DAGOSPIA, 25 ANNI A FIL DI RETE - “UNA MATTINA DEL 22 MAGGIO 2000, ALL’ALBA DEL NUOVO SECOLO, SI È AFFACCIATO SUI COMPUTER QUESTO SITO SANTO E DANNATO - FINALMENTE LIBERO DA PADRONI E PADRINI, TRA MASSACRO E PROFANO, SENZA OGNI CONFORMISMO, HAI POTUTO RAGGIUNGERE IL NIRVANA DIGITALE CON LA TITOLAZIONE, BEFFARDA, IRRIDENTE A VOLTE SFACCIATA AL LIMITE DELLA TRASH. ADDIO AL “POLITICHESE”, ALLA RETORICA DEL PALAZZO VOLUTAMENTE INCOMPRENSIBILE MA ANCORA DI MODA NEGLI EX GIORNALONI - “ET VOILÀ”, OSSERVAVA IL VENERATO MAESTRO, EDMONDO BERSELLI: “IL SITO SI TRASFORMA IN UN NETWORK DOVE NEL GIOCO DURO FINISCONO MANAGER, BANCHIERI, DIRETTORI DI GIORNALI. SBOCCIANO I POTERI MARCI. D’INCANTO TUTTI I PROTAGONISTI DELLA NOSTRA SOCIETÀ CONTEMPORANEA ESISTONO IN QUANTO FIGURINE DI DAGOSPIA. UN GIOCO DI PRESTIGIO…”
roberto d agostino e ferdinando proietti
Lettera di Fernando Proietti a Dagospia
“Date all’uomo una maschera, e vi dirà la verità”. (Oscar Wilde)
Caro Roberto,
ahimè, peccato non esista una versione cartacea di Dagospia che celebra il suo quarto di secolo di vita nell’Anno di Grazia 2025 che andiamo a festeggiare. Tant’è. Auguri al tenutario di questo disgraziato sito che una mattina del 22 maggio 2000, all’alba del nuovo secolo, si è affacciato dubbioso sui monitor dei nostri personal computer.
Inconsapevole, il nostro Tarzan lanciatosi con la sua smilza liana nella giungla della rete che il suo blog (avviato su impulso di Barbara Palombelli) nel tempo divenisse una “start-up” innovativa e di successo. Sul modello (dichiarato) di “Drudge Report”. Il sito di gossip nel 1995 lanciato sul web dal suo autore, Matt Drudge, sull’onda dello scandalo Clinton–Lewinsky.
Eccolo, l’ex ragazzo delle notti romane in discoteca a fare il dj e in quelle arboriane in tv: “un programma epocale che ha cambiato la televisione”, per il critico del “Corriere” Aldo Grasso, far capolino sui nostri pc, con il “banner” del sito, stilizzato con due tratti di fildiferro, “a difesa della tua autonomia”, che fece storcere la bocca anche a qualche amico.
E il loro scetticismo acre avvolse in toto quell’avventura spericolata. Peggio del fumo che spargeva il tuo sigaro toscano. Il tutto, lavorando in solitudine nello studiolo che s’affacciava su piazza di Spagna con i suoi ninnoli di plastica e falli penzolanti dal soffitto che provocavano acuti mal di testa a Francesco Cossiga.
No, non ti montare la testa Roberto! La tua avventura pioneristica non è avvenuta in un garage come capitò al giovanissimo Steve Jobs, il fondatore di Apple, mentre tu già avevi valicato il mezzo secolo. E senza un grande avvenire alle spalle per dirla con l’aforisma di Vittorio Gassman. Almeno secondo gli addetti ai livori (e non solo) dopo l’interdizione, diffusasi come la peste nelle redazioni, a mettere penna sulla carta stampata. Massima colpa? aver dato del menagramo a Gianni Agnelli sull’”Espresso”.
intervista a dago per i 25 anni di dagospia - valerio cappelli per il corriere della sera
A conti fatti, l’Avvocato ti ha portato fortuna, assai meno al glorioso magazine del suo famiglio, il cognato, Carlo Caracciolo. E al Principe andrà peggio con il quotidiano “la Repubblica” fondato da Eugenio Scalfari. Prima venduto a Carlo De Benedetti e oggi (forse) liquidato da Yaki Elkan a un magnate greco per la gioia della “pulzella” della Garbatella, Giorgia Meloni. E se, invece, fosse il “Caso” il vero regista delle nostre vite? Ah saperlo…
Quell’”editto bulgaro” passò sotto silenzio nel sistema dell’informazione. Merce rara, si sa, la solidarietà tra colleghi che invocano la libertà di stampa ormai ridotto a slogan come la pubblicità dei kleenex usa e getta. Macché. Tant’è che tra i primi a trascinarti in tribunale sono stati proprio i giornalisti.
