CAFONALINO - ROMA APPLAUDE SCORSESE (MAI SCARSO) E DICAPRIO (MAI CAPRINO) MA "THE AVIATOR" VOLA TROPPO E DOPO 2 ORE E 45 MINUTI LO SPETTATORE SOGNA DI ATTERRARE - DOPO IL FLOP IN USA, PIACERA' IN ITALIA?...
Michele Anselmi per Il Riformista
Reportage di Umberto Pizzi da Zagarolo
A 62 anni Martin Scorsese è un "classico" del cinema americano, un monumento vivente riverito in tutto il mondo, un faro per i cinefili di varie generazioni, eppure i suoi film non incassano più. L'ultimo ad andar davvero bene fu "Cape Fear". Prendete "Gangs of New York", un anno di riprese a Cinecittà, un cast stellare, costi alle stelle: in patria non superò i 77 milioni di dollari, in Italia si fermò a 7 milioni e mezzo di euro.
Chissà se andrà meglio con "The Aviator", altra impresa titanica, un budget da circa 110 milioni di dollari, di nuovo Leonardo Di Caprio protagonista, nei panni di Howard Hughes (si pronuncia «Iuus», senza far sentire la g), l'eccentrico petroliere texano che tra gli anni Venti e Quaranta rivoluzionò il mondo del cinema e dell'aviazione.
I primi dati americani non inducono all'ottimismo. Uscito sotto Natale, il filmone di 2 ore e 45 minuti ha incassato finora poco più di 30 milioni di dollari, niente in confronto ai 106 di "Ocean's Twelve" e ai 165 di "Mi presenti i tuoi?". Magari crescerà nelle prossime settimane, in vista dell'Oscar (pare che finalmente il regista di "Toro Scatenato", sempre snobbato dall'Academy, abbia qualche chance); poi c'è l'Europa, e naturalmente l'Italia, dove debutta il 28 gennaio, distribuito in pompa magna da Raicinema.
Naturalmente Scorsese è Scorsese. Un visionario che ama le sfide impossibili, anche sul piano della tecnica. A differenza di Hughes, detesta volare, ma c'è da giurarci che, ereditando il progetto pensato da Di Caprio per Michael Mann, Scorsese abbia trasfuso qualcosa di sé nell'epopea di quel geniale magnate "futurista": produttore hollywoodiano di pazzeschi film di guerra come "Angeli dell'inferno" (costato nel 1930 ben 4 milioni di dollari), amante delle più desiderate dive di Hollywood (Jean Harlow, Katharine Hepburn, Jane Russell, Ava Gardner), pilota spericolato, creatore della Twa, convinto assertore dei voli transoceanici, inventore di giganti dell'aria impensabili per l'epoca.
«The way of the future», il mezzo del futuro, ripete meccanicamente, vittima di manie e fobie varie, pure sordo, l'appena 42enne Hughes-DiCaprio nell'ultima scena del film. Ha appena vinto la sua battaglia contro il senatore Brewster, che cercava di sputtanarlo per impedirgli di gareggiare con la Pan-Am; l'enorme idrovolante Hercules a otto motori, il sogno di una vita, s'è alzato finalmente in volo; ma lui pensa già agli aerei a reazione, lucido e febbricitante si pone nuovi strabilianti obiettivi.
Non sa che il disordine compulsivo si impadronirà totalmente di lui, spingendolo nei decenni a venire a chiudersi in stanze d'albergo sigillate per la paura dei germi, al riparo dal sole, dove muoversi praticamente nudo, isolato da tutti (morirà nel 1976, irriconoscibile, ridotto a 42 chili di peso, strafatto di codeina).
Ma l'Howard Hughes che rievoca Scorsese è quello della gioventù rampante e gagliarda, il playboy dai doppiopetto impeccabili e dal talento sfrigolante, il produttore che esige 26 cineprese per girare al meglio le acrobatiche battaglie aeree di "Angeli dell'inferno", che infinocchia la commissione di censura pronta a vietare Il mio corpo ti scalderà per via della generosa scollatura di Jane Russell, che ama, riamato, la "democratica" Katie Hepburn, scostante e irregolare quanto lui.
Il film, affollato di star come Cate Blanchett, Alec Baldwin e Jude Law, scenografato prodigiosamente dal nostro Dante Ferretti, che fa rivivere le follie del Coconut Grove, rinforzato da effetti speciali "all'antica", perlopiù meccanici, è fluido ed elegante, glamourous al punto giusto, con una punta di devozione cinefila nei confronti della "golden era" hollywoodiana.
Ma ci si chiede: piacerà al pubblico giovane? Non è la prima volta (per l'esattezza la quarta) che il mitico magnate finisce in un film, solo che qui "citizen Hughes", per parafrasare Orson Welles, è protagonista assoluto: emblema di una magnifica ossessione, a un passo dalla follia, che il trentenne Di Caprio restituisce con totale immedesimazione, forse augurandosi di cancellare il fantasma ingombrante di "Titanic".
