leonardo pucci alfonso bonafede

QUANTO DURA ANCORA IL ''FUORI TUTTO'' DI BONAFEDE? ANCORA 306 BOSS RESTANO A CASA, NONOSTANTE I DECRETI-TOPPA PER RIMEDIARE ALLA GRANDE FUGA. INVECE L'UNICO CHE NON TORNA A CASA È PROPRIO LUI, FOFFO DJ, PERCHÉ SA CHE SE CADE LUI, CADE IL GOVERNO INTERO. LUI E IL SUO VICE-CAPO DI GABINETTO, LEONARDO PUCCI, DUE EX ASSISTENTI DI GIUSEPPE CONTE A FIRENZE, NON MOLLANO MENTRE INTORNO SI DIMETTONO TUTTI, DAL DAP AL MINISTERO. TANTO LO SCANDALO DI MATTEO-SCARCERAZIONI VIENE TENUTO BASSO DA MOLTI GIORNALI

 

Massimo Malpica per ''il Giornale''

 

LEONARDO PUCCI ALFONSO BONAFEDE

Boss, criminali di stazza varia, delinquenti e detenuti in attesa di giudizio. Tutti uniti dallo stesso destino, sotto forma di circolare del ministero della Giustizia che ha aperto le porte delle celle mandando a casa 356 detenuti affetti da altre patologie e dunque considerati a rischio contagio dietro le sbarre. E 306 di loro sono ancora a casa, nonostante i decreti fatti per rimediare alla grande fuga. Il pasticcio arriva dopo le rivolte nelle carceri all'alba del Covid che hanno provocato 14 vittime tra i detenuti, ed è ben noto.

 

Così come sono note le clamorose conseguenze. Uomini come il boss dei Casalesi Pasquale Zagaria che finiscono scarcerati, le polemiche che travolgono il ministero di via Arenula, il decreto con cui Bonafede ha tentato di tappare la falla (ma sarebbero tornati dai domiciliari in carcere solo una cinquantina di detenuti, i casi più clamorosi, come Zagaria, appunto, e quelli ritenuti più pericolosi), le dimissioni dei vertici del Dap, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che prima vede andarsene il numero uno, il magistrato Francesco Basentini, e poi registra pure il passo indietro, per «motivi familiari», del direttore generale detenuti Giulio Romano, nominato poche settimane prima, mentre pure il capo di Gabinetto di Bonafede, Fulvio Baldi, saluta e se ne va per «ragioni personali» il giorno dopo la pubblicazione di intercettazioni tra il «solito» Luca Palamara e lo stesso collaboratore del Guardasigilli.

leonardo pucci

 

Il tutto mentre telecamere e giornalisti accorrono sotto le case dei criminali eccellenti «rimpatriati» dall'improvvida iniziativa della nostra giustizia, finendo per testimoniare il ritorno di molti angoli del Bel Paese sotto il controllo dei padrini a rischio Covid.

 

alfonso bonafede francesco basentini 1

 Mandati a casa da una serie di via libera di dirigenti e funzionari che non avevano voglia di trovarsi poi ad affrontare in proprio la responsabilità di un contagio eccellente. Se il diktat è arrivato dall'alto, insomma, non ha certo trovato ostacoli nella sua applicazione. Tornando a Roma, mentre boss e criminali ricominciavano grazie alla circolare del Dap a far sentire la propria presenza anche fisica nei territori di competenza in qualche caso per pochi giorni, ma c'è chi è ancora a casa in via Arenula scoppia il terremoto. Le scosse, da settimane, non accennano a finire.

 

Ma l'unico che sembra ignorarle è proprio lui, il titolare del dicastero, il pentastellato Bonafede. Che non si smuove nonostante gli attacchi da ogni lato, e continua a difendere le sue scelte. Anche quella di aver preferito Basentini al pm antimafia Nino Di Matteo, con tanto di corollario di accuse firmate proprio dal magistrato, che non si è fatto pregare nel ricordare che quel posto al Dap gli era stato proposto proprio da Bonafede, che però poi gli aveva fatto sapere, il giorno dopo, di aver cambiato idea optando per Basentini. Il ministro minimizza, alla Camera difende la sua scelta, ma la sua linea non convince.