Chi altri se no? direttori liberal “alla vaccinara” ed ex pistaioli di nera riciclati su territori divulgativi da loro mai esplorati. Anche loro, ovviamente bussando a soldi, come gli usurai per farti fallire. A volte meritevoli di una controquerela, accompagnata dal suggerimento, non prendetevi troppo sul serio.
Arbore, Barbara Boncompagni e la redazione di Dagospia
Sergio Saviane, articolista di razza, critico tv e inventore dei “mezzibusti” di cui si è perso il conto delle querele per diffamazione ricevute si doleva che i suoi colleghi “permalosi” invece di trascinarlo nei tribunali “non lo avessero ripagato con altrettanto sarcasmo o con una battuta fulminante” senza dargli in privato dell’”ubriacone”.
Ma non ti sei arreso neanche di fronte agli assalti di politici e imprenditori che si sentivano protetti dai giornaloni di cui erano azionisti. Intestandoti, a tua insaputa, il motto vergato a metà dell’Ottocento dal critico inglese William Hazlitt: “Ci stanchiamo di tutto fuorché di ridicolizzare gli altri nè di felicitare noi stessi per i loro difetti”
Certo, qualcuno tra gli “amici”, per dirla con Carlo Emilio Gadda sul filosofo Heidegger, sentenziò che ti eri annodato da te stesso la corda per impiccarti. Come a dire? Le porte delle redazioni si sarebbero chiuse definitivamente alle spalle nonostante lo “stile dago” delle cronache di costume pubblicate su “il Messaggero” fossero lodate nelle redazioni.
Con quel dissacrante e delizioso “carrello dei bolliti” apparecchiato la domenica sulle pagine del giornale romano. Musica nuova nella cucina di via del Tritone, quasi volessi rovesciare la grigia costruzione dei “pezzi” tradizionali.
Finalmente libero da padroni e padrini, hai potuto raggiungere il Nirvana digitale con la titolazione, beffarda, irridente a volte sfacciata al limite della trash, per dare una visibilità ai tuoi articoli. Alla faccia dei limiti angusti (e spesso ridicoli) del maledetto politicamente corretto. Mettendo fine alla “Lourdes linguistica in cui il male e la sventura svaniscono con un tuffo nelle acque dell’eufemismo” (Robert Hughes, “La cultura del piagnisteo”).
Addio, dunque, al “politichese”, alla retorica del Palazzo volutamente incomprensibile ma ancora di moda negli ex giornaloni dei “poteri marciti”. Già, “il titolo è tutto”, anche se i media tradizionali (e paludati) sembrano ignorare una delle regole principe del giornalismo. Della serie romanesca “parla come magni”. Toh, chi si rivede allora? Dago nei panni degli “strilloni” d’antan che vendevano nelle strade la loro merce con le loro edizioni straordinarie.
dago quelli della notte da chi
Uno stile, e un linguaggio ricco di variazioni verbali, spesso ruvido in cui, a giudizio dell’aforista Karl Kraus, “forma e contenuto stanno insieme come anima e corpo”. La storia di questo sito Santo e Dannato è scritta anche sui tatuaggi incisi sulla tua pelle.
E le tracce di questo contrasto interiore narrativo, con l’arguzia e lo stupore talentuoso di chi vede i fatti altrui con occhi spesso vergini, a volte anticipandoli - come nella tv di Arbore sull’edonismo reaganiano o sull’insostenibile leggerezza di Milan Kundera che festeggia i 50 anni -, è già in luce negli otto libri dati alle stampe con un certo successo.
Dago by Cristina Ghergo - pic 2010
Tomi anch’essi dissacratori nell’era del conformismo dilagante nelle patrie lettere. All’Adelphi del sommo Roberto Calasso toccare Kundera era più pericoloso che sfiorare il culo della moglie del boss mafioso Riina. Poi l’editore abbozzò perché in tv gli facevi vendere il libro di un autore sconosciuto alla massa. Tutto ciò ben prima di aver commesso il reato di scrivere senza censure per essere collocato tra gli iconoclasti da bandire.
