
A OGNI SANZIONE CORRISPONDE UNA REAZIONE – VLADIMIR PUTIN È PRONTO A CONFISCARE I CONTI E I BENI DELLE AZIENDE EUROPEE ATTIVE IN RUSSIA, QUALORA L’UE USASSE GLI ASSET DI MOSCA CONGELATI PER FINANZIARE L’UCRAINA – SAREBBE COLPITO ANCHE UN BEL GRUPPETTO DI IMPRESE ITALIANE: I CONTI BANCARI ESPOSTI AL SEQUESTRO IN RUSSIA CUSTODISCONO ALMENO L’EQUIVALENTE DI OLTRE MEZZO MILIARDO DI EURO (NEGLI ANNI DI GUERRA, LA CINQUANTINA DI CUI SI HA TRACCIA, HA AUMENTATO IL FATTURATO DEL 37%)
Estratto dell’articolo di Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
Mosca non ha reagito la settimana scorsa, dopo che il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha messo la sua firma su una decisione che sta prendendo forma in Europa: usare le riserve congelate della Russia per finanziare l’Ucraina, dapprima mobilitando 170 miliardi di euro e alla lunga ben oltre duecento. Domani stesso ne parleranno i ministri delle Finanze del G7 in videoconferenza.
Ma quel silenzio di Mosca è ingannevole, perché il Cremlino risponderà. Prenderà di mira e confischerà i conti e probabilmente anche i beni fisici delle aziende attive in Russia dei Paesi che dovessero partecipare all’intervento sulle riserve […] se questa decisione verrà confermata.
PUTIN E I RUBLINETTI - BY EMILIANO CARLI
[…] Esiste al Cremlino la bozza di un decreto presidenziale che prevede la nazionalizzazione delle attività di aziende di Paesi considerati «non amichevoli». La novità sarebbe solo nella scala — macroeconomica — sulla quale tutto ciò potrebbe avvenire. Perché dal 2022 il potere russo ha già requisito per motivi politici 103 proprietà.
È solo il prologo di ciò che può accadere, se e quando l’uso per l’Ucraina delle riserve congelate russe diventerà esecutivo fra marzo e aprile prossimi. Secondo una stima negli ambienti di affari legati a Mosca, il valore dei beni fisici delle società occidentali in Russia sia oggi attorno ai 150 miliardi di dollari; a questi si aggiungono conti bancari di imprese di Paesi «non amichevoli» per altri 150 miliardi di dollari circa. Per quanto riguarda le imprese italiane, i conti bancari esposti al sequestro in Russia custodiscono almeno l’equivalente di oltre mezzo miliardo di euro.
Circa 17 mila imprese di Europa, Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia e Corea del Sud hanno lasciato il Paese dal 2022. Ma alcune sono rimaste. Solo i primi otto gruppi di Paesi «non amichevoli» — secondo i dati dell’agenzia fiscale di Mosca diffusi da Interfax Spark — hanno fatturato in Russia l’equivalente di circa venti miliardi di euro all’ultimo anno dichiarato.
Il colosso del tabacco americano Philip Morris ha fatturato in Russia 4,5 miliardi di euro nel 2023. Pepsi 2,5 miliardi e il gruppo farmaceutico anglo-svedese AstraZeneca durante la guerra ha triplicato le vendite a un miliardo.
ursula von der leyen volodymyr zelensky
Le aziende italiane mostrano tendenze simili, su una scala più modesta. La cinquantina di cui è stato possibile ricostruire l’andamento nel Paese di Putin mostra un aumento del fatturato complessivo negli anni di guerra del 37%, a 2 miliardi di euro.
Nessuna delle imprese sopra citate viola le sanzioni, ma tutte ormai rischiano molto. I conti dove versano i loro utili sono di fatto congelati da anni e ora Putin è pronto alla confisca […]. Ma per l’Europa cedere alla minaccia della confisca e rinunciare all’uso delle riserve di Mosca a favore dell’Ucraina sarebbe comunque un errore.
Quei conti delle imprese occidentali in Russia resterebbero comunque congelati per sempre, o almeno fino alla sottomissione dei governi europei agli obiettivi di restaurazione imperiale del Cremlino.
Il costo allora sarebbe ben più alto di qualunque profitto accumulato in questi anni.