CI VUOLE L'INTERVENTO ONU PER LIBERARE LA RAI DAGLI HEZBOLLAH BERLUSCONES
DA RIOTTA A CAPRARICA, 12 CANDIDATURE PER IL TG1! MA SARÀ IL PRODINO A DECIDERE
COSA SUCCEDERÀ AL CDA DEL 6 SETTEMBRE LO SANNO SOLO BRANKO E MAGO OTELMA

Angoscia! Angoscia! griderebbe un Mike Bongiorno col parrucchino all'incontrario. Dopo il Rinascimento di Corrado, dopo il Medioevo di Pippo, il Risorgimento di Raffa, la Rai è entrata in pieno nell'era di Rai-Ufo. Perduta nello spazio, come un'astronave che partita da piazza del Gesù alla conquista di Giove e Saturno deambula ubriaca dietro la merlatura di cartapesta del pianeta Papalla. Più crudo, Prodi ha dichiarato che, quella delle nomine sott'olio di Ulivo, "E' una partita che non si può neanche giocare. E' molto più complicata della crisi libanese".

Rai, requiescat in pece. Un bordellone di gnomi e cognomi rimbalza oggi sui giornali e agenzie da spedirti in farmacia a caccia di Optalidon e Aulin. Spara l'Adnkronos: "Sarebbero addirittura dodici le candidature del centrosinistra, piu' o meno verosimili, per la successione di Clemente Mimun alla direzione del Tg1. Piu' che un totonomine, per la verita' somiglia d un Sudoku". E via con l'elenco dei candidati: "Gianni Riotta, Ferruccio De Bortoli, Giulio Anselmi, Marcello Sorgi (sarebbe un bis), Enrico Mentana, fino all'ipotetica rentree come 'quote rosa' di Lilli Gruber, nonche' agli 'interni' Antonio Caprarica, Giulio Borrelli (altro eventuale bis), David Sassoli, Piero Badaloni, Paolo Ruffini e Antonio Di Bella. Alcune voci, che girano con insistenza, sono in realta' dei diversivi, come nel caso di Sorgi (in partenza per Londra con l'incarico di corrispondente della 'Stampa''), o di Badaloni (ex presidente della Regione Lazio per il centrosinistra che secondo alcuni vanterebbe un'antica promessa da Romano Prodi)".

Continua l'agenzia diretta da Andrea Pucci: "Ad oggi, tuttavia, il borsino dei candidati indica nell''esterno' Riotta e nell''interno' Caprarica, corrispondente da Parigi, i favoriti. Al di la' delle voci, resta del tutto incerta la tempistica del 'Raibaltone', anche se al settimo piano di viale Mazzini i consiglieri del centrosinistra hanno gia' dato fuoco alle polveri e nei prossimi giorni tenteranno uno o piu' blitz. Il governo avrebbe chiesto al vertice Rai di procedere senza tentennamenti ai cambi di vertice di reti e testate, e laddove si dovesse confermare il no dei consiglieri del centrodestra, ancora in maggioranza, toccherebbe al Tesoro rimuovere Angelo Petroni, che pero' potrebbe ricorrere al Tar per impugnare il provvedimento".

Conclude l'Adnkronos: "In questo braccio di ferro, non manca chi ipotizza un tentativo di far cadere l'intero Cda, magari attraverso dimissioni pilotate, nel qual caso la presidenza della Rai dovrebbe essere di garanzia, ma affidata ad una personalita' gradita al centrodestra. La Cdl, peraltro, e' pronta a far pesare in ogni sede il fatto che all'indomani della vittoria elettorale del 2001 il Cda, presieduto da Roberto Zaccaria, resto' in carica per diversi mesi ancora, concludendo il suo mandato, al punto che le nomine Rai furono effettuate a meta' aprile dell'anno successivo, cioe' nel 2002. Appare certa, intanto, la nomina di Albino Longhi, per tre volte direttore del Tg1, ad assistente per l'informazione del direttore generale Claudio Cappon. Infine, si pone in viale Mazzini il problema di un'adeguata sistemazione aziendale per Clemente Mimun, forte di quattro anni e mezzo di successi al Tg1, qualora l'ex direttore del Tg2 e attuale timoniere dell'ammiraglia dell'informazione Rai non decidesse di lasciare l'azienda. Le ipotesi fin qui ventilate riguardano la direzione di Raisport o la guida di RaiDue".