Ma torniamo a Mr. Apple, ridotto a vendere il suo pulmino Volkswagen per finanziare quella impresa, mentre tu non hai dovuto rinunciare allo scassato “Maggiolone” al momento di accendere il motore del tuo sito. Anche se conservo alcune foto, scattate in vacanza a Sabaudia, dove armeggiavi con un primitivo “note book” e con la linea telefonica più zoppicante dei conti in rosso dell’allora Telecom.
roberto d'agostino dago federico zeri sbucciando piselli
Lì sulle dune sbocciò l’idea di “Cafonal” con il contributo iconografico dei fotografi “da marciapiede” Mario e Umberto Pizzi. Tanto per fare il verso a “Capital” e sfottere il caro amico Pietro Calabrese, appena chiamato a dirigere il magazine chic della Rizzoli.
E tra un “cazzeggio” e l’altro, sul finire del 2005, è la morte di Enrico Cuccia a ispirare quel “Diario impossibile”, benedetto dal Gattosardo Cossiga, che segna un nuovo punto di svolta nella storia di Dagospia. Un faro inesorabile acceso sul campo minato della finanza con i suoi capitani di sventura nel mondo dell’economia.
Allora, benedetto “cazzeggio” dei romani abbracciato dal sublime Alberto Arbasino nel suo “Fratelli d’Italia”, con la chiacchiera da caffè o nei salotti che degradano ben presto, appunto, in maldicenze sprezzanti che aveva avuto illustri predecessori già nella Roma di Petronio (Satyricon), Macrobio (Saturnale) e di Ennio Flaiano. Dai matinée di Arbasino ai mattinali di D’Agostino…: “ciàcole full time” con l’interrogativo del sublime Alberto: “Tacere bisognava? O andare avanti”? Non arretrasti.
Da quel maledetto giorno, una marea di notizie inaspettatamente autoalimentata dai dagonauti e dalle stesse vittime del tuo sito, lentamente e nel silenzio degli altri media tradizionali, hai iniziato ad arrampicarti - a mani nude -, sulla piramide mediatica che guidava il gregge dei giornalisti “old press” e online con il divieto di non citare mai Dagospia. E non fu la sola censura. Il sito fu classificato pornografico e oscurato per qualche tetta al vento che aveva fatto la fortuna dei magazine italiani. Capita la (a)morale?
Un avvio da brividi in quel maggio del 2000 con il Conclave di Papa Woytila, i timori del Millenium Bug, l’esordio in tv del “Grande Fratello” e di Dagospia on line… Non potevamo aspettarci che il peggio. Racimolasti una media di 12.000 visite quotidiane, prima di scalare la classifica dei 50 siti di informazione più consultati in Italia. Non solo numeri in milioni di visitatori, per il “New York Time” Dagospia è “la testata più affidabile del gossip italiano”
“Et voilà”, osservava il venerato maestro, Edmondo Berselli: “Il sito si trasforma in un network dove nel gioco duro finiscono manager, banchieri, direttori di giornali. Sbocciano i poteri marci. D’incanto tutti i protagonisti “della nostra società contemporanea esistono in quanto figurine di Dagospia. Un gioco di prestigio…”.
EDMONDO BERSELLI - VENERATI MAESTRI
“Roberto è il Saint-Simon cubista dell’era telematica, Saint-Simon il memorialista, il grande irriverente – che ci tramanda in una scrittura ironica e feroce i fatti della corte del Re Sole, con tre punti di racconto – pettegolezzi, potere, finanza – la triade nella quale D’Agostino svela il tempo nostro – raccontare è creare”, azzarda paragoni l’amabile viperetta, la scrittrice Barbara Alberti.
Oibò, Saint-Simon e non i fratelli Edmond e Jules de Goncourt dei “Journal”? se l’adulazione è anche il movente ultimo della nostra vanità. E la ragione va cercata in quanti, dando ascolto a Roberto Calasso, cercano di dare un ordine ai propri libri negli scaffali di casa. “Impresa delicata, piena di sorprese, e di scoperte, priva di soluzione”, ricorda uno dei fondatori dell’Adelphi.
