charleston dylann roof

È NERO/ISLAMICO? È UN TERRORISTA. È BIANCO? È UN 'PAZZO SOLITARIO'. MA DYLANN ROOF PROGETTAVA LA STRAGE DA 6 MESI, E NE AVEVA PARLATO PURE CON GLI AMICI - SEMPRE IMPASTICCATO, CON PRECEDENTI, PER PREMIO IL PADRE GLI AVEVA REGALATO UNA PISTOLA - PER QUESTO OBAMA NON PUNTA IL SUO DISCORSO SUL RAZZISMO, MA SUL CONTROLLO DELLE ARMI

IL MONOLOGO DI JON STEWART DOPO LA STRAGE DI CHARLESTON: "NON FARÒ NESSUNA BATTUTA, MI DISPIACE"

 

 

 

1.STRAGE CHARLESTON: KILLER PROGETTAVA ATTACCO DA 6 MESI

 (ANSA) - Dylann Roof, il killer che ha ucciso 9 afroamericani in una chiesa di Charleston, nella South Carolina, progettava un clamoroso attacco da almeno sei mesi. Lo riporta - secondo la Abc - un ragazzo suo compagno di stanza per circa un anno.

 

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Dunque, stando al racconto del compagno di stanza, una sorta di tragedia annunciata. "L'ho visto l'ultima volta la scorsa settimana", racconta Dalton Tyler che ha conosciuto Dylann nella sua citta', Lexington, sempre nella South Carolina. "Era tutto preso da questioni come la segregazione razziale e diceva che voleva iniziare un guerra civile. Disse - prosegue Tyler - che avrebbe fatto qualcosa di clamoroso e che poi si sarebbe ammazzato". Tyler avrebbe anche confermato che la pistola di Dylann era un regalo, da parte di uno dei genitori o di un parente.

 

2.VITTIMA HA POSTATO MINIVIDEO PRIMA DI MASSACRO

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 (ANSA) - Spunta un minivideo shock del massacro di Charleston. Una delle nove vittime afroamericane della chiesa di Charleston, Tywanza Sanders, ha infatti postato uno scatto realizzato con lo smartphone durante l'incontro di preghiera con il pastore Clementa Pinckney, poco prima che avvenisse la strage. Nell'immagine, condivisa sul social media Snapchat, si vede seduto attorno al tavolo con gli altri anche il killer Dylann Roof. Sanders era un aspirante rapper. Tra le sue canzoni una dal titolo "What's Wrong Withe Being Black?", cosa c'e' di sbagliato ad essere nero?

 

3.OBAMA, "UNO SHOCK, MOLTO LAVORO DA FARE"

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 (ANSA) - "Un evento scioccante che ci ricorda come abbiamo ancora molta strada e molto lavoro da fare": così il presidente americano, Barack Obama, è tornato sulla strage di Charleston durante un incontro a Los Angeles.

 

4.CASA BIANCA, LEGAME FORTE TRA OBAMA E REVERENDO UCCISO

 (ANSA) - Il legame del il presidente Barack Obama e della first lady Michelle Obama col reverendo Clementa Punckney, il pastore ucciso nella strage di Charleston, "era forte abbastanza da durare fino ad oggi". Lo ha detto Eric Schultz, portavoce della Casa Bianca, ricordando come Punckney fu un supporter della prima ora di Obama nel 2007.

 

 

5.L’IRA DI OBAMA

Massimo Gaggi  per il “Corriere della Sera

 

obama dopo la strage di charlestonobama dopo la strage di charleston

Fuori, sotto il sole abbacinante di Charleston, turisti in pantofole e bermuda, apparentemente ignari dell’accaduto, esplorano gli angoli più affascinati della città vecchia, costruita dai portoghesi nella baia scelta per far sbarcare gli schiavi portati qui dall’Africa. Dentro la Ame Church, non lontana dal tempio metodista della strage, il reverendo John Richard Bryant parla di fede e di resistenza davanti alla moltitudine, soprattutto nera, riunita per una veglia di preghiera dopo la strage di mercoledì sera.

