1. SEI MINISTRI CON E SENZA PORTAFOGLIO MA, SOPRATTUTTO, SENZA IDEE E PIENI DI SÈ 2. C’È IL TECNICO QUELLO CHE VIAGGIA A TUTTO GAS MA NON CONCLUDE NULLA (TERZI DI SANT’AGATA); C’È L’EX BANCHIERE CHE APPROFITTA DELLE DOMENICA PER LANCIARE PROGETTI BELLISSIMI (PASSERA); C’È IL “CORPO ESTRANEO” NELLA CULTURA ITALIANA CHE FA IL MINISTRO DEI BENI CULTURALI (ORNAGHI); C’È IL DEMOCRISTIANO DAL MILIONE DI AMICIZIE (GNUDI); C’È IL PROTAGONISTA DELLA PACE IN MOZAMBICO, ORA FINITO IN FERRARI (RICCARDI); C’È L’EX AMMIRAGLIO CHE ORA RISCHIA DI AFFONDARE (DI PAOLA) 3. AMORALE DELLA FAVOLA: CI VOLEVANO LE MIGLIORI MENTI PER SCOVARE “TECNICI” COSÌ?

MINISTRI CHE NON TOCCANO PALLA
Salvatore Cannavò per "il Fatto Quotidiano"

Nell'ultima indagine Ipr Marketing sulla fiducia nei ministri del governo Monti, la lista ne comprendeva solo otto. Gli altri dieci erano rappresentati da un distico: "Il livello di conoscenza è troppo basso per poter avere un indice di fiducia significativo". La conoscenza non è, ovviamente, prova di capacità. Ci sono ministri poco conosciuti, come il responsabile dell'Agricoltura, Mario Catania o quello della Coesione sociale Fabrizio Barca, che lavorano bene. La notorietà viaggia per altri canali: il ministro, anzi, la ministra, più conosciuta è forse Elsa Fornero ma questo non certifica certo le sua capacità. Come, del resto, ha ammesso lei stessa qualche giorno fa.

Dei sei ministri che abbiamo scelto per illustrare la scarsa produttività del governo Monti, c'è il tecnico che non è un tecnico, quello che viaggia a tutto gas ma non conclude nulla, il più sconosciuto di tutti, oppure quello dal curriculum di pregio che si impantana nella politica in Ferrari. Solo uno, di quelli da noi scelti, fa parte della tabella di Ipr Marketing: Andrea Riccardi, il cui gradimento è anche rilevante sia pure in discesa. Ma la notorietà, si sa, è questione che attiene più alla mobilità che all'abilità, all'attivismo piuttosto che all'attività, al chiacchiericcio più che ai fatti.

Tra i nostri protagonisti, invece, sembra prevalere un procedere stanco, un'efficacia poco concreta, fossero giudicati con i canoni della produttività aziendale pochi di loro conserverebbero il posto. Restando su tonalità rispettose, possiamo dire che, come minimo, non hanno brillato nel compito per il quale sono stati selezionati. Non c'è una legge che porti il loro nome, un'iniziativa di grido, una polemica rilevante, un'intuizione o un gesto che meriti di essere ricordato.

Ministri con e senza portafoglio ma, soprattutto, senza idee. Non si tratta di mettere all'indice nessuno: i nostri personaggi, presi uno a uno, sono sicuramente delle brave persone e nei loro ambiti hanno già dimostrato le proprie capacità. Ma nei tormenti della politica italiana, con un po' di perfidia e un pizzico di soddisfazione, si potrebbe ribaltare contro di loro l'accusa che il sottosegretario Michel Martone, altra figura dagli scarsi risultati, scagliò contro i laureati ritardatari: "Sfigati".


1- CORRADO PASSERA - L'UOMO DEGLI ANNUNCI BELLISSIMI
Giorgio Meletti

"Abbiamo progetti bellissimi con la Cassa Depositi e Prestiti", ha detto qualche giorno fa il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera. Giovane assistente di Carlo De Benedetti, oggi i due si detestano, e poi manager di successo e strapagato (Olivetti, Mondadori, Poste, Banco Ambroveneto, Intesa Sanpaolo), da un anno Passera si è specializzato in annunci sul futuro radioso che attende l'Italia in generale e il suo futuro politico in particolare.