Altro giro, altra corsa. Claudia Terracina, su "Il Messaggero", fa sapere che: "Di nomine si riparlerà nel Cda del 6 settembre. Per il Tg Uno aumentano le candidature: sembra tramontare l'ipotesi De Bortoli, riprende quota Marcello Sorgi, tallonato da Piero Badaloni e Antono Caprarica. Ma l'asso nella manica potrebbe essere l'attuale direttore di rete di Rai Tre Paolo Ruffini. Al Tg Due resterebbe Mauro Mazza, a meno che non vada a sostituire in quota An il collega Soccillo ai Tg di RadioRai. A Rai International, al posto di Magliaro, potrebbe approdare l'ex direttore generale Meocci, che parrebbe incompatibile anche con Rai corporation. Per Raisport competono Mimun e Franzelli. Ma per i bene informati il 6 verrà nominato solo il nuovo direttore del personale. In lizza ci sono Braccialarghe della Sipra, Di Loreto, attuale segretario del Cda Rai, e Luciano Flussi. Ma Comanducci potrebbe anche restare in sella e accettare una coabitazione".

E "la Repubblica" che ne pensa? F.B. annota: "A viale Mazzini si avvicina il momento della verità, l´attesa tornata di nomine per i direttori di rete e telegiornali: l´Unione avrebbe infatti trovato l´accordo al suo interno sulle direzioni. Per la casella più importante, quella del Tg1, il nome più forte è quello di Gianni Riotta, attuale vicedirettore del Corriere della sera, ben visto sia da Prodi (rimasto scottato dalla nomina di Cappon) che dai Ds. Paolo Ruffini verrebbe invece promosso da Rai 3 a Rai 1, lasciando la direzione della terza rete a Giovanni Minoli. E la Cdl? All´opposizione dovrebbe restare la "riserva" della Rete 2, ma a quel punto la direzione del Tg2 passerebbe da An (Mazza) a Forza Italia (Del Noce?). A Clemente Minum, in uscita dal Tg1, verrebbe affidata la direzione di Rai Sport".

Cosa succederà il prossimo 6 settembre, giorno fatale del primo CdA di viale Mazzini, lo sa solo il Mago Otelma. Quello che è certo è che i ntabili del centro-sinistra hanno deciso che sul Tg1 decide il Prodino, col rischio non del tutto improbabile di ripetere il brutto capitombolo della mancata nomina di Antonello Perricone alla direzione generale. In realtà, il prof di Bologna aveva proposto la poltrona del Tg1 prima a Ferruccio De Bortoli (che sogna il ritorno al Corrierone) e poi ad Ezio Mauro (che sogna, dopo Repubblica, di partire per le Americhe): due eminenti direttori che nei loro giornali guadagnano il doppio di ciò che Viale Mazzini può offrire.

Se si prova a percorrere i vialetti di Saxa Rubra si è bombardati di boatos, del tipo: "E' sicuro, a Rai Sport arriverà il montezemolato Marco Franzelli". Avanti un altro: "Sarà Teresa De Santis a prendere il posto di Del Noce a RaiUno. A Viale Mazzini hanno scoperto le quote rosa e la De Santis è molto stimata da Anna Serafini in Fassino". Prego, si accomodi: "Il prodista Badaloni finirà a Rai International. Borrelli è dalemiano ma ha la stima del Polo. Mentana? E' la carta di riserva bipartisan: Berlusconi non può dire no a chi ha diretto per 13 anni il suo telegiornale".