 

Dylann Roof, un ragazzo di 21 anni animato da odio razziale e forse fuori di senno, ha assistito per 45 minuti a una funzione religiosa nella più antica e gloriosa chiesa metodista nera del Sud degli Stati Uniti, prima di tirare fuori la pistola che il padre gli aveva da poco regalato per il suo compleanno. Ha ucciso nove fedeli che assistevano alla funzione religiosa serale, compreso il pastore Clementa Pinckney: un leader religioso ma anche politico, senatore democratico del Parlamento del South Carolina, molto noto nella sua comunità.

 

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Roof avrebbe risparmiato solo tre dei presenti e pare che prima di fuggire (è stato poi catturato in North Carolina, a 400 chilometri da qui) abbia urlato a uno dei superstiti: «Non ti ammazzo così potrai raccontare cosa ho fatto. Dovevo: stuprate le nostre donne, vi state prendendo questo Paese. Ve ne dovete andare».

 

L’America ha fatto il callo agli omicidi di massa e da qualche tempo è ripiombata nell’incubo della violenza razziale. Ma un massacro in una chiesa è ancora qualcosa capace di lasciare senza fiato, inebetito, anche questo Paese dalla pelle dura. «Se non sei al sicuro in una chiesa dove lo sei?» chiede Shona Holmes, una ragazza nera di 28 anni che deposita fiori e lumini davanti alla Emanuel African Methodist Episcopal Church sulla Calhoun Street.

STRAGE CHARLESTONSTRAGE CHARLESTON

 

A Washington Barack Obama fatica a trattenere rabbia e indignazione quando, dopo aver commemorato le vittime, chiede per l’ennesima volta all’America di farsi un esame di coscienza sulle conseguenze del suo permissivismo sulle armi da fuoco: «Prima o poi dovremo renderci conto come nazione che questo tipo di violenza di massa è ignoto agli altri Paesi avanzati». Un atto d’accusa anche contro l’inerzia del Congresso che non ha accolto le sue proposte in materia di controllo delle armi da parte di un presidente che ieri, dicono i biografi, è arrivato al 14esimo discorso pronunciato dopo che è stata commessa una strage.

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Il reverendo Bryant lo dice con altre parole: «Muoiono più americani qui che nei campi di battaglia del mondo. C’è violenza nelle case, nelle scuole, nei parchi dove giocano i nostri bimbi. Ora anche nelle chiese». Indignazione, ma anche inviti alla solidarietà: c’è il timore di proteste violente, ma la comunità nera di Charleston sembra voler dare una risposta di unità e preghiera, come ha fatto anche dopo l’uccisione, ad aprile, di un nero disarmato, Walter Scott. L’agente che ha sparato è stato incriminato, la retorica incendiaria di Al Sharpton è stata respinta da dai leader neri e dalla stessa famiglia della vittima. E Charleston non è diventato il luogo di sommosse e roghi come è accaduto a Ferguson e a Baltimora.

 

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Anche oggi i leader invitano a ritrovare la forza per andare avanti nell’unità e nel perdono ma non tutti sono così remissivi: Jamie Majors, attivista nero di Black Lives Matter , scandisce davanti ai giornalisti: «La mentalità schiavista a Charleston è ancora forte. Non possiamo nascondercelo, c’è ancora molto da fare».

 

La polizia e il sindaco Joe Riley cercano di tranquillizzare: un caso isolato, un razzista pazzo venuto da lontano (un villaggio rurale vicino Columbia, cento miglia da qui), fuggito lontano e già catturato. Strade riaperte, caso chiuso. Mentre la comunità nera piange le sue vittime, sei donne e tre uomini, i molti turisti (in città è appena finito lo Spoleto Festival Usa, manifestazione gemella del Festival dei due Mondi della città umbra), tornano ad affollare il vecchio mercato degli schiavi trasformato in mercato artigianale.