Ma in tutti i suoi tre campi di attività (azione di governo, annunci generali e previsioni particolari) fatica a uscire dal generico. Muore dalla voglia di entrare in politica, ma un giorno sì e l'altro pure intima ai curiosi di attendere, con la curiosa formula "quando lo farò lo dirò". Se usasse lo stesso metro per gli atti di governo tacerebbe sempre. Invece parla tutti i giorni con uno schema logico inverso: "Adesso lo dico, poi magari lo faccio". I più arrabbiati per il suo amabile cianciare sono i sindacati, che lo trovano inerte di fronte all'onda anomala di licenziamenti e chiusure di aziende. Segue a ruota il suo predecessore, l'ex An Altero Matteoli.

Ogni volta che Passera annuncia di aver sbloccato decine di miliardi di investimenti per le infrastrutture (ha cominciato appena nominato), Matteoli strilla che quei soldi li aveva già stanziati lui. Ma non importa: annunciate, annunciate, qualcosa resterà. I suoi vari decreti-sviluppo cambieranno l'Italia, giura, ma non subito. Bisogna pazientare. Ha promesso anche un nuovo piano energetico nazionale, la lotta alla contraffazione, il pagamento dei debiti dello Stato con i fornitori, l'imminente fine della recessione, nonché un vero colpo di scena: la Fiat dovrà fare i conti con lui, altro che mollare l'Italia alla chetichella. "Gli stiamo addosso. Ci stiamo sopra alla grande", ha detto a Domenica In. Molto aggressivo. Ma Sergio Marchionne si spaventerà?

2. TERZI DI SANT'AGATA - TANTO IMPEGNO, POCHE SODDISFAZIONI
Stefano Citati

Dura la vita transoceanica di un ministro che deve rappresentare, e difendere, l'Italia nel mondo. Giulio Maria Terzi di Sant'Agata fu scelto nel governo Monti per garantire la continuità nei rapporti con l'amico americano, snervato dal fiammeggiante Berlusconi e sollevato dalla sobrietà professoriale.

L'ambasciatore a Washington, pur incappato in una sgradevole querelle matrimoniale durante il suo incarico nella capitale statunitense, ha un profilo diplomatico impeccabile (è stato anche ambasciatore all'Onu) che si scontra però con la relativa inconsistenza internazionale del paese che rappresenta e con gli spiacevoli incidenti di percorso che ne rivelano la fragilità.

Non dovendosi occupare delle relazioni tra la Casa Bianca e l'esecutivo Monti - che il Professore cura direttamente, essendo stato individuato da Obama come ago della bilancia tra i contendenti francotedeschi - il conte d'origini bergamasche cura i dossier di pura politica estera, che non obbligano a iniziative solitarie, ma a seguire la mal affiatata compagine europea. Allo stesso tempo tiene a bada gli episodicamente riottosi funzionari della Farnesina, in subbuglio per i tagli che coinvolgono anche le feluche (il cui ministero è pur prodigo di benefit).

Epperò, le sortite isolate del ministro italiano possono produrre poco - come nel caso dei due marò da febbraio detenuti in attesa di giudizio in India - o un eccesso retorico verbale, come nell'ultima esternazione sul lavorio diplomatico per Gaza: L'Italia rappresenta "una voce molto ascoltata nel difficile negoziato" ha detto un paio di giorni fa; "gli incontri del Capo dello Stato, la presenza autorevole del premier nel Golfo e i miei sforzi hanno dato all'Italia una grandissima autorevolezza", rivelando con modestia di aver fatto da ‘tramite' nel negoziato, "raccogliendo informazioni che poi trasferisco ad altri".

