generali leonardo del vecchio alberto nagel philippe donnet francesco gaetano caltagirone

"GENERALI" O CAPORALI? - DE BORTOLI: "DEL VECCHIO E CALTAGIRONE HANNO IN TESTA LO STESSO DISEGNO PER GENERALI O SONO TATTICAMENTE UNITI SOLO DALL'AVVERSIONE AL MANAGEMENT DI MEDIOBANCA E DI TRIESTE? LE AZIONI SI CONTANO MA IN TUTTA LA VICENDA SEMBRANO PREVALERE I CARATTERI. GLI UMORI E I RISENTIMENTI. UNA DISFIDA TRA AZIONISTI CHE ARRIVA FINO A UNA RECIPROCA DELEGITTIMAZIONE MORALE NON SAREBBE NEMMENO IMMAGINABILE IN FRANCIA PER AXA O IN GERMANIA PER ALLIANZ. GENERALI HA UN ATTIVO PATRIMONIALE CHE È UN TERZO DEL PRODOTTO INTERNO LORDO ITALIANO…"

Ferruccio De Bortoli per "l'Economia - Corriere della Sera"

 

FERRUCCIO DE BORTOLI

Tutto sommato è un derby italiano. E ne dovremmo essere fieri. Ma, nello stesso tempo, meglio preoccuparsi. Il futuro di Generali, una delle poche, vere e ultime multinazionali del nostro Paese, è legato alla contesa aperta tra due schieramenti nazionali. Evviva. Se si confrontano sul mercato, con le regole di mercato, una Commissione per la Borsa (la Consob) che il mercato controlla (in questo caso molto poco) e un'autorità come l'Ivass che fa il suo mestiere, ne siamo tutti lieti. Eppure non è così semplice.

vincent bollore

 

Nonostante parlino tutti la stessa lingua. Una volta tanto non siamo preda. E non c'è nemmeno l'alleato straniero, spesso infido, chiamato a sostenere una delle parti di tante e infinite faide, non solo finanziarie, della Penisola. Non c'è, per esempio, un Vincent Bolloré, uno degli innumerevoli cavalieri stranieri attratti dalle ricorrenti divisioni dei soci storici della banca d'affari milanese.

enrico cuccia x

 

Un tycoon che in Francia incoraggia la candidatura di Eric Zemmour ed esprime una cultura personale e politica assai lontana da quella di Enrico Cuccia o Adolfo Tino. Né una figura che si avvicini tanto per fare un esempio - all'imprenditore rampante ceco Petr Kellner, morto tragicamente lo scorso anno, che arrivò ad avere il 2% del Leone ma consentì a quest' ultimo di rafforzarsi nel suo novecentesco mercato con base a Praga. Franz Kafka, ricordiamo, fu un dipendente di Generali. Kellner non fu l'unico azionista interessato più al patrimonio immobiliare che allo sviluppo del gruppo finanziario e assicurativo.

 

Più alle operazioni con parti correlate che allo sviluppo complessivo. Non c'è una Lazard con il suo stizzoso patriarca, Antoine Bernheim, per due volte su indicazione di Mediobanca, e anche in età pericolosamente avanzata, presidente del Leone di Trieste senza peritarsi nemmeno per sbaglio di pronunciare una parola italiana.

 

francesco gaetano caltagirone

Ci sono in invece due imprenditori italiani di grande successo, due self made man autentici, Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone, alleati alla fondazione Crt, che vorrebbero farla finita con l'autoreferenzialità ovattata dell'asse tra Mediobanca e Generali. Se lo possono permettere. Del resto non fu proprio Cuccia a dire che negli affari conta l'articolo quinto, ovvero chi ha i soldi ha vinto?

 

Leonardo Del Vecchio

Certo, sono due anziani e risoluti padroni che, mentre si discute su come separare, specialmente in Italia, gli azionisti dai manager ed uscire dalla trappola della eccessiva identificazione tra proprietà e dirigenza, sono più inclini - pur nella grande differenza tra i due profili imprenditoriali - a una visione cesarista della gestione aziendale. Diretta, schietta. Ingombrante anche se non raramente coraggiosa e visionaria. Giurano di non farne una questione di potere.

