SCISSIONE” SUL MODELLO TEDESCO CDU-CSU: UN PARTITO “DEL TERRITORIO”, PRAGMATICO E MODERATO, E UNO NAZIONALE, ESTREMISTA E VANNACCIZZATO…

luca zaia roberto vannacci matteo salvini

NON HA VINTO SALVINI, HA STRAVINTO ZAIA – IL 36,38% DELLA LEGA IN VENETO È STATO TRAINATO DA OLTRE 200 MILA PREFERENZE PER IL “DOGE”. MA IL CARROCCIO DA SOLO NON AVREBBE COMUNQUE VINTO, COME INVECE CINQUE ANNI FA: ALLE PRECEDENTI REGIONALI LA LISTA ZAIA PRESE DA SOLA IL 44,57% E IL CARROCCIO IL 16,9% - SE SALVINI PIANGE, MELONI NON RIDE: NON È RIUSCITA A PRENDERE PIÙ VOTI DELLA LEGA IN VENETO E IN CAMPANIA È TALLONATA DA FORZA ITALIA (11,93-10,72%). PER SALVINI E TAJANI SARÀ DIFFICILE CONTRASTARE LA RIFORMA ELETTORALE - PER I RIFORMISTI DEL PD SARÀ DURA DARE UN CALCIO A ELLY SCHLEIN, AZZERATE LE AMBIZIONI DI GIUSEPPE CONTE COME CANDIDATO PREMIER - "LA STAMPA": "IL VOTO È LA RIVINCITA DELLA ‘LEGA NORD’ SU QUELLA SOVRANISTA E VANNACCIANA: LA SFIDA IDEOLOGICA DA DESTRA A MELONI NON FUNZIONA. IL PARTITO DEL NORD COSTRINGERÀ SALVINI AD ESSERE MENO ARRENDEVOLE SUI TAVOLI DELLE CANDIDATURE. SUL RESTO È LECITO AVERE DUBBI…”