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EN PLEIN CON PHILIPP PLEIN – L’UNIVERSITÀ DI GIURISPRUDENZA ABBANDONATA DOPO DUE ANNI, IL PASSATO DA INTERIOR DESIGNER E UN PRESENTE NELLA MODA: A 41 ANNI, L'IMPRENDITORE CELEBRA IL VENTENNALE DEL SUO MARCHIO - “I PRIMI VESTITI LI HO FATTI PER RIEMPIRE UN APPENDIABITI D'ACCIAIO CHE ESPONEVO. IL TESCHIO? VOLEVO QUALCOSA DI ROCK” - “OGGI È FINITA L'EPOCA DI ARMANI E VERSACE, OGGI LE GRIFFE SI SCAMBIANO I DESIGNER COME I CALCIATORI...”

Silvia Vacirca per “il Messaggero”

 

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La collezione Spring Summer 2019 di Philipp Plein è un omaggio a Michael Jackson ma, soprattutto, è la celebrazione del ventesimo anniversario del marchio di lusso creato da questo stilista che a ogni stagione spiazza i critici della moda. Philipp Plein non è un couturier e nemmeno un fashion designer.

 

Nato a Monaco di Baviera il 16 febbraio del 1978, durante l' intervista continua a ripetere una parola: «imprenditore». Lucido come l' acciaio, Philipp Plein spoglia la moda delle incrostazioni romantiche e delle nostalgie bucoliche, e piace.

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C' è qualcosa di liberatorio, di tenero persino, nella storia personale e nell' estetica di Philipp Plein. Un nuovo borghese che fa sette cose contemporaneamente, ride nella moda pare sia vietato tratta i vestiti e lo spazio come oggetti lunari, dà un calcio al gusto e allo stile di vita rarefatto della cosiddetta élite, abbraccia con gioia ciò che è ritenuto basso: esibizionismo, soldi, sesso, intrattenimento. La sintesi di tutto è il teschio cristallino che trovate sulle t-shirt e in boutique, in versione 3D.

 

Ha studiato moda da ragazzo?

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«Mi sono iscritto a Giurisprudenza per diventare avvocato. Due anni dopo ho lasciato l' università per dedicarmi alla mia impresa. Nel 1999 ho registrato il brand».

 

Com' è passato dall' avvocatura alla moda?

«I miei erano una giovane coppia, dopo tre anni hanno divorziato e mia madre ha dovuto lavorare, era una casalinga. Non è stato facile.

Poi si è risposata. Da giovane sei confuso, non sai che fare: medicina, legge... Ma i sognatori sognano e il mio sogno era di creare un brand. Da allora, non ho mai smesso di sognare».

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Quindi non si considera un fashion designer?

«Non ho mai coltivato l' idea di essere un designer per un brand di moda. Volevo essere un imprenditore di successo, guadagnare soldi per poter sostenere la mia famiglia. E per farlo ho capito che dovevo offrire qualcosa di unico».

 

Com' è iniziato il suo business?

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«Ho cominciato nel settore dell' interior design. Il marchio d' arredamento si è evoluto in lifestyle. Cinque o sei anni dopo la compagnia cresceva velocemente, c' era una richiesta enorme per quel tipo di prodotto. Ma vendere vestiti è più facile, più eccitante. La moda è diventata presto il business numero uno».

 

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Che tipo di decor progettava?

«Erano mobili in acciaio inossidabile ispirati all' estetica del Bauhaus.

La moda è arrivata dopo, attraverso gli scarti della pelle che accostavo al decor in acciaio. Così, intorno al 2004, ho realizzato delle borse che portavo alle fiere».

 

Com' è arrivato all'abbigliamento?

«I primi vestiti li ho fatti per riempire un appendiabiti d' acciaio che esponevo al Bread & Butter di Berlino. Per decorarlo ho appeso cinque giacche vintage militari su cui avevo applicato dei cristalli a forma di teschio e tutti, in fiera, hanno iniziato a chiedermi solo delle giacche. Ho capito che c' era un mercato ma non l' ho pianificato».

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Perché il teschio?

«Vendevo già accessori per la casa, c' erano dei cuscini da divano coperti di cristalli che avevano un grande successo. Uno aveva un teschio sopra. Volevo proporre qualcosa di rock. Negli anni Novanta c' era il minimalismo. Era tutto deprimente, non c' era niente di eccitante. Adesso la decorazione va di moda, ma era un mercato di nicchia. Con un marketing forte e un' attitudine irriverente abbiamo catturato l' attenzione».

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Cos'è che non andava nel sistema della moda?

«La moda era la Bella Addormentata. Fino a quando non si è dovuta svegliare. Qualcuno doveva farlo. Ci sono questi enormi gruppi che proteggono le loro posizioni sul mercato. Molti non riescono ad adattarsi e se non ti adatti, fallisci».

 

Come sarebbe questa nuova realtà?

«È il consumatore a essere cambiato. Nel passato i media avevano il potere, adesso è il consumatore che ha il monopolio. L' industria della moda deve cambiare per forza».

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E qual è il segreto di Philipp Plein?

«Abbiamo un dna. Un brand senza dna non è un brand.

L' epoca degli stilisti, Gianni Versace, Giorgio Armani, è finita, morta. Guarda quello che sta succedendo a Cavalli. Sono una specie in via d' estinzione, dinosauri. È come nel mercato multimiliardario del calcio.

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Non c' è più anima, i marchi del lusso si scambiano i designer come i calciatori. Guarda Riccardo Tisci o il nuovo Celine di Hedi Slimane.

I designer portano la loro estetica e il brand non è più riconoscibile. Una follia».

 

Qual è il suo artista preferito?

«Le Corbusier».

 

Ma Le Corbusier è un minimalista. Perché proprio lui?

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«È senza tempo. Ha disegnato pezzi che ancora oggi, dopo sessant' anni, sono moderni. La moda dura appena tre mesi, non è soddisfacente per un creatore».

 

Come va il suo flagship a Piazza di Spagna?

«Alla grande. Ma il contratto sta per scadere così ci spostiamo in una nuova location più grande, in via del Babuino, vicino all' Hotel De Russie. Di recente sono andato a Roma per visitarla, è bellissima. Ci trasferiamo a ottobre, faremo una grande festa».

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