TAM TAM ECO - LA LEZIONE SPAGNOLA È DA MEDITARE: LA 'GUERRIGLIA SEMIOLOGIA' CONDOTTA CON TELEFONINI E INTERNET NON L'HA FATTA UNA ÉLITE, MA SI È SVILUPPATA SPONTANEAMENTE (IL PUBBLICO PUO' FAR MALE ALLA TV DEI POTENTI.)

Umberto Eco per L'espresso

Mi telefona da Madrid il collega e amico Jorge Lozano, che insegna semiotica e teoria della comunicazione all'Università Complutense. Mi dice: "Hai visto quello che è successo da noi? Conferma tutto quello che voi avevate scritto negli anni Sessanta. Sto facendo rileggere ai miei studenti quella comunicazione che con Paolo Fabbri, Pier Paolo Giglioli e altri avevi fatto a Perugia nel '65, il tuo intervento a New York del 1957, sulla guerriglia semiologia, e quel tuo saggio del 1973 'Il pubblico fa male alla televisione?'. C'era già scritto tutto".

Fa piacere essere dichiarati profeti, ma ho fatto osservare a Lozano che allora non stavamo facendo profezie: mettevamo in luce delle linee di tendenza che esistevano già. Va bene, va bene, mi dice Jorge, ma i soli a non aver letto quelle cose sono stati proprio i politici. Sarà. La faccenda è questa. In quegli anni Sessanta e primi Settanta si stava dicendo in varie sedi che certamente la televisione (e in genere i mezzi di massa) sono uno strumento potentissimo capace di controllare quelli che allora si chiamavano i 'messaggi', e che ad analizzare quei messaggi si poteva vedere come essi potessero influenzare le opinioni degli utenti e addirittura forgiare le coscienze.

Ma si osservava che quello che i messaggi intenzionalmente dicevano non era necessariamente quello che il pubblico vi leggeva. Gli esempi banali erano che l'immagine di una sfilata di mucche viene 'letta' in modo diverso da un macellaio europeo e da un bramino indiano, che la pubblicità di una Jaguar risveglia il desiderio in uno spettatore benestante e sentimenti di frustrazione in un diseredato. Insomma, un messaggio mira a produrre certi effetti ma può scontrarsi con situazioni locali, altre disposizioni psicologiche, desideri, paure, e produrre effetti boomerang.

Così è accaduto in Spagna. I messaggi governativi volevano dire "credete a noi, l'attentato è opera dell'Eta" ma - proprio perché quei messaggi erano così insistiti e perentori - la maggior parte degli utenti hanno letto "ho paura di dire che è stata Al Qaeda". E qui si è inserito il secondo fenomeno, che all'epoca era stato definito come 'guerriglia semiologia'. Si diceva: se qualcuno ha il controllo delle emittenze, non si può andare a occupare la prima sedia davanti alle telecamere, ma si può andare a occupare idealmente la prima sedia davanti a ogni televisore.



In altre parole la guerriglia semiologia doveva consistere in una serie di interventi attuati non là dove il messaggio parte, ma dove arriva, inducendo gli utenti a discuterlo, a criticarlo, a non riceverlo passivamente. Negli anni Sessanta questa 'guerriglia' veniva concepita in modo ancora arcaico, come operazione di volantinaggio, organizzazione di 'teleforum' sul modello del cineforum, interventi volanti nei bar dove la maggior parte della gente si riuniva ancora intorno all'unico televisore del quartiere. Ma quello che ha dato un tono, e un'efficacia molto diversa a questa guerriglia, in Spagna, è che viviamo nell'epoca di Internet e dei telefonini. Così la 'guerriglia' non è stata organizzata da gruppi d'élite, da attivisti di qualche sorta, da una 'punta di diamante', ma si è sviluppata spontaneamente, come una sorta di tam tam, di trasmissione bocca a bocca da cittadino a cittadino.

Quello che ha messo in crisi il governo Aznar, mi dice Lozano, è stato un vortice, un flusso inarrestabile di comunicazioni private che ha assunto dimensioni di fenomeno collettivo, la gente si è mossa, guardava la televisione e leggeva i giornali ma nello stesso tempo ciascuno comunicava con gli altri e si chiedeva se quello che veniva detto era vero. Internet permetteva anche di leggere la stampa straniera, le notizie venivano confrontate, discusse. Nel giro di ore si è formata un'opinione pubblica che non pensava e non diceva quello che la televisione voleva fargli pensare. È stato un fenomeno epocale, mi ripeteva Lozano, il pubblico può davvero far male alla televisione. Forse sottintendeva: "No pasaran!".

Quando qualche settimana fa in un dibattito suggerivo che, se la televisione è controllata da un solo padrone, una campagna elettorale può essere fatta da uomini sandwich che percorrano le strade raccontando alla gente delle cose che la televisione non dice, non stavo enunciando una proposta divertente. Pensavo davvero agli infiniti canali alternativi che il mondo della comunicazione ci mette a disposizione: si può contestare un'informazione controllata anche attraverso i messaggini del cellulare, invece di trasmettere solo "ti amo".

Di fronte all'entusiasmo del mio amico gli ho risposto che da noi, forse, i mezzi di comunicazione alternativa non sono ancora così sviluppati, visto che si fa politica (perché è politica, e tragica) occupando uno stadio e interrompendo una partita, e che da noi i possibili autori di una guerriglia semiologia sono piuttosto impegnati a farsi male a vicenda in luogo di far male alla televisione. Però la lezione spagnola è da meditare.


Dagospia 04 Aprile 2004