1- LA TAPPA ROMANA DEL VIAGGIO IN CAMPER DEL BIMBACCIONE RENZI SI TRASFORMA IN UN HAPPENING DE’ NOANTRI. UNA CONVENTION DEI DEMOCRATICI AMERICANI IN SEDICESIMO. MANCANO SOLO I GADGET, LE SPILLETTE E LE TRUPPE CAMMELLATE DI PARTITO PER IL RESTO, C’È (DI) TUTTO: DA CICCIO ADINOLFI A RONDOLINO A TESTA DI CHICCO 2- PER LO SHOW (REGIA DI GIORGIO GORI, TESTI DI FAUSTO BRIZZI), MATTEUCCIO HA LA DIVISA DEL RIFORMISTA 2.0(12), CAMICIA BIANCA E CRAVATTA SCURA, E VIENE INTRODOTTO DAL PEZZO HOUSE DEL DJ DAVID GUETTA, GIÀ COLONNA SONORA DELLO SPOT DI ‘X-FACTOR’ 3- ESSI’, LA POLITICA POP È IL FORMAT SCELTO DA RENZI CHE, MICROFONO IN MANO, COMINCIA AD ALMANACCARE LE PAROLE CHIAVE DEL SUO YUPPISMO DAL VOLTO PARA-GURU CHE PESCA A PIENE MANI NELLA CULTURA POPOLARE E NELL’IMMAGINARIO ANNI OTTANTA

Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
Francesco Persili per Dagospia

«Vabbè, Obama quando arriva?» Basta uno sguardo al palco con lo slogan di antico conio nixoniano (Adesso!), la scenografia in polistirolo (Matteo 2012), il rosso e blu come colori dominanti per scatenare la verve battutara della platea dell'Auditorium della Conciliazione. «Un (democrat) americano a Roma». Aficionados e simpatizzanti si aspettano molto dal sindaco di Firenze e hanno voluto esserci a tutti i costi. Metti una sera con il Rottamatore, l'outsider che ha sfidato l'establishment del partito, il simbolo della rupture di chi «non vuole stare più in panchina».

La tappa romana del viaggio in Italia di Matteo Renzi si trasforma in un happening de' noantri. Una convention dei democratici americani in sedicesimo. Mancano solo i gadget, le spillette e le truppe cammellate di partito («ma questo è un bene», fanno notare gli organizzatori), per il resto, c'è (di) tutto: il deputato Mario Adinolfi che conosce Renzi dai tempi dei giovani popolari e il suo collega Andrea Sarubbi in t-shirt grigia con tanto di scritta («Proud to be a democrat»), gli esodati che protestano e chiedono un incontro al sindaco di Firenze e progressisti da Terrazza in ordine sparso.

C'è la Roma del faccio-cose-e-vedo-gente e quella che si alza la mattina presto, la borghesia intellettuale che ha il suo orizzonte estetico tra l'Auditorium e Capalbio e il ceto medio gravato dalle tasse e dal corredo muto delle rate. Sono venuti tutti ad ascoltare Renzi: oltre al prodiano Mario Barbi e all'area liberal raccolta intorno ad Antonio Funiciello, c'è anche il responsabile Feste ed eventi del Pd, Lino Paganelli, che si schiera con il sindaco.

Non mancano i sostenitori di Bersani, il braccio destro di Dario Franceschini, Alberto Losacco, e il segretario dei Giovani Democratici, che gravita nell'orbita left di Rifare l'Italia, Fausto Raciti (che poi ammetterà su Facebook di essere andato a sentire Renzi senza pregiudizi: «ma l'ho trovato come il pane toscano, tutto bello, tutto sciapo»).

La discesa in camper di Renzi unisce mondi lontani, mescola appartenenze ed incuriosisce. Passano Chicco Testa, ex presidente di Legambiente e dell'Enel oggi numero uno del Forum nucleare italiano, e Fabrizio Rondolino, già consigliere di D'Alema a Palazzo Chigi.

Riuniti nella stessa sala battitori liberi e il disturbatore di professione Alessandro Paolini, giovani militanti finiti ai margini (o rifluiti nel privato) dopo la vittoria congressuale di Bersani, oltre a molti volti noti della politica locale: Patrizia Prestipino, assessore alle politiche sportive della Provincia e candidata alle primarie per il sindaco, l'ex presidente del I Municipio Giuseppe Lobefaro, Cristiana Alicata, nipote di quel Mario che ha fatto la storia del Pci, e attivista per i diritti civili.

In mezzo alle cinquanta sfumature di democratici della Capitale, spunta anche il sandalo dell'assessore capitolino Gianluigi De Palo, che su Twitter aveva invitato anche il sindaco Alemanno a partecipare, e Fabrizio Santori, presidente della commissione Sicurezza in Campidoglio.

In quell'Auditorium in cui Fini consumò la rottura con Berlusconi con tanto di ditino alzato («Che fai, mi cacci?») e Bersani riunì i segretari del Pd lo stesso giorno della prima Leopolda, Renzi arriva, invece, dopo aver registrato nel pomeriggio la puntata di Porta a Porta, preceduto dal «clamoroso autogol» sui manifesti abusivi con relative scuse a mezzo Twitter.