 

Ma la domanda di fondo è una sola: hanno in testa lo stesso disegno o sono tatticamente uniti solo dall'avversione al management di Milano e di Trieste? Il patto dei dissidenti controlla ufficialmente il 16,5 per cento. Ma probabilmente la quota degli ultimi giorni è ulteriormente cresciuta grazie alla libertà di movimento ottenuta con le dimissioni dal consiglio d'amministrazione. Dall'altra parte, la Mediobanca - presieduta da Renato Pagliaro e guidata da Alberto Nagel - è espressione di una tradizione prestigiosa di competenza e indipendenza professionale.

vincenzo maranghi

 

Una volta era l'unica vera banca d'affari del Paese. Tutto passava da lì. Un'istituzione nella quale gli azionisti hanno sempre avuto meno potere dei manager. La Mediobanca di Cuccia e di Vincenzo Maranghi, per usare un'espressione anglosassone ,«teneva per le palle» i propri azionisti, ai quali assicurava non solo il credito ma anche il controllo, spesso minoritario, dei gruppi che a volte si illudevano di possedere.

 

Quella Mediobanca, tanto per intenderci, non aveva bisogno di ricorrere a un costoso prestito di titoli delle Generali (4,2 per cento che scade dopo l'assemblea) per sostenere la propria posizione (controlla ora il 17,2 per cento) e contrastare l'ascesa di due suoi azionisti. Uno in particolare, come Del Vecchio, in maggioranza relativa in piazzetta Cuccia (19,9 per cento).

 

ALBERTO NAGEL

Gli faceva pagare il prezzo di ammissione al salotto buono in altro modo. Salato ma differente. E la cessione di Banca Generali a Mediobanca sarebbe passata in silenzio anziché infrangersi (giustamente) in distinguo e opposizioni.

 

Ma quella Mediobanca non c'è più. Anche se non tutti sembrano esserne consapevoli. Le azioni si contano - e una volta si pesavano pure - ma in tutta la vicenda sembrano prevalere, e questo è stupefacente, i caratteri. Gli umori e i risentimenti.

 

Renato Pagliaro

Del Vecchio non prese bene il no di piazzetta Cuccia alla sua donazione di 500 milioni all'Istituto europeo di oncologia (Ieo) fondato da Umberto Veronesi con il sostegno filantropico di Cuccia e Maranghi. Che la grande disfida della finanza italiana sia stata innescata da un malinteso gesto di solidarietà aggiunge un qualcosa di melodrammatico, persino romantico, all'intera storia. Ma De Amicis non c'entra.

 

A leggere la lettera con la quale Caltagirone si è dimesso dal consiglio e - dopo 12 anni - dalla vicepresidenza di Generali, sembra che gli amministratori non abbiano mai avuto l'occasione di confrontarsi lealmente ma solo di sospettarsi a vicenda. In tutti questi anni! E che il consiglio sia stato sempre eterodiretto da Milano nonostante la navigata presidenza di Gabriele Galateri. La parte avversa accusa Caltagirone e Del Vecchio di aver sistematicamente ostacolato i lavori del consiglio.

 

PHILIPPE DONNET

Loro rispondono confrontando la crescita del Leone con quella dei rivali europei in particolare Axa, Zurich (diretta da Mario Greco estromesso a suo tempo da Trieste) e Allianz (dove c'è Sergio Balbinot, ex amministratore delegato). Non c'è confronto, nonostante i buoni risultati della gestione di Philip Donnet che, detto per inciso, parla un ottimo italiano e ha preso persino la cittadinanza tricolore. Tutto ciò, visto con gli occhi di un osservatore straniero (e di interessati ve ne sono molti) getta una luce sinistra sull'intera classe dirigente italiana.

