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"SONO FELICE DI QUESTO PREMIO, PERÒ AVREI PREFERITO AVERE IL MIO PAPÀ" - LA STORIA DI MATTIA, UN RAGAZZINO DI 12 ANNI DI VENEZIA CHE AIUTAVA IL PADRE, PAOLO PICCOLI, INGHIOTTITO DALL'ALZHEIMER AD APPENA 50 ANNI - NEGLI ULTIMI CINQUE ANNI MATTIA È STATO LA SUA OMBRA: LO AIUTAVA A LAVARSI, A MANGIARE, A MUOVERSI ALL'INTERNO DELLA CASA. ORA HA RICEVUTO IL PREMIO DI ALFIERE DELLA REPUBBLICA DALLE MANI DI MATTARELLA - MA IL PADRE, RICOVERATO, ORMAI LO RIESCE A VEDERE SEMPRE MENO…

Laura Berlinghieri per “La Stampa

 

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Quando gli è stato detto del riconoscimento, per prima cosa Mattia ha chiesto alla mamma che cosa fosse un «alfiere». Poi, con tutta la tenerezza di cui è capace un ragazzino di 12 anni, ha aggiunto: «Sono felice di questo premio, però io avrei preferito avere il mio papà».

 

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Questa storia arriva da Concordia Sagittaria, provincia di Venezia. Parla di un bambino che, a poco più di sei anni, ha iniziato a convivere con i ricordi sgretolati del papà, inghiottito da un tunnel nero chiamato Alzheimer.

 

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Un tunnel senza uscita che Paolo Piccoli, papà del ragazzo, sta percorrendo ora, ad appena 50 anni. Negli ultimi cinque anni, Mattia è stato la sua ombra: lo aiutava a lavarsi, a mangiare, a muoversi all'interno della casa. «Aiutavo il mio papà a fare quelle cose che da solo non poteva fare», spiega Mattia, con semplicità.

 

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«Quando lui faceva la doccia, lo aiutavo e gli dicevo: prima gli slip, poi i pantaloni. Lo aