IL CAIMANO VOLA SULLA PINNA DELLO SQUALO: MEDIASET SCINTILLANTE IN BORSA

Ettore Livini per "Affari & Finanza - la Repubblica"

Mediaset regala in sei mesi azionari tutti d'oro un assegno (virtuale) da 760 milioni a Silvio Berlusconi e si prepara a condizionare in maniera decisiva - come in fondo è sempre successo dal 1994 - le prossime scelte politiche del Cavaliere. La guerra tra falchi e colombe del centrodestra in vista della sentenza della Cassazione sul processo dell'ex-premier (mollare o non mollare il governo Letta?) rischia di essere decisa alla fine proprio dalle tv di Arcore. Da quando a Palazzo Chigi siede l'esecutivo delle larghe intese, Il Biscione ha raddoppiato il suo valore a Piazza Affari.

E a Villa San Martino dove ogni lunedì i Berlusconi si trovano a fare il punto sugli affari di casa - si è aperto il dibattito: vale davvero la pena, in caso di condanna, staccare la spina all'esecutivo? Non c'è il rischio di precipitare il paese nel caos, cosa che a Macherio ha in fondo un valore relativo, ma soprattutto di affossare le azioni del Biscione dai 3,26 euro di oggi agli 1,62 di febbraio scorso, alla vigilia delle elezioni?

Domande destinate a pesare come un macigno nella dialettica del Popolo delle Libertà delle prossime settimane. Il tema, del resto, infiamma già da mesi il tam tam di Piazza Affari, spiazzata dalla corsa azionaria senza freni del Biscione più veloce del mondo. A febbraio le reti di Cologno valevano in Borsa 1,89 miliardi. Oggi 3,8. E il 40% nel portafoglio della Fininvest si è rivalutato, appunto, di 760 milioni. Cosa sta succedendo a Mediaset?

Da dove arriva quest'improvvisa euforia finanziaria? La domanda se la fanno in molti. Il Credit Suisse, in uno studio fresco di stampa, prova a dare una risposta legata a filo doppio ai fondamentali. La questione è semplice, scrive la banca d'affari elvetica: dopo tre anni difficili culminati con il primo passivo di casa Mediaset nel 2012 (quando la pubblicità è calata del 18,9%) all'orizzonte si inizia a vedere qualche squarcio di sereno. L'emorragia di spot, incrociando le dita, sembra vicina al capolinea. La raccolta a luglio - come ha anticipato Piersilvio Berlusconi è salita del 3%.

Una rondine non fa primavera, specie in estate quando il mercato pubblicitario batte un po' la fiacca. Ma in prospettiva «ci sono ulteriori segnali di miglioramento », ha garantito il vicepresidente della società che si è spinto con ottimismo a preannunciare piani di crescita all'estero. E in attesa di una verifica della svolta al banco di prova un po' più attendibile del palinsesto autunnale, le azioni in Borsa continuano a festeggiare. I fautori di questa tesi portano a conferma della loro teoria il confronto con Telecinco e Antena 3, la tv spagnola dei De Agostini.

Negli ultimi mesi anche questi due titoli hanno messo a segno performance da brividi. Segno - dicono gli analisti - che gli investitori stanno scommettendo sulla ripresa di Italia e Spagna. Ripresa che, come tradizione sui listini, è di solito anticipata da un rimbalzo delle azioni cicliche guidate dalle televisioni: Mediaset, per dire, vale oggi 22 volte il rapporto ev/ebitda contro la media di 9 delle concorrenti del nord Europa. Ma la sua controllata Telecinco è addirittura a 30. E in fondo anche Cairo, dopo essere entrato tra lo scetticismo generale nel business della tv generalista con l'acquisto di La7, è stato premiato con un balzo della sua azienda del 42%.

I Berlusconologi di Piazza Affari però non sono convinti del tutto di questa teoria. Convinti che in realtà che per le tv di casa Berlusconi ci sia in vista qualche novità più consistente. Quale? La più gettonata resta l'ipotesi di un'alleanza nelle pay-tv. Il Biscione ha investito 1,5 miliardi nel progetto Premium ma non è mai riuscito a portarne in equilibrio i conti. Da mesi quindi si discute ad Arcore di intese commerciali e finanziarie sul fronte della tv a pagamento.

Canal + ha molto interesse per l'Italia - ha ammesso lo stesso Piersilvio Berlusconi - Al Jazeera ha già dato un'occhiata al dossier. Ma il progetto più immaginifico (sul quale secondo indiscrezioni ci sarebbero stati diversi incontri ad alto livello tra le due parti) resta quello di una maxi-intesa con lo squalo - ed ex nemico per la pelle - Rupert Murdoch.