 

Donnet Caltagirone Del Vecchio

La governance, non solo di Generali e Mediobanca, è fondamentale per attrarre investitori seri, non raider. Oltre che dimostrare il grado di serietà di un Paese. Ed è questo l'aspetto che sfugge nel commentare l'appassionante, ma forse inutile se non dannoso, derby italiano della finanza. Una disfida tra azionisti che arriva fino a una reciproca delegittimazione morale non sarebbe nemmeno immaginabile in Francia per Axa o in Germania per Allianz. Generali ha un attivo patrimoniale che è un terzo del prodotto interno lordo italiano. Un gigante dell'asset management.

gabriele galateri di genola philippe donnet

 

Se il risparmio è l'ultima ricchezza degli italiani è del tutto incomprensibile che non si studino aggregazioni e sinergie per gestirlo al meglio. Almeno quello che resta. Pioneer fu ceduta da Unicredit, gestione Jean Pierre Mustier (anche lui non pronunciò mai una sola parola in italiano) per ridurre il peso dei non performing loans. Lo scontro di mercato è appassionante. In aprile uno degli schieramenti vincerà. Ma per quanto? E con quali conseguenze sugli assetti di Mediobanca, sulle probabili code giudiziarie, sulla stabilità e sulla qualità del management?

louise tingstrom jean pierre mustier

 

Prima o poi, rischi di concerto a parte, ci si dovrà sedere intorno a un tavolo. I contendenti parlano la stessa lingua. Non aspettino di sentirselo dire, in un altro idioma, da chi ha più potere. Cuccia teneva molto alla sua creatura, alla banca che aveva fondato nell'immediato Dopoguerra. «Ma quello che l'Italia non può permettersi - diceva a un meno convinto Maranghi - è di perdere le Generali».

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni francesco acquaroli antonio tajani matteo salvini donald trump

DAGOREPORT: A CHE PUNTO È L'ARMATA BRANCA-MELONI? TORNATA SCORNATA DAL G7 MENO UNO (TRUMP SE NE FOTTE DI LEI E DELL'EUROPA), I PROBLEMI REALI BUSSANO ALLA PORTA DI PALAZZO CHIGI. A PARTIRE DALL'ECONOMIA: LA GUERRA IN MEDIORIENTE POTREBBE FAR SCHIZZARE IL PREZZO DEL PETROLIO, E CONSEGUENTE AUMENTO DI OGNI PRODOTTO - AGGIUNGERE LA LOTTA CONTINUA CON SALVINI, LA PIEGA AMARA DEI SONDAGGI NEI CONFRONTI DEL GOVERNO E LA POSSIBILE SCONFITTA NELLE MARCHE DEL SUO FEDELISSIMO ACQUAROLI: IL PD CON MATTEO RICCI E' IN VANTAGGIO DI 5 PUNTI E LA STATISTA DELLA GARBATELLA È TENTATA DI ANTICIPARE IL VOTO NELLE MARCHE A SETTEMBRE – SULLE ALTRE QUATTRO REGIONI, LA FIAMMA E' INDECISA SUL TERZO MANDATO CHE FAREBBE FELICE ZAIA IN VENETO, DESTABILIZZANDO IL PD IN CAMPANIA. MA IERI, PRESSATO DA VANNACCI, SALVINI HA PRESO A PRETESTO IL "NO" DI TAJANI, PER SFANCULARE VELOCEMENTE (E SENZA VASELINA) I SUOI GOVERNATORI, ZAIA E FEDRIGA - IL ''NO'' DI TAJANI ERA TRATTABILE: L'OBIETTIVO E' LA FUTURA PRESIDENZA DELLA REGIONE LOMBARDIA (IL CANDIDATO ''COPERTO'' DI FORZA ITALIA È..)

tommaso inzaghi

DAGOREPORT - IL TRASFERIMENTO DI SIMONE INZAGHI IN ARABIA? UN AFFARE DI FAMIGLIA. L’ARTEFICE DELL’OPERAZIONE CHE HA PORTATO L’EX ALLENATORE DELL’INTER ALLA CORTE DELL’AL-HILAL È STATO TOMMASO INZAGHI, IL FIGLIO DI SIMONE E DI ALESSIA MARCUZZI, PROCURATORE CHE FA PARTE DELL'AGENZIA DI FEDERICO PASTORELLO, LA P&P SPORT MANAGEMENT – LE LAUTE COMMISSIONI, LA TRATTATIVA CHE ANDAVA AVANTI DA TEMPO (GIÀ PRIMA DEL RITORNO CON IL BARCELLONA SIMONE INZAGHI AVEVA PROPOSTE DALL’ARABIA), LO STRANO MESSAGGIO SOCIAL DI TOMMASO INZAGHI E LE VOCI SU UNO SPOGLIATOIO IN TENSIONE PRIMA DELLA FINALE DI CHAMPIONS PER...