DAGOSPIA LETTURA OBBLIGATA - DA IL GIORNALE
Capita così che nella mia libreria, un volume giudicato molesto (e indigesto), “Sbucciando piselli” di Roberto D’Agostino e Federico Zeri, faccia compagnia proprio al monumentale “Journal” dove l’arte del pettegolezzo fotografa impietosamente lo zoo umano e letterario della Francia della seconda metà dell’Ottocento. E senza risparmiare nessuno dei mostri sacri: Zola, Loti, Dumas, Verlaine, Rimbaud, Clemenceau, Renan “un retore del menefottismo”, Daudet che per sopportare il fastidio della diarrea si fa suonare dalla moglie Chopin.
Una radiografia crudele della nostra società la incontriamo anche nel “libro di chiacchiere” di D’Agostino e Zeri, nonostante la copertina non rispecchi il valore dell’operetta morale messa in scena dai due improbabili conversatori. Anche loro non fanno sconti agli “attori” e alle “comparse” chiamati a recitare in quel rito sociale alto e basso del pettegolezzo.
Tra Massacro e Profano, senza ogni conformismo. Basta leggere l’indice dei nomi per fare conoscenza con l’anagrafe di un mondo e di una società seppellite nel ridicolo dagli ineffabili autori. Forse non è casuale, allora, che un “libro molesto” stavolta si trovi affiancato a un classico della letteratura francese.
Già, sognavi California… “e un giorno io verrò”, cantavano i Dik Dik. Una fantasia nella testa di uno nato nel luglio 1948 in via dei Volsci al quartiere romano di San Lorenzo, figlio di un saldatore della Breda e di una bustaia. Il “rione rosso” con la sua popolazione, soprattutto operaia, che faticava a rialzarsi dal bombardamento degli alleati nel luglio 1943. Una azione di guerra che provocò la devastazione delle case e la morte di tremila persone e undicimila feriti. E a farsi largo tra le macerie arrivò con un gesto eccezionale per i tempi, Pio XII.
LA REDAZIONE DI DAGOSPIA - DAGO - ANNA FEDERICI E ROCCO D'AGOSTINO A LONDRA
Ahimè, quanto era lontana la futura Silicon Valley di Zuckerberg a Steve Jobs dalla “tua” San Lorenzo. La culla degli hippies, dei freaks, un movimento ante Sessantotto che per lo storico britannico Arthur Marwickn sarebbe stato ispirato anche dal film “I Vitelloni” di Federico Fellini. Non avevamo dubbi, secondo confessione, che avessi abbracciato la filosofia della Beat Generation con i suoi risvolti esoterici per metterti fuori (gioco) la routine dell’impiego bancario onorato per riempire il frigo di famiglia.
E quelle palme fosforescenti alla “Las Vegas de’ noantri” installate sulla terrazza della tua nuova casa museo che si spalanca 360 gradi su Roma, sono la testimonianza che il sogno si è avverato. Quel viaggio da San Lorenzo a San Francisco, sempre di beati si tratta, ai tempi dei “Ragazzi di vita” di Pasolini era un miraggio: «Da San Lorenzo al Verano c’era tutta una festa, una caciara, un cori cori» per prendere la Circolare Rossa «piena come scatole di acciughe».
ROBERTO DAGOSTINO CON LA MOGLIE ANNA FEDERICI E IL FIGLIO ROCCO
Ma a ricordarci anche quei tempi andati per sempre non c’è un graffito alla maniera Wild Style anni Sessanta, ma il quadruccio appeso sopra la cassa della trattoria “Pommidoro” con l’assegno di 11 mila lire lasciato da Pasolini prima di andare incontro alla morte all’Idroscalo di Ostia.
coca cola omaggia dagospia
i 20 anni di dagospia su chi
Gossip. Dalla Mesopotamia a Dagospia
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STRISCIA LA NOTIZIA CELEBRA I 25 ANNI DI DAGOSPIA - 2
Marco Trani Roberto Dagostino e Corrado Rizza
il new york times incorona dagospia servizio la vita in diretta
DAGOSPIA E POLITICO - DA IL MESSAGGERO
dago intercettato corriere della sera
Freccero Dagostino e Giusti
roberto d agostino e anna federici foto di massimo sestini
ANNA FEDERICI E ROBERTO DAGOSTINO - PRIMA DELLA SCALA 2025