Il Cavaliere e il tycoon australiano sembrano oggi aver dimenticato i vecchi rancori e hanno da tempo sotterrato l'ascia di guerra. Gli affari sono affari. E un armistizio tra Sky e Premium in Italia farebbe bene a tutti e due riducendo in particolare i costi stellari per l'acquisizione dei diritti televisivi.

Da cosa poi nasce cosa, e così sul piatto sarebbe finita nelle ultime settimane anche l'ipotesi di una suggestiva alleanza allargata alla Spagna. Mediaset ha una prelazione sui titoli Digital+, la joint con Telefonica e Prisa. E oltre a poter vendere i suoi titoli (oggi ne ha in portafoglio il 22%) potrebbe esercitare il diritto ad acquistarli per poi spartire il mercato pay iberico assieme a News Corp o altri partner.

«Stiamo guardando all'estero nei paesi dove è prevista una crescita», ha ammesso a mezza bocca in un'intervista a "Il Sole 24 ore" il vicepresidente. Fantafinanza? Può darsi, ma secondo indiscrezioni attendibili Arcore e Murdoch hanno già sondato anche Bruxelles per verificare eventuali paletti antitrust a un asse a due su questi fronti.

E proprio le risposte della Ue avrebbero per ora un po' raffreddato questa pista. Il dossier è comunque apertissimo «Tutto è possibile - ha confessato il figlio del Cavaliere - Se Murdoch vuole entrare in Spagna noi siamo della partita. Se ne riparlerà quando Prisa deciderà di cedere la sua quota di controllo».

La corsa del titolo a Piazza Affari in quest'ottica, sussurrano i maligni, sarebbe un assist importante per Mediaset. Il Biscione ha sul groppone 1,6 miliardi di debiti e per acquistare il controllo di Digital+ dovrebbe staccare un assegno non troppo lontano dagli 1,5 miliardi.

Troppi per un'azienda con una situazione finanziaria sbilanciata come quella di Cologno. Come fare? La strada più semplice, come ovvio, sarebbe un bell'aumento di capitale. Operazione che con le azioni a quota 3,2 euro è molto più semplice di quanto sarebbe stato qualche mese fa.

Anche qui, come ovvio, siamo alla pura speculazione. Fininvest (a meno di un successo nel processo per il Lodo Mondadori che riporterebbe nelle casse di via Paleocapa oltre 500 milioni) non ha in cassaforte in questo momento i mezzi per ricapitalizzare le tv. A meno che non colga l'occasione per aprire il capitale a nuovi alleati interessati a entrare dalla porta d'ingresso del Biscione nel grande risiko dei media continentali.

Un modo per provare a diluire pure a livello azionario il rischio di un ritorno di fiamma delle polemiche mai sopite sui conflitti d'interesse tra il Silvio Berlusconi politico e quello primo azionista di Mediaset. Chi vivrà vedrà. Per intanto a Cologno si tiene il fiato sospeso sperando che il rimbalzo della pubblicità si consolidi.

L'ingresso di Stefano Sala a fianco di Giuliano Adreani nel team di Publitalia sembra aver dato una scossa alla raccolta anche in termini di innovazione. Un segnale importante anche perché il nuovo management della Sipra (meno legato al Biscione rispetto ai vertici precedenti, dicono in viale Mazzini) ha lanciato la Rai in una politica di promozioni e di novità molto aggressiva con l'obiettivo di recuperare almeno un po' del terreno perduto negli ultimi anni. Con la Mondadori si stanno studiano possibili sinergie.

E il piano dei tagli dei costi («abbiamo già risparmiato l'80% dei 450 milioni che ci eravamo posti come obiettivo», garantisce Berlusconi jr.) ha superato tutte le attese degli analisti. Ampi margini di manovra sono garantiti pure dall'acquisizione di Ei Towers. Il titolo dei ripetitori e delle antenne di casa Berlusconi ha messo assieme da inizio anno un altro bel +35%.

E con una quota di controllo al 65% esistono in linea teorica i margini per utilizzare questo asset per fare un po' di cassa. Mosse che da sole dovrebbero consentire di rimettere a posto il bilancio dopo l'annus horribilis del 2012. Il primo trimestre è andato in archivio in utile malgrado un altro crollo del 18% della pubblicità. Il secondo dovrebbe aver dato risultati simili.

Ad autunno dovrebbe arrivare un nuovo palinsesto che - sperano a Cologno - rilancerà l'audience da qualche tempo non brillantissima della tv generalista. E se gli spot ripartiranno, il Biscione potrebbe lasciarsi finalmente la crisi alle spalle e pensare davvero a una campagna acquisti oltre frontiera.

 

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