francesco gaetano caltagirone alberto nagel francesco milleri

DAGOREPORT - GONG! ALLE ORE 10 DI LUNEDÌ 16 GIUGNO SI APRE L’ASSEMBLEA DI MEDIOBANCA; ALL’ORA DI PRANZO SAPREMO L’ESITO DELLA GUERRA DICHIARATA DAL GOVERNO MELONI PER ESPUGNARE IL POTERE ECONOMICO-FINANZIARIO DI MILANO - LO SCONTRO SI DECIDERÀ SUL FILO DI UNO ZERO VIRGOLA - I SUDORI FREDDI DI CALTARICCONE DI FINIRE CON IL CULO A TERRA NON TROVANDO PIÙ A SOSTENERLO LA SEDIA DI MILLERI SAREBBERO FINITI – L’ATTIVISMO GIORGETTI, DALL’ALTO DELL’11% CHE IL MEF POSSIEDE DI MPS – L’INDAGINE DELLA PROCURA DI MILANO SU UNA PRESUNTA CONVERGENZA DI INTERESSI TRA MILLERI E CALTAGIRONE, SOCI DI MEDIOBANCA, MPS E DI GENERALI - ALTRO GIALLO SUL PACCHETTO DI AZIONI MEDIOBANCA (2%?) CHE AVREBBE IN TASCA UNICREDIT: NEL CASO CHE SIA VERO, ORCEL FARÀ FELICE LA MILANO DI MEDIOBANCA O LA ROMA DI CALTA-MELONI? AH, SAPERLO….

iran israele attacco netanyahu trump khamenei

DAGOREPORT - STANOTTE L'IRAN ATTACCHERÀ ISRAELE: RISCHIO DI GUERRA TOTALE - È ATTESO UN VIOLENTISSIMO ATTACCO MISSILISTICO CON DRONI, RISPOSTA DI TEHERAN ALL'"OPERAZIONE LEONE NASCENTE" DI NETANYAHU, CHE QUESTA MATTINA HA COLPITO IL PRINCIPALE IMPIANTO DI ARRICCHIMENTO IRANIANO, UCCIDENDO L'INTERO COMANDO DELL'ESERCITO E DELLE GUARDIE RIVOLUZIONARIE. LA MAGGIOR PARTE DI LORO È STATA FATTA FUORI NELLE PROPRIE CASE GRAZIE AI DRONI DECOLLATI DALLE QUATTRO BASI SOTTO COPERTURA DEL MOSSAD A TEHERAN - ISRAELE HA DICHIARATO LO STATO DI EMERGENZA: GLI OSPEDALI SPOSTANO LE OPERAZIONI IN STRUTTURE SOTTERRANEE FORTIFICATE - TRUMP HA AVVERTITO OGGI L'IRAN DI ACCETTARE UN ACCORDO SUL NUCLEARE "PRIMA CHE NON RIMANGA NULLA", SUGGERENDO CHE I PROSSIMI ATTACCHI DI ISRAELE CONTRO IL PAESE POTREBBERO ESSERE "ANCORA PIÙ BRUTALI" - VIDEO

lauren sanchez jeff bezos venezia

FLASH! – I VENEZIANI HANNO LA DIGA DEL MOSE PURE NEL CERVELLO? IL MATRIMONIO DI JEFF BEZOS È UNA FESTICCIOLA PER 250 INVITATI DISTRIBUITI TRA QUATTRO HOTEL: GRITTI, AMAN, CIPRIANI E DANIELI - NIENTE CHE LA SERENISSIMA NON POSSA SERENAMENTE SOSTENERE, E NULLA A CHE VEDERE CON LE NOZZE MONSTRE DELL'INDIANO AMBANI, CHE BLOCCARONO MEZZA ITALIA SOLO PER IL PRE-TOUR MATRIMONIALE – DITE AI MANIFESTANTI IN CORTEO "VENEZIA NON E' IN VENDITA" CHE I 10 MILIONI DI EURO SPESI DA MR.AMAZON SI RIVERSERANNO A CASCATA SU RISTORATORI, COMMERCIANTI, ALBERGATORI, GONDOLIERI E PUSHER DELLA CITTÀ…