francesco tedesco stefano cucchi

“AVEVO PER PAURA PER LA CARRIERA, TEMEVO RITORSIONI E SONO RIMASTO ZITTO PER ANNI” - IL CARABINIERE FRANCESCO TEDESCO, CHE HA ACCUSATO I SUOI COLLEGHI DI AVER PICCHIATO STEFANO CUCCHI, RACCONTA LA SUA VERSIONE: “CUCCHI E IL MIO COLLEGA DI BERNARDO COMINCIARONO A DISCUTERE E A INSULTARSI PER CUI DI BERNARDO COLPÌ CUCCHI CON UNO SCHIAFFO IN VOLTO E D'ALESSANDRO DIEDE UN CALCIO CON LA PUNTA DEL PIEDE ALL'ANO” - “HO CERCATO DI FERMARLI MA MI DISSERO DI..."

IL POST DI ILARIA CUCCHI SU FRANCESCO TEDESCO

1 - QUEL POST SU FACEBOOK DA CUI È PARTITO TUTTO

Mic. All. per “il Messaggero

 

Era il 3 gennaio del 2016, quando sulla pagina Facebook di Ilaria Cucchi comparve un post che in poco tempo fece il giro del web e scatenò l'indignazione dei social. Francesco Tedesco - diventato ora l' accusatore dei colleghi Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro - era immortalato in costume e, sotto alla fotografia, c'era una frase di Ilaria: «Volevo vedere le facce di coloro che si sono vantati di aver pestato mio fratello, coloro che si sono divertiti a farlo. Di coloro che lo hanno ucciso. Ora questa foto è stata tolta dalla pagina. Si vergogna? Fa bene».

 

ilaria stefano cucchi

Parole che avevano innescano l'immediata reazione di molti utenti del social.

«Perché non organizzare una squadra di tre o quattro persone di buona volontà per sgonfiare i muscoli a questo bastardo?», era uno dei tanti commenti che avevano spinto la Cucchi a chiedere di moderare i toni: «Non tollero la violenza, sotto qualunque forma», aveva scritto. Tedesco aveva sporto denuncia, sostenendo di avere ricevuto minacce di morte. Aveva anche chiesto un risarcimento danni.

 

2 - «CUCCHI ERA A TERRA, LO PRENDEVANO A CALCI» IL CARABINIERE IN AULA AMMETTE IL PESTAGGIO

Ilaria Sacchettoni per “il Messaggero”

 

Quasi nove anni dopo, il processo bis su Stefano Cucchi riscrive la catena di responsabilità che portarono alla sua morte. Non furono gli agenti di polizia penitenziaria a picchiare il giovane, arrestato per spaccio e deceduto sette giorni dopo all' ospedale «Sandro Pertini».

FRANCESCO TEDESCO

 

Ma due carabinieri della compagnia Appia che, secondo la testimonianza di un loro collega, lo colpirono nel corso del fotosegnalamento. Schiaffi, pugni e perfino un calcio in piena faccia quando era a terra, nell' impossibilità di difendersi. Sono i fatti emersi durante l'udienza al processo che vede imputati i militari Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro, Francesco Tedesco e Roberto Mandolini per reati che vanno dall'omicidio preterintenzionale al falso.

 

Il pubblico ministero Giovanni Musarò ha depositato l'avviso di conclusione delle indagini e i verbali relativi a tre interrogatori di Francesco Tedesco che, lo scorso luglio, ha deciso di offrire la propria versione, finora taciuta. È il primo contributo all' accertamento della verità ed è ovvio che riscriverà l'atto di accusa nei confronti dei militari.

ilaria cucchi

 

Tutto inizia dopo la perquisizione (senza esito) in casa del ragazzo. «Cucchi e Di Bernardo - ha raccontato Tedesco - cominciarono a discutere e iniziarono a insultarsi per cui Di Bernardo si voltò e colpì Cucchi con uno schiaffo violento in pieno volto. Allora D'Alessandro diede un forte calcio a Cucchi con la punta del piede all' altezza dell' ano...Fu un' azione combinata».