3. PIERO GNUDI - IL DEMOCRISTIANO DAL MILIONE DI AMICIZIE
Emiliano Liuzzi

Piero Gnudi, bolognese fino alla punta dei capelli, almeno quanto da sempre è democristiano, le stanze del potere le gironzola da un bel pezzo. E' stato in almeno un centinaio di consigli d'amministrazione. Ma la nella sua recente vita di ministro non ha particolarmente brillato. Si è impegnato per trovare un raggiro alla direttiva Bolkenstein e lasciare così gli stabilimenti balneari nelle mani delle famiglie che li gestiscono da svariate generazioni. Il risultato è stato meno di zero: anche per quelle piccole miniere d'oro verranno fatte le aste. Con buona probabilità che finiscano in mani straniere.

Gnudi è il miglior amico di Romano Prodi, da sempre suo compagno di bicicletta. E' politicamente vicino a Pier Ferdinando Casini, ammesso e non concesso che sia mai stato troppo vicino o troppo lontano da qualcuno che conta. E' anche il suocero di Cetto La Qualunque: sua figlia Maddalena e Antonio Albanese, hanno un bambino, Leonardo, nato in marzo, vivono a Milano dopo che Albanese ha scoperto che la Bologna ex rossa in cui si era trasferito non è più intrigante del carrello dei bolliti freddo. Maddalena comunque lavora sotto le Due Torri nello studio da commercialista del padre.

In via Castiglione, dove Gnudi ha l'ufficio, passa non solo la città, ma l'Italia del potere economico. Gnudi comunque ha solo amici. In tutto l'arco costituzionale e oltre. Ha navigato prima di Berlusconi, con Berlusconi, con Prodi, persino nelle acque molto basse di D'Alema e Amato. È in buoni rapporti pure con Carlo De Benedetti, anche se negli anni Ottanta il commercialista bolognese guidava la cordata locale che si opponeva all'acquisto da parte dell'Ingegnere del Credito Romagnolo. CDB vinse, e perdono l'amico di tutti.

4. LORENZO ORNAGHI - IL "CORPO ESTRANEO" NELLA CULTURA ITALIANA
Tomaso Montanari

Il ministro neoguelfo prediletto dalla gerarchia cattolica ha dovuto ammettere che non si potranno restaurare le chiese emiliane danneggiate dal sisma. Perché? Ma perché lo Stato non ha soldi.

Conseguenze della doppia fedeltà (allo Stato, ma soprattutto alla Chiesa) dell'unico ministro non tecnico del governo tecnico, che si è rivelato un asso nell'unire destra e sinistra: le quali concordano sul fatto che Ornaghi sia il peggior ministro dei Beni culturali della storia della Repubblica, oltre alla peggior buccia di banana presa da Mario Monti.

I misteri del rosario di Ornaghi sono tutti dolorosi: a partire dal fatto che ci ha messo dieci mesi sia per lasciare il posto di Rettore della Cattolica, sia per degnarsi di visitare L'Aquila, città martire del patrimonio artistico italiano.

Nel consiglio di amministrazione della Scala ha piazzato Alessandro Tuzzi, un suo intimo, e ha popolato il Consiglio superiore dei Beni culturali di non competenti amici suoi, affidandone la guida ad un filosofo del diritto che non sa nulla di beni culturali (Francesco De Sanctis: rettore, come lui, di un'università privata). Si è rifiutato di rimuovere la soprintendente di Milano (come invece gli chiedeva la Direzione lombarda dei Beni culturali, anche a causa del pasticcio del quadro di Brera), e ha piazzato Giovanna Melandri alla guida del Maxxi, suscitando uno tsunami di sdegno bipartisan.
Nella collezione di ritratti al vetriolo che il ministro sta raccogliendo, suona definitivo quello di Umberto Allemandi (l'educato editore del Giornale dell'arte): "Ornaghi? Un corpo estraneo".