FULVIO BALDI

 

Due sere fa, Matteo Renzi, ospite di Giletti a Non è l'Arena, tira un siluro al rappresentante dell'esecutivo che pure lui appoggia, ipotizzando che il merito di Basentini per guadagnarsi la promozione a capo del Dap sia stata «l'inchiesta fuffa, assurda, sulla vicenda Tempa rossa», che nel 2016 portò a interrogare mezzo governo guidato dall'ex segretario Pd. Ma da Giletti l'onda d'urto contro il Guardasigilli non si ferma a Renzi. È forte ed è trasversale. Ci va giù durissimo il sindaco di Napoli ed ex pm in Calabria Luigi de Magistris, che dice di sentire in tutta la vicenda «puzza di ndrangheta» e trova dalla sua parte il direttore del Giornale Alessandro Sallusti, che definisce «inquietante» il fatto che si stia «cercando di insabbiare questa vicenda».

sebastiano ardita nino di matteo

 

In fondo, proprio chiamando il programma di Giletti, il 3 maggio scorso, Di Matteo aveva ipotizzato che la reazione preoccupata di alcuni capimafia alla sua paventata nomina a capo del Dap, avrebbe indotto Bonafede a cambiare idea e ad assegnare l'incarico a Basentini. Così, ora, anche la giornalista del Fatto Quotidiano Sandra Amurri, ospite del programma, chiede a Bonafede di spiegare, per cominciare, quel «gran rifiuto» a Di Matteo: «Ciò che non sappiamo è perché ha cambiato idea, se ha cambiato idea lui, o chi gli ha fatto cambiare idea, perché dentro questa risposta c'è la verità di questa storia molto torbida, che il Paese deve sapere. Il ministro deve dare una spiegazione».

LUCA PALAMARA DA GILETTI

 

Come dovrebbe darla rispetto a quella circolare, che un magistrato ed ex dirigente del Dap come Sebastiano Ardita boccia senza appello sia intervenendo da Giletti («Non l'avrei mai firmata, non è nella filosofia del ministero») e ribadendo che non poteva certo essere firmata da una semplice funzionaria sia, un mese fa, in un'intervista al Corriere a proposito dello scontro Di Matteo-Bonafede: «Stiamo assistendo alla Caporetto del sistema penitenziario e della prevenzione penale, che ha prodotto come effetto domino le rivolte, con la morte di 14 persone affidate alla cura dello Stato e poi l'uscita dal carcere dei mafiosi».

sandra amurri 5

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni regionali de luca zaia salvini conte stefani decaro fico

DAGOREPORT: COME SI CAMBIA IN 5 ANNI - PER CAPIRE COME SIA ANDATA DAVVERO, OCCORRE ANALIZZARE I VOTI ASSOLUTI RIMEDIATI DAI PRINCIPALI PARTITI, RISPETTO ALLE REGIONALI DEL 2022 - LA LEGA HA BRUCIATO IL 52% DEI VOTI IN VENETO. NEL 2020 LISTA ZAIA E CARROCCIO AVEVANO OTTENUTO 1,2 MILIONI DI PREFERENZE, QUESTA VOLTA SOLO 607MILA. CONSIDERANDO LE TRE LE REGIONI AL VOTO, SALVINI HA PERSO 732MILA VOTI, IL 47% - TONFO ANCHE PER I 5STELLE: NEL TOTALE DELLE TRE REGIONI HANNO VISTO SFUMARE IL 34% DELLE PREFERENZE OTTENUTE 5 ANNI FA – IL PD TIENE (+8%), FORZA ITALIA IN FORTE CRESCITA (+28,3%), FDI FA BOOM (MA LA TENDENZA IN ASCESA SI È STOPPATA) – I DATI PUBBLICATI DA LUIGI MARATTIN....

luca zaia matteo salvini alberto stefani

DAGOREPORT – DOPO LA VITTORIA DEL CENTRODESTRA IN VENETO, SALVINI NON CITA QUASI MAI LUCA ZAIA NEL SUO DISCORSO - IL “DOGE” SFERZA VANNACCI (“IL GENERALE? IO HO FATTO L'OBIETTORE DI COSCIENZA”) E PROMETTE VENDETTA: “DA OGGI SONO RICANDIDABILE” – I RAS LEGHISTI IN LOMBARDIA S’AGITANO PER L’ACCORDO CON FRATELLI D’ITALIA PER CANDIDARE UN MELONIANO AL PIRELLONE NEL 2028 - RICICCIA CON PREPOTENZA LA “SCISSIONE” SUL MODELLO TEDESCO CDU-CSU: UN PARTITO “DEL TERRITORIO”, PRAGMATICO E MODERATO, E UNO NAZIONALE, ESTREMISTA E VANNACCIZZATO…

luca zaia roberto vannacci matteo salvini

NON HA VINTO SALVINI, HA STRAVINTO ZAIA – IL 36,38% DELLA LEGA IN VENETO È STATO TRAINATO DA OLTRE 200 MILA PREFERENZE PER IL “DOGE”. MA IL CARROCCIO DA SOLO NON AVREBBE COMUNQUE VINTO, COME INVECE CINQUE ANNI FA: ALLE PRECEDENTI REGIONALI LA LISTA ZAIA PRESE DA SOLA IL 44,57% E IL CARROCCIO IL 16,9% - SE SALVINI PIANGE, MELONI NON RIDE: NON È RIUSCITA A PRENDERE PIÙ VOTI DELLA LEGA IN VENETO E IN CAMPANIA È TALLONATA DA FORZA ITALIA (11,93-10,72%). PER SALVINI E TAJANI SARÀ DIFFICILE CONTRASTARE LA RIFORMA ELETTORALE - PER I RIFORMISTI DEL PD SARÀ DURA DARE UN CALCIO A ELLY SCHLEIN, AZZERATE LE AMBIZIONI DI GIUSEPPE CONTE COME CANDIDATO PREMIER - "LA STAMPA": "IL VOTO È LA RIVINCITA DELLA ‘LEGA NORD’ SU QUELLA SOVRANISTA E VANNACCIANA: LA SFIDA IDEOLOGICA DA DESTRA A MELONI NON FUNZIONA. IL PARTITO DEL NORD COSTRINGERÀ SALVINI AD ESSERE MENO ARRENDEVOLE SUI TAVOLI DELLE CANDIDATURE. SUL RESTO È LECITO AVERE DUBBI…”

xi jinping vladimir putin donald trump

DAGOREPORT – L'INSOSTENIBILE PIANO DI PACE DI TRUMP, CHE EQUIVALE A UNA UMILIANTE RESA DELL'UCRAINA, HA L'OBIETTIVO DI  STRAPPARE LA RUSSIA DALL’ABBRACCIO ALLA CINA, NEMICO NUMERO UNO DEGLI USA - CIÒ CHE IL TYCOON NON RIESCE A CAPIRE È CHE PUTIN LO STA PRENDENDO PER IL CULO: "MAD VLAD" NON PUÒ NÉ VUOLE SFANCULARE XI JINPING - L’ALLEANZA MOSCA-PECHINO, INSIEME AI PAESI DEL BRICS E ALL'IRAN, È ANCHE “IDEOLOGICA”: COSTRUIRE UN NUOVO ORDINE MONDIALE ANTI-OCCIDENTE – IL CAMALEONTISMO MELONI SI INCRINA OGNI GIORNO DI PIÙ: MENTRE IL VICE-PREMIER SALVINI ACCUSA GLI UCRAINI DI ANDARE “A MIGNOTTE” COI NOSTRI SOLDI, LA MELONI, DAL PIENO SOSTEGNO A KIEV, ORA NEGA CHE IL PIANO DI TRUMP ACCOLGA PRATICAMENTE SOLO LE RICHIESTE RUSSE ("IL TEMA NON È LAVORARE SULLA CONTROPROPOSTA EUROPEA, HA SENSO LAVORARE SU QUELLA AMERICANA: CI SONO MOLTI PUNTI CHE RITENGO CONDIVISIBILI...")

donald trump volodymyr zelensky vladimir putin servizi segreti gru fsb cia

DAGOREPORT - L’OSCENO PIANO DI PACE SCODELLATO DA TRUMP, CHE EQUIVALE A UNA CAPITOLAZIONE DELL’UCRAINA, ANDAVA CUCINATO BENE PER FARLO INGOIARE A ZELENSKY - E, GUARDA LA COINCIDENZA!, ALLA VIGILIA DELL’ANNUNCIO DEL PIANO TRUMPIANO SONO ESPLOSI GLI SCANDALI DI CORRUZIONE A KIEV, CHE VEDONO SEDUTO SU UN CESSO D’ORO TIMUR MINDICH, L’EX SOCIO DI ZELENSKY CHE LO LANCIÒ COME COMICO - PER OTTENERE ZELENSKY DIMEZZATO BASTAVA POCO: È STATO SUFFICIENTE APRIRE UN CASSETTO E DARE ALLA STAMPA IL GRAN LAVORIO DEI SERVIZI SEGRETI CHE “ATTENZIONANO” LE TRANSIZIONI DI DENARO CHE DA USA E EUROPA VENGONO DEPOSITATI AL GOVERNO DI KIEV PER FRONTEGGIARE LA GUERRA IN CORSO…