Dagospia 05 Gennaio 2005
Reportage di Umberto Pizzi da Zagarolo
A 62 anni Martin Scorsese è un "classico" del cinema americano, un monumento vivente riverito in tutto il mondo, un faro per i cinefili di varie generazioni, eppure i suoi film non incassano più. L'ultimo ad andar davvero bene fu "Cape Fear". Prendete "Gangs of New York", un anno di riprese a Cinecittà, un cast stellare, costi alle stelle: in patria non superò i 77 milioni di dollari, in Italia si fermò a 7 milioni e mezzo di euro.
Chissà se andrà meglio con "The Aviator", altra impresa titanica, un budget da circa 110 milioni di dollari, di nuovo Leonardo Di Caprio protagonista, nei panni di Howard Hughes (si pronuncia «Iuus», senza far sentire la g), l'eccentrico petroliere texano che tra gli anni Venti e Quaranta rivoluzionò il mondo del cinema e dell'aviazione.
I primi dati americani non inducono all'ottimismo. Uscito sotto Natale, il filmone di 2 ore e 45 minuti ha incassato finora poco più di 30 milioni di dollari, niente in confronto ai 106 di "Ocean's Twelve" e ai 165 di "Mi presenti i tuoi?". Magari crescerà nelle prossime settimane, in vista dell'Oscar (pare che finalmente il regista di "Toro Scatenato", sempre snobbato dall'Academy, abbia qualche chance); poi c'è l'Europa, e naturalmente l'Italia, dove debutta il 28 gennaio, distribuito in pompa magna da Raicinema.
Naturalmente Scorsese è Scorsese. Un visionario che ama le sfide impossibili, anche sul piano della tecnica. A differenza di Hughes, detesta volare, ma c'è da giurarci che, ereditando il progetto pensato da Di Caprio per Michael Mann, Scorsese abbia trasfuso qualcosa di sé nell'epopea di quel geniale magnate "futurista": produttore hollywoodiano di pazzeschi film di guerra come "Angeli dell'inferno" (costato nel 1930 ben 4 milioni di dollari), amante delle più desiderate dive di Hollywood (Jean Harlow, Katharine Hepburn, Jane Russell, Ava Gardner), pilota spericolato, creatore della Twa, convinto assertore dei voli transoceanici, inventore di giganti dell'aria impensabili per l'epoca.
«The way of the future», il mezzo del futuro, ripete meccanicamente, vittima di manie e fobie varie, pure sordo, l'appena 42enne Hughes-DiCaprio nell'ultima scena del film. Ha appena vinto la sua battaglia contro il senatore Brewster, che cercava di sputtanarlo per impedirgli di gareggiare con la Pan-Am; l'enorme idrovolante Hercules a otto motori, il sogno di una vita, s'è alzato finalmente in volo; ma lui pensa già agli aerei a reazione, lucido e febbricitante si pone nuovi strabilianti obiettivi.
Non sa che il disordine compulsivo si impadronirà totalmente di lui, spingendolo nei decenni a venire a chiudersi in stanze d'albergo sigillate per la paura dei germi, al riparo dal sole, dove muoversi praticamente nudo, isolato da tutti (morirà nel 1976, irriconoscibile, ridotto a 42 chili di peso, strafatto di codeina).
Ma l'Howard Hughes che rievoca Scorsese è quello della gioventù rampante e gagliarda, il playboy dai doppiopetto impeccabili e dal talento sfrigolante, il produttore che esige 26 cineprese per girare al meglio le acrobatiche battaglie aeree di "Angeli dell'inferno", che infinocchia la commissione di censura pronta a vietare Il mio corpo ti scalderà per via della generosa scollatura di Jane Russell, che ama, riamato, la "democratica" Katie Hepburn, scostante e irregolare quanto lui.
Il film, affollato di star come Cate Blanchett, Alec Baldwin e Jude Law, scenografato prodigiosamente dal nostro Dante Ferretti, che fa rivivere le follie del Coconut Grove, rinforzato da effetti speciali "all'antica", perlopiù meccanici, è fluido ed elegante, glamourous al punto giusto, con una punta di devozione cinefila nei confronti della "golden era" hollywoodiana.
Ma ci si chiede: piacerà al pubblico giovane? Non è la prima volta (per l'esattezza la quarta) che il mitico magnate finisce in un film, solo che qui "citizen Hughes", per parafrasare Orson Welles, è protagonista assoluto: emblema di una magnifica ossessione, a un passo dalla follia, che il trentenne Di Caprio restituisce con totale immedesimazione, forse augurandosi di cancellare il fantasma ingombrante di "Titanic".
Dagospia 05 Gennaio 2005