5. ANDREA RICCARDI - PROTAGONISTA DELLA PACE IN MOZAMBICO, ORA È FINITO IN FERRARI
Salvatore Cannavò

Andrea Riccardi è uno di quegli uomini di cui è difficile parlare male. Basterebbe rivedere la puntata di quella bella trasmissione che Rai3 manda in tarda serata, "Correva l'anno", e sentirlo celebrare, in portoghese, l'accordo di pace nella sua Sant'Egidio, tra il governo del Mozambico e la guerriglia della Renamo. Lo sguardo appassionato, la barba folta, il dito indice puntato sul futuro.

Quando è diventato ministro per la Cooperazione internazionale, è sembrata l'unica nota azzeccata di un governo stonato. Poi, lo abbiamo ritrovato accanto a Luca Cordero di Montezemolo a fondare un partito. "Verso la Terza Repubblica", dicevano i manifesti. In Ferrari, lontano dal Mozambico. Il paradosso di Riccardi è che faceva di più quando si occupava di diplomazia internazionale che oggi nel ruolo di ministro. Nel governo Monti lo si ricorda soprattutto per le dichiarazioni solerti, la velocità con cui scende dal Consiglio dei ministri e informa la stampa.

Ma, se gli si può perdonare che, da ministro, percepisca una pensione lorda di 81.154 euro l'anno, difficile sopportare una dichiarazione al giorno. Come l'ultima settimana: Immigrazione: "Occorre cultura adeguata, oltre fai-da-te"; Infanzia: "darle priorità nonostante carenza risorse"; Mediterraneo: "è il nostro mondo, l'Italia deve esserci"; Immobili: "nessun esproprio a enti e casse".

Però Riccardi è persona onesta, pronto a prendere atto dei propri insuccessi. Come ha fatto, a Milano, nel corso del Forum della Cooperazione internazionale: "Ai nostri partner dobbiamo dire la verità. Faremo della cooperazione internazionale una politica centrale del Paese, ma non potremo arrivare all'obiettivo europeo dello 0,7% del Pil nel 2015. Possiamo forse giungere in tre anni a circa la metà". Potremmo. Forse. In tre anni. In portoghese gli veniva meglio.


6. GIAMPAOLO DI PAOLA - L'EX AMMIRAGLIO ORA RISCHIA DI AFFONDARE
Enrico Fierro

L'ammiraglio che sussurrava agli americani. Giampaolo Di Paola, napoletano di 68 anni, una vita spesa tra i sommergibili, le stanze che contano delle Forze Armate e i palazzi della politica. L'ammiraglio, oggi ministro supertecnico della Difesa, piaceva a Prodi, a Berlusconi e a D'Alema. Un militare tutto d'un pezzo, fedelissimo alla Patria, che però si preoccupa di informare gli amici americani alla vigilia di una possibile vittoria della
sinistra. Siamo nell'ottobre 2005 e l'ammiraglio si fa in quattro per sollecitare l'ambasciata statunitense a firmare rapidamente l'accordo per la base di Sigonella.

È l'ambasciatore Ronald Spogli a mettere nero su bianco la sollecitazione dell'amico italiano in un cablo inviato al Dipartimento di Stato e pubblicato da WikiLeaks. "Di Paola ha detto che nel caso in cui ci fosse un cambio al governo dopo le elezioni del prossimo aprile, senza l'accordo di Sigonella firmato diventerebbe politicamente impossibile per gli Usa continuare a operare con le mani relativamente libere che ora abbiamo nelle basi italiane". Il tutto condito dalla "filosofia" del Gattopardo.

Nota infatti Spogli: "Qualcosa deve cambiare (la firma dell'accordo per Sigonella, ndr), affinché nulla cambi (le mani libere degli americani sulle basi italiane)". Fedeltà atlantica e "militarizzazione" spinta del ministero, con qualche piccola delusione. Quei fischi a Pisa, lo scorso 27 ottobre in occasione delle celebrazioni del 70° anniversario della battaglia di El Alamein: pacifisti ed ex militari in piazza per chiedere la liberazione dei marò prigionieri in India. Una brutta giornata per l'ammiraglio-ministro, quasi un "affondamento".

 

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