ZALESKI E IL DERBY INVISIBILE GHIZZONI-BAZOLI CHE RISCHIA DI ESPLODERE IN TRIBUNALE

1. DAGOREPORT: ZALESKI E IL DERBY INVISIBILE GHIZZONI-BAZOLI
Rischia di esplodere quel grande inciucio padano che risponde al nome di Tassara, dove gli incroci azionari tra banche creditrici e banche finanziatrici somigliano sempre più a un incaprettamento di gruppo. I fogli degli editori impuri seguono la faccenda con un certo imbarazzo e le due banche in lotta tra loro, Unicredit e Intesa, li adoperano per mandarsi messaggi.

Riassumiamo l'antefatto con la solita riprovevole semplificazione: il signor Zaleski, ingegnere minerario franco-polacco e grande compagno di bridge dell'ottimo Abramo Bazoli, è stato finanziato dalle maggiori banche del Nord per comprare pacchetti azionari strategici al mantenimento dello status quo nelle medesime banche. Essendo nel frattempo crollate le quotazioni azionarie delle sullodate banche del Nord, Zaleski si trova un po' "lungo" e i suoi debiti vanno rinegoziati.

Sui giornali non leggereste una riga se non fosse che in Unicredit, che è l'unica a non esser stata puntellata dal metodo Zaleski, si sono rotti le scatole di questo anziano signore che da anni fa il giocatore d'azzardo con i soldi degli altri e la benedizione della finanza cattolica bresciana.

2. TASSARA TAR-TASSATA - SE LE BANCHE NON "MOLLANO" LA PRESA, SI VA IN TRIBUNALE
Vittoria Puledda per "La Repubblica"

Ancora una manciata di giorni di tempo, per limare gli ultimi dettagli al piano. Poi le parti torneranno a vedersi: sul mercato tutti si aspettano che la settimana clou sarà la prima di settembre, anche se per il momento non risulta che la società, cui sta formalmente la mossa, abbia già chiesto alle banche creditrici un appuntamento. Che, nelle attese, sarà corale.

Di sicuro il conto alla rovescia per la Carlo Tassara stavolta è davvero cominciato. Del resto, le alternative sono abbastanza chiare: o si passa alla vendita forzata degli asset, in tutte le forme possibili (comprese le vie giudiziali), oppure si chiude in fretta un nuovo accordo di standstill, che consolidi il debito per altri due anni e nello stesso tempo porti ad approvare misure di "quasi equity", con la trasformazione di parte del debito bancario (sono circolate cifre intorno ai 750 milioni).

Mosse che permettano al gruppo di andare avanti, a partire dalla più semplice delle attività di una società: l'approvazione del bilancio 2012, ancora in sospeso. Ma per vedere il disco verde a questo punto servono una serie di condizioni: di buon senso da parte della società, che deve accettare di smobilitare le posizioni e liquidare il liquidabile, in una parola, deve accettare i doverosi passi indietro in termini di governance; ma anche di "volontà politica", da parte dei creditori.

Anche questo secondo aspetto è molto delicato: basti pensare che ai tempi d'oro solo Intesa Sanpaolo si è esposta per 1,2 miliardi verso Romain Zaleski, il quale in cambio di questa montagna di soldi ha messo insieme una serie di pacchetti pregiati, tra cui una quota che oggi ammonta all'1,73% della stessa Intesa; in più, controlla il 19% di Mittel e l'1,42% di Ubi, per restare alle banche vicine al mondo bresciano (e bazoliano).

Questo spiega perché ora sia difficile fare marcia indietro repentinamente (sebbene la banca presieduta da Giovanni Bazoli abbia messo ad incaglio 800 milioni), e aiuta a capire anche perché l'istituto non si è formalmente accodato alla dura lettera spedita intorno al 20 giugno da Unicredit, che ha ricevuto una risposta giudicata piuttosto negativamente da Piazza Cordusio.

Le richieste dei creditori sono soprattutto sulla governance (maggioranza dei consiglieri alle banche e potere di voto doppio al presidente, Pietro Modiano) ma riguardano anche la forte contrarietà all'idea, avanzata dalla Tassara, di conservare e non toccare un paio di aziende (Metalcam e Terzo Salto), il cosiddetto "portafoglio di continuità".

Comunque, a questo punto, senza l'ok delle banche manca il requisito della continuità aziendale. Una situazione di piena emergenza come emerge dai numeri: circa 2,3 miliardi di euro di debiti verso le banche, a fronte di garanzie reali iscritte a bilancio 2011 (l'ultimo approvato) per 1,33 miliardi.

Valori rappresentati da un giardinetto di partecipazioni italiane in società quotate, che ai prezzi attuali arriva a stento a 850 milioni; più due "gioiellini" esteri: il 36% di Alior bank e il 12,5% di Eramet (che si porta dietro la quota del 7% delle miniere di manganese del Gabon).

Ma sul gruppo francese è tuttora in corso un braccio di ferro legale con la famiglia che controlla il gruppo. Quella che si è rivelata la vera perla del gruppo, Alior bank (quotata a Varsavia) ha dato le soddisfazioni migliori: l'Ipo, realizzata a fine 2012, ha fatto incassare circa 600 milioni alla Tassara, che tuttora controlla il 36% dell'istituto. E quel pacchetto oggi ha un valore che sfiora i 500 milioni, grazie al forte apprezzamento del titolo in Borsa.

Vendere però non è banale: attualmente la famiglia Zaleski è il principale singolo socio della banca e trovare un compratore significa, tra l'altro, avere il via libera della banca centrale polacca e muoversi non destabilizzando il prezzo in Borsa.

 

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