 

Stefano Cucchi

Tedesco spiega di aver cercato di fermarli inutilmente: «Basta, finitela! Che ca... fate! Non vi permettete». La reazione? «D' Alessandro e Di Bernardo mi dissero di farmi i ca...miei» mentre un terzo carabiniere, Mandolini gli consiglia di dire «che non è successo niente».

 

È solo la prima delle novità processuali. L'altra riguarda il presunto depistaggio all'interno dell' Arma. È sempre Tedesco, assistito dal suo difensore Eugenio Pini a rivelare che una sua relazione in merito («un'annotazione di servizio» che ricostruiva il pestaggio di quella notte) depositata in seguito alla morte di Cucchi, è scomparsa dai fascicoli dell' Arma: «Pensavo che di lì a breve mi avrebbe convocato il maresciallo Mandolini per chiedermi conto dell'annotazione ma io ero determinato ad attestare quanto era accaduto. Qualche giorno dopo, invece, mi resi conto che, sulla copertina del fascicolo, era stato cancellato con un tratto di penna quello che avevo scritto e che le due annotazioni erano scomparse. Iniziai ad avere paura per una serie di ragioni».

stefano cucchi

 

I timori si rafforzano, Tedesco precipita in uno stato di soggezione che si rafforza con l'apertura di un procedimento di Stato per la sua destituzione. Procedimento che gli viene notificato - fatalità - proprio il giorno in cui si presenta in Procura a denunciare. Per provare che quello che ha raccontato è autentico, il militare mette a disposizione del pm e della squadra mobile che conduce gli approfondimenti il proprio computer.

 

Stefano Cucchi

Sulle sue dichiarazioni Musarò apre una nuova indagine per soppressione di documenti.

Nel racconto di Tedesco l'Arma è un luogo di discriminazioni più che di solidarietà, un posto nel quale i gradi contano più della persona: «Io all'interno della caserma ero isolato perché, fra quelli che avevano l'alloggio in caserma io ero l'unico pugliese mentre gli altri erano tutti amici ed erano quasi tutti campani». Durante una pausa la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, posta su Facebook un suo commento: «È caduto un muro». Twitta il ministro della Difesa Elisabetta Trenta: «Quanto accaduto è inaccettabile. Chi ha commesso questo reato pagherà. Lo voglio io, questo governo e lo vuole l'Arma dei Carabinieri che merita rispetto».

 

3 - DAI DOCUMENTI FATTI SPARIRE ALL' ACCUSA DI OMICIDIO COSÌ È CROLLATO IL MURO DI OMERTÀ

Il corpo di Stefano Cucchi

Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”

 

«Mi sono determinato a raccontare la verità per tutta una serie di ragioni - ha spiegato il carabiniere Francesco Tedesco al pubblico ministero che ne ha raccolto la confessione -. All' inizio avevo molta paura per la mia carriera, temevo ritorsioni e sono rimasto zitto per anni, però successivamente sono stato sospeso e mi sono reso conto che il muro si sta sgretolando».

ilaria cucchi

 

Un muro di omertà che lo stesso Tedesco aveva contribuito ad alzare, dal giorno dopo la morte di Stefano Cucchi e fino alle indagini che hanno coinvolto - dopo un processo fallito agli agenti della polizia penitenziaria - i militari dell' Arma. Quando intuirono di essere sotto intercettazione, oltre che sotto inchiesta, fu proprio lui a proporre di utilizzare telefoni nuovi per parlare solo tra indagati, in modo da evitare le microspie.

 

E temendo una perquisizione fece sparire, consegnandolo alla sorella, il computer dove aveva scritto la relazione di servizio che raccontava il pestaggio di Cucchi. Ma quando ha letto l'accusa con cui il pm Giovanni Musarò l'ha mandato davanti alla corte d'assise, ha capito che difficilmente l'avrebbe scampata. E ha cambiato atteggiamento.