 

CHARLESTON STRAGE KILLERCHARLESTON STRAGE KILLER

Roof solo un pazzo? Se lo era, notano in molti, un pazzo lucido che ha scelto con molta cura il suo bersaglio: la chiesa della più antica congregazione metodista del Sud. Un luogo simbolo delle sofferenze della comunità nera da quando, nel 1822, uno dei suoi fondatori, Denmark Vesey, fu impiccato insieme ad altre 35 persone per aver tentato di organizzare una rivolta degli schiavi e il tempio fu dato alle fiamme. Fino a quando, mezzo secolo fa, le parole della battaglia per i diritti civili di Martin Luther King risuonarono anche sotto questa navata: «Se tieni duro e vai avanti nonostante tutto, scoprirai che Dio marcia con te». Le ha ricordate ieri anche Obama, celebrando per l’ennesima volta la sua impotenza presidenziale.

 

 

6.DYLANN IL SELVAGGIO RAGAZZO TACITURNO

Guido Olimpio per il “Corriere della Sera

 

CHARLESTON STRAGE KILLER 1CHARLESTON STRAGE KILLER 1

Dylann il selvaggio ha pensato di essere un ribelle sudista. Un irriducibile guerrigliero, convinto che l’America sia finita in mano ai «neri», quelli che «stuprano le nostre donne». Idee estreme in una testa confusa dalla droga. Sin dai tempi del liceo ci ha dato dentro, come raccontano gli amici della scuola. «Era un po’ strano, si imbottiva di roba e faceva battute razziste - ha ricordato - solo che pensavamo fosse solo uno scherzo».

 

Forse, allora, lo era uno scherzo. O magari era un modo di mostrare qualcosa, tra simboli confederati da ostentare sulla targa dell’auto, magliette con le bandiere della Rhodesia e del Sud Africa dell’apartheid e atteggiamenti sfrontati. Con il tempo però è diventato altro e lo ha trasformato in uno sparatore di massa, protagonista dell’attacco contro la chiesa afro-americana di Charleston.

 

La vita di Dylann Storm Roof, 21 anni, fino a ieri alle 21 di mercoledì era apparsa anonima, con qualche piccolo guaio. Da adolescente - dicono ancora i compagni intervistati dal Daily Beast - erano uno dei tanti, magari un po’ strano ma non un isolato. E non sembrano neppure esserci episodi di bullismo ai suoi danni o qualcosa che lo abbia ferito.

 

james holmes, timothy mcveigh, adam lanzajames holmes, timothy mcveigh, adam lanza

Anche perché, continuano i testimoni, in quelle classi molti erano come lui. Dunque tutti sulla stessa linea in liceo dalla composizione razziale mista. Però, è chiaro che qualcosa non andava e probabilmente il ricorso alle «pasticche» d’ogni colore e tipo non lo hanno aiutato.

 

Per Roof sono arrivati anche i guai con la Legge. Piccole cose. Non certo un criminale incallito o un ladro di strada. Il 28 febbraio la polizia lo ha fermato perché infastidiva con domande inopportune gli impiegati di un centro commerciale. Voleva sapere di turni, lavoro e mansioni. Quelli si sono insospettiti ed hanno chiamato una pattuglia.

 

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Gli agenti, durante i controlli, gli hanno trovato delle sostanze per le quali non aveva la ricetta. Ed è scattato l’arresto. Quindi un secondo episodio più o meno simile un paio di mesi fa, seguito dal divieto di avvicinarsi alla zona dei negozi. Uno zio, tra i primi a riconoscerlo quando è stata diffusa la foto subito dopo l’attentato, lo ha definito «taciturno, introverso» ma non pericoloso. Sorpreso anche l’avvocato. E invece Roof stava covando qualcosa. O aspettava solo il momento opportuno.

 

In aprile il padre, incosciente e inconsapevole, gli ha regalato per il compleanno una pistola calibro 45. Mica una scacciacani. Che Dylann il selvaggio si è portato dietro nel suo raid come un cavaliere bianco del Ku Klux Klan contro il tempio afro-americano nel cuore di Charleston. Ha eseguito la sua missione, ha falciato nove innocenti e ne ha risparmiati altri. Non per un segno di clemenza ma solo perché voleva dei testimoni in grado di trasmettere il suo messaggio. Semplice e chiaro: «Dovevo uccidere i neri. Dovevo farlo».

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