Giriamo l'angolo e si alza un'altra voce: "Tutti oggi scrivono Riotta al Tg1. No, è una cazzata: andrà a dirigere il Corriere della Sera, al posto di Mieli, magari con Verdelli come condirettore. Sassoli, poi, lo vuole solo Veltroni. Il diessino Caprarica gode di stima professionale ma non politica. Mentana, invece, si sta agitando: sarà l'intervistatore alla Festa dell'Unità a Pesaro di D'Alema e Veltroni e a Caorle accudirà Rutelli". Finita? No, arriva uno che ti spara in faccia: "Al Tg1 sono privi di due vice direttori, dopo la Tagliafico, se n'è andato Pionati. Chi li nominerà?". Basta, basta: prendete Marzullo e fatela finita..



2 - STORACE: VIA PETRUCCIOLI SE ESCE PETRONI.
(Adnkronos) - ''L'Unione vuole libanizzare la Rai, per dirla con il suo presidente del Consiglio con un'espressione che registra il silenzio assordante dell'Usigrai: se vogliono costringere Petroni alle dimissioni, e' evidente che la stessa sorte dovra' toccare al presidente Petruccioli. Sarebbe ben curioso vedere la presidenza della Rai ancora al centrosinistra''. Lo afferma il senatore di An Francesco Storace, che aggiunge: ''nessuno si metta in testa di negare rappresentanza all'opposizione di destra proponendo personaggi scamuffi''.

3 - GLI HEZBOLLAH DI VIALE MAZZINI AL FRONTE DELLE NOMINE.
Paolo Martini per "La Stampa"

Ricorre giusto in questi giorni il decennale di una di quelle solenni promesse uliviste che sono ormai buone solo per compilare il grande libro dei sogni: «Faremo della Rai un'altra Banca d'Italia», parola di Walter Veltroni. Era questo lo slogan dell'allora vicepremier del primo governo Prodi, e poi si sa che, invece, un po' alla volta, è stata Bankitalia a diventare come e peggio della Rai, fino alle dimissioni di Fazio. Sempre restando sull'onirico, adesso è Romano Prodi a squadernare le nomine Rai come uno dei suoi peggiori incubi: «E' una partita che non si può neanche giocare, è una partita molto più complicata di quella libanese». Che poi l'abbia detto con uno dei suoi soliti bonari sorrisi da parroco emiliano, non cambia la sostanza. Di beffardo il paragone Rai-Libano oggi ha soprattutto la curiosa situazione per cui negli insoliti panni da Hezbollah di viale Mazzini pare che si siano calati i più potenti personaggi del fu regime berlusconiano, a partire dal consigliere d'amministrazione Angelo Maria Petroni il cui voto è decisivo.

Le elezioni le ha vinte il centrosinistra, si sa ormai da quattro mesi: ma la tv pubblica è ancora solidamente nelle mani di una pattuglia di uomini di fiducia del premier che fu della Provvidenza. E si vede non solo nelle due prime reti e nei due principali tg. Da luglio, per esempio, c'è una situazione di stallo sulla richiesta di far liberare almeno la casella chiave di direttore del personale, dove siede Gianfranco Comanducci, avvocato e lupo di mare, che già ai tempi della presidenza Manca era una sorta di ufficiale di collegamento con Cesare Previti e il clan berlusconiano. E poi, tanto per dire, c'è l'altra postazione chiave della Fiction, dove nulla sfugge ad Agostino Saccà, che fu il primo direttore generale di Berlusconi. E poi ci sono il cosiddetto marketing strategico, che alla fine decide quali programmi si fanno e quali no, e il palinsesto che li colloca. E poi altri posti alla radio, e persino nelle direzioni di servizio.