 

Stefano Cucchi

«La lettura del capo d'imputazione per omicidio preterintenzionale mi ha colpito molto - continua Tedesco -, perché il fatto descritto corrisponde a ciò che ho visto io. Solo a quel punto ho compreso appieno la gravità dei fatti, e ho deciso di dire quello che ho visto, per una questione di coscienza. Prima credevo che la vicenda fosse anche gonfiata mediaticamente, poi ho riflettuto e non sono riuscito più a tenermi dentro questo peso».

 

Stefano Cucchi

Parole che ora toccherà ai difensori degli altri imputati mettere in dubbio, se non arriveranno altre confessioni. Ma a prescindere da come finirà la partita giudiziaria davanti ai giudici, c'è già un riscontro a quanto riferito dal carabiniere riguardo all'annotazione compilata dopo la morte di Cucchi, sparita dal fascicolo dove doveva stare, e con l'indicazione nell' indice degli atti modificata rispetto a ciò che aveva scritto Tedesco.

 

Stefano Cucchi

Un indizio significativo, che fa il paio con il registro dei foto-segnalamenti corretto con il bianchetto per cancellare il nome di Cucchi, visto che proprio durante quell' operazione il fermato fu percosso a schiaffi e calci. Del resto, nell' inchiesta bis che la Procura guidata da Giuseppe Pignatone ha condotto con metodologie e sistemi solitamente usati nelle inchieste antimafia, c' era già la «confessione» di Tedesco.

 

Stefano Cucchi

Fatta al collega che aveva portato Cucchi in tribunale la mattina successiva all' arresto, il quale gli aveva chiesto come mai fosse così malridotto. «Non è stato collaborativo al foto-segnalamento», tagliò corto. Ora ha aggiunto il resto. E ha svelato i particolare di come gli attuali imputati sono riusciti a sfuggire all' inchiesta per anni, lasciando che i pm della prima indagine si concentrassero sugli agenti penitenziari. Aggiustando le relazioni di servizio per gli accertamenti condotti all' interno dell' Arma, arrivati alla tranquillizzante conclusione che nelle caserme da cui era passato il tossicodipendente fermato per spaccio di droga non era successo niente di strano.

 

STEFANO CUCCHI E LA SORELLA ILARIA

«In quei giorni assistetti personalmente alla telefonata fatta dal maresciallo Mandolini al comando stazione di Tor Sapienza - racconta oggi Tedesco parlando del suo comandante dell' epoca -, quando chiese al suo interlocutore di modificare le annotazioni redatte dai militari in servizio quella notte... Le annotazioni in effetti furono modificate... Quella telefonata io l' ho vissuta come una violenza, era come se volesse farmi capire che lui poteva fare quello che voleva, e che il mio racconto non contava nulla. Del resto Mandolini si vantava di avere molte conoscenze sia all' interno dell' Arma sia nel Vaticano».

 

Il carabiniere che da imputato ha deciso di vestire i panni del testimone d' accusa aggiunge che lo stesso comandante Mandolini lo accompagnò dal magistrato della prima inchiesta, quando fu chiamato a deporre: «Non mi minacciò esplicitamente, ma aveva un modo di fare che non mi faceva stare sereno. Io avevo capito che non potevo dire la verità e gli chiesi cosa avrei dovuto dire al pm, e lui rispose: "Tu gli devi dire che stava bene (Cucchi, ndr), gli devi dire quello che è successo, che stava bene e che non è successo niente... capisci a me, poi ci penso io, non ti preoccupare"».

 

Stefano Cucchi

Il maresciallo maggiore Emilio Bucceri, comandante della Stazione Appia, ha testimoniato che a novembre 2009 fu convocato insieme a tutti i responsabili di stazione e compagnia dall' allora comandante provinciale dell' Arma Tomasone, «che ci sensibilizzò sulla gestione del personale perché in quel periodo vi era stata non solo la vicenda Cucchi, ma anche quella relativa a Marrazzo nella quale erano stati arrestati alcuni carabinieri». Nel frattempo, mattone dopo mattone, qualcuno aveva già cominciato a erigere il muro di protezione che ha resistito nove anni.

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