MORIRE IN ITALY - ORA COMINCIAMO A RENDERCENE DAVVERO CONTO: I PAESI NEI QUALI ESPORTIAMO I NOSTRI PRODOTTI NON SI FIDANO PIÙ DELL’ITALIA E VOGLIONO GARANZIE IN PIÙ - CHI CREDE ANCORA NELL’ITALIA È UNO SPERICOLATO SPECULATORE O UN IRRIDUCIBILE OTTIMISTA - LE IMPRESE SEMPRE PIÙ IN AFFANNO: OTTENERE UN PRESTITO DIVENTA DAVVERO DIFFICILE - LA COLPA DI TUTTO È SEMPRE LA SUA, KILLER SPREAD…

Tonia Mastrobuoni per "La Stampa"

Per lei lo spread non è un numero astratto. Sono i suoi amici imprenditori che si suicidano, è il livello di sfiducia nei confronti dell'Italia che all'estero, dice, veleggia verso vette stellari, è il grado di soffocamento delle aziende con cui lavora ogni giorno. Un po' di tempo fa ha cominciato a tenere un blog pieno di aneddoti esilaranti ma dal retrogusto amaro e ha esordito su twitter con un nome che è tutto un programma: l'Avvelenata. E tra gli ultimi post di questa magnifica sceneggiatura vicentina dell'interminabile crisi da subprime, c'è una telefonata che fa venire i brividi. Federica Piran fa da mediatrice alle aziende che vogliono internazionalizzarsi, è una export manager, in gergo, ma che lavora in proprio.

Un cliente da Tel Aviv l'ha chiamata a fine luglio e le ha detto, per la prima volta in tanti anni, che ha bisogno di una garanzia in più. Lei è caduta quasi dalla sedia e ha toccato con mano cosa significa essere ormai sulla black list, sulla lista nera dei paesi a rischio. Chi crede ancora nell'Italia è uno spericolato speculatore o un irriducibile ottimista. Così, per la consegna del materiale a settembre, il cliente israeliano, scusandosi mille volte e dando la colpa alla banca, le ha chiesto un «advance payment bond», un'onerosa garanzia, «nel caso la situazione precipiti nel vostro paese», le ha sussurrato imbarazzato al telefono.

Ma a trattarci ormai con diffidenza sono anche i paesi verso i quali, stando almeno ai rapporti della Sace o dell'Ice, degli istituti che si occupano delle imprese proiettate verso l'estero, stiamo puntando e dovremo puntare sempre di più. L'Ice ci mette all'ottavo posto nel mondo tra i paesi esportatori, insomma siamo ancora campioni.

Ma negli ultimi dieci anni la cavalcata dei paesi emergenti ci ha rosicchiato un punto intero di quota di commercio mondiale, siamo passati dal 3,9 al 2,9%, tra il 2001 e il 2011. Soprattutto, la crisi dell'euro rischia di compromettere il nostro rapporto con Cina, Turchia, Russia, Brasile o India, cioè quegli Stati fuori dall'area della moneta unica «destinati a giocare un ruolo preminente negli anni a venire», come recita il rapporto annuale della Sace.

Federica Piran lavora molto con questi paesi ma di recente, per chiudere un contratto a nome di un pugno di aziende venete per 516 appartamenti da consegnare all'India, ci ha messo quasi due mesi di serrate trattative. «Sta diventando più faticoso», sospira al telefono, cioè via via che l'affidabilità dell'Italia precipita con l'ingarbugliarsi della crisi dell'euro. Anche questi aneddoti dovrebbero allarmarci, visto che è sempre la Sace a suggerirci che i settori sui quali bisogna puntare per reggere il confronto con le tigri e i leoni della giungla globalizzata sono proprio «la meccanica strumentale e la metallurgia», a sostegno «dello sviluppo industriale e infrastrutturale dei paesi emergenti», come recita il rapporto annuale 2011.

Quale occasione migliore di 516 appartamenti da 600 mq l'uno, espressione del migliore Made in Italy? Tanto più in un momento in cui l'euro sta scendendo precipitosamente: a luglio del 2008 toccò 1,58 contro il dollaro, un anno fa valeva ancora 1,42, oggi è a 1,22 sul biglietto verde. Un livello che dovrebbe mettere le ali al nostro export. Non fosse che dietro le cifre della bilancia commerciale si nascondono contratti e rapporti che stanno diventando difficili come quelle registrate tutti i giorni dall'Avvelenata.

Lo spread è ormai il punto di riferimento delle banche per concedere prestiti alle imprese, e non più i tassi della Bce ormai ai minimi, allo 0,75%. Quindi quelle tedesche pagano 4 o 5 punti in meno rispetto a quelle italiane. Riassume un imprenditore veneto citato dal blog di Piran: «Ghe ze poco da capire qua semo drio distruggere tuto par colpa dea Germania e par salvare che i quatro ebeti dei greci». Lei conferma quello che dicono tutti i rapporti ufficiali: «Le aziende venete non riescono più ad avere prestiti. E in ogni caso, costano».

Ma per Piran, per il resto, dai tedeschi c'è tutto da imparare. «Fanno sistema, si muovono in comitiva, quando vanno all'estero. Altro che noi». E a prescindere dalla crisi. «Sarebbe fondamentale che lo facessimo anche noi, soprattutto adesso che siamo percepiti come l'anello debole», chiosa. A giugno è andata con alcune imprese alla Pcbc di San Francisco, una delle maggiori fiere dell'edilizia residenziale al mondo. «I tedeschi avevano prenotato un aereo, un albergo, un padiglione intero. Gli italiani? Ognuno per conto proprio».

Uno spunto anche per le nostre Camere di commercio, suggerisce con una punta di veleno. Quanto alle voci su un imminente sbarco delle aziende tedesche da noi, con i loro soldi facili, Piran si fa una grande risata. «Sono qui da un pezzo! Sa cos'è? Loro sono tecnici formidabili, ma gli manca il gusto, non hanno la cultura del bello. Quindi vengono qui e comprano le aziende o le fanno lavorare solo per loro e poi rivendono i prodotti in Russia o altrove. Il prodotto è italiano ma l'etichetta tedesca».

 

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