Nei panni del nuovo Fiad Sinora della tv di Stato, che reclama appunto un intervento stile Onu per poter decidere qualcosa su un'azienda ancora troppo nelle mani degli Hezbollah berlusconiani, è il direttore generale appena nominato, Claudio Cappon. Sotto le bombe che dall'esterno la sinistra mediatica arrembante si prepara a lanciare, tacitata appena appena dalla nomina a vicedirettore generale di Giancarlo Leone, Cappon cerca di non far la fine inscritta in quel cognome così evocativo, e trovarsi magari sacrificato a Natale nella paralisi più assoluta. Tra i politici che contano ufficialmente solo Pier Ferdinando Casini ha benedetto la sua designazione. Prodi stesso, prima ha cercato di opporsi e poi ha convocato Cappon a palazzo Chigi giusto per consegnarli tre foglietti invero molto pesanti: il progetto presentato da Giovanni Minoli per scorporare, anche in ottemperanza a un celebre disatteso intervento dell'Authority sulle comunicazioni, le attività commerciali della Rai e quelle cosiddette di servizio pubblico (Raitre, Rai Educational, ecc.).

Ma in viale Mazzini non solo Minoli morde giustamente il freno, per sapere della Rai che verrà. Ci sono epurati eccellenti che aspettano da anni di ricominciare a lavorare (da Enzo Biagi a Carlo Freccero), giornalisti interni in quota Ds che contendono la prossima direzione del TgUno all'esterno di prestigio che invece sarebbe ben visto da Prodi, candidati forti benedetti dalla Margherita per Raiuno.

Insomma il Libano dentro viale Mazzini è trasversale, non conosce schieramenti ben definiti, anche se il primo snodo è proprio l'intransigenza dei temutissimi capi Hezbollah berlusconiani. Ma quanto può durare? Una risposta insolita vorrebbe darla forse Giuliano Urbani, che alla Rai è arrivato solo consigliere, ma è una sorta di quasi presidente: occupa, non per caso, la postazione centrale del corridoio del potere, a metà strada tra le stanze dove ora regna Cappon e quelle di Petruccioli.

Qualche sera fa, quando ormai nemmeno i vetri marrone scuro delle finestre riescono a smorzare le luci accecanti del tramonto estivo, si sono trovati da Urbani un pugno di potenti della nomenklatura berlusconiana Rai e alla fine, come in uno scioglilingua, hanno tutti convenuto che conviene convenire con tutti. Ovvero, basta con la linea del muro contro muro, tanto vale concordare su una lista di nomi per le postazioni chiave. Qualcuno si è spinto fino a suggerire a Urbani di accettare l'ipotesi di un nuovo direttore al TgUno persino se venisse da uno di quei giornali che Berlusconi nomina puntualmente nella litania contro la stampa padronale filocomunista. In cambio, salvare il salvabile, per esempio alla rete Uno, concordando su una nomina «equilibrata, interna e di prestigio».

All'identikit corrisponde il nome di Claudio Donat-Cattin. Democristiano di famiglia e di fatto, con una rosa conseguente di amici e sponsor tra Udc e Margherita (il presidente del Senato Franco Marini ereditò addirittura la corrente da suo papà Carlo), Donat-Cattin a Raiuno è vicedirettore con la delega sull'informazione. A suo tempo già Saccà voleva promuoverlo direttore di rete, ma fu addirittura convocato ad Arcore per sentirsi dire: «Non se ne parla». E questo, oggi, in fondo potrebbe essere un titolo di merito. In realtà, per vent'anni di duro e riservato lavoro dietro le quinte di «Porta a Porta», Donat-Cattin è stato il Regio Ufficiale di Sua Maestà Tele-Bruno-Vespa, cortese e impeccabile, perfetto persino nell'ambiente insolitamente sabaudo del quartiere Mazzini a Roma. Ma questo oggi, in fondo, potrebbe anche non essere un titolo di merito.


Dagospia 31 Agosto 2006