Sorrisi e strette di mano, il sindaco rottamatore ha la divisa del riformista 2.0(12), camicia bianca e cravatta scura, e viene introdotto dalle note di Titanium, il pezzo house del dj David Guetta, già colonna sonora dello spot di X-Factor. La politica pop è il format scelto da Renzi che, microfono in mano, comincia ad almanaccare le parole chiave del suo programma: Europa, futuro e merito, e a camminare sul palco alternando provocazioni («In America due ragazzi si chiudono in un garage fondano Google, se lo fanno da noi arriva l'asl e se li porta via») battute («La sonda Curiosity andata su Marte è costata meno alla Nasa di quanto la Salerno-Reggio Calabria sia costata all'Anas») calembour (il patto di stabilità diventa il patto di stupidità).

Effetti speciali e dialoghi estemporanei con il pubblico, citazioni di Longanesi (Alla manutenzione, l'Italia preferisce l'inaugurazione) e Don Lorenzo Milani, spezzoni di film. Per ridere con il Massimo Troisi di "Non ci resta che piangere" e rovesciare i luoghi comuni «di una certa sinistra che ha sempre considerato il futuro come una minaccia», e, allo stesso tempo, «per desacralizzare l'immagine della politica», complice un video di Crozza, che fa una sua memorabile imitazione.

Lezioni di (auto)ironia e leggerezza. «Parlo sempre di rottamazione? Tranquilli, la faremo senza dirlo...» Yuppismo dal volto umano che pesca a piene mani nella cultura popolare e nell'immaginario anni Ottanta. Nella narrative renziana, che concede molto allo spettacolo - e alla quale non è estraneo, secondo la vulgata antipatizzante, il sospetto di uno stile troppo berlusconiano - non c'è emozione che non assuma la forma di un racconto, per usare le stesse parole che Giuliano da Empoli, ex assessore alla cultura di Firenze, ora nel cda della fondazione renziana Big Bang, usa nel suo libro dedicato ad Obama.

E come l'attuale presidente americano, ma nella versione dell'outsider di 4 anni fa, Renzi parla di «speranza» anche se poi non sfugge alla retorica «della crisi come opportunità», prima di chiedere che la politica non si riduca ad «una lotta tra tifoserie come in questi ultimi 20 anni». Per dare il buon esempio, non infierisce sul caso Lazio, dopo le dimissioni di Polverini, limitandosi a un prevedibile: «La politica non è solo Batman...»

Infatti, ci sono anche le spese per le infrastrutture superiori alla media europea, gli asili nido, i tagli alla spesa della pubblica amministrazione, le caserme abbandonate, e, poi, altre citazioni, stavolta di Gobetti e della lettera di Ambrosoli alla moglie, ché «le primarie devono essere un modo per capire che cosa pensiamo davvero dell'Europa».

Brevi cenni dell'universo e una grandinata di applausi quando Renzi fa scorrere i titoli di coda su un ciclo politico: «Cambiare le facce non è un atto di maleducazione ma di correttezza per chi ha a cuore la politica«. E, poi, ancora, di fronte alla vexata quaestio del pranzo di Arcore e alle accuse dal sen del Pd fuggite di voler spaccare il partito, il Bimbaccio fiorentino oppone il coraggio di chi se la vuole giocare in libertà, a viso aperto assicurando, allo stesso tempo, lealtà al vincitore in caso di sconfitta.

Alcune questioni (alleanze e metodo di selezione delle candidature) restano inevase mentre la promessa dell'abolizione del finanziamento pubblico viene sottolineata dal battito di mani della platea a cui viene inflitto un supplemento di video: prima il mucciniano «Alla ricerca della felicità, con l'apoteosi dell'american dream (se vuoi una cosa, vai e prenditela) ai margini di un campo di basket, anche se qui siamo in Italia e tra blocchi e taglia-fuori - per andare in punta di metafora cestistica - non è poi così facile difendere fino in fondo i propri sogni, e, poi, il convitato di pietra di questa serata.

Habemus Obama, finalmente, il sospiro accompagna lo spezzone con il discorso del presidente americano in memoria di una bambina di dieci anni morta in un attentato. Il racconto si lega ad un aneddoto familiare sulle scelte del figlio di 11 anni («papà, io sto con Bersani perché ti voglio più a casa») e ad una riflessione sul ruolo della politica che ha il compito di «mantenere vive le aspettative dei bambini».

Il resto sono inviti a scegliere dal vago retrogusto kennedyano («chi non ha più alibi, oggi, siete voi») flash, foto ricordo, autografi sui libri. Tra gli aficionados del Bimbaccio, c'è la consapevolezza che comunque vada, l'effetto Renzi è destinato a cambiare la politica italiana. Quanto alle primarie del centrosinistra, lì la partita è ancora tutta da giocare. I sondaggi danno in crescita il sindaco Rottamatore ma c'è ancora molto scetticismo sulla sua capacità di rovesciare il risultato della sfida con Bersani a suo favore. «Tutti mi chiedono che farai se perdi, mai nessuno invece che farai se vinci», è questa la domanda che nessuno gli ha posto ancora. Un atto di cortesia, forse, per non far preoccupare ancora di più l'establishment del Pd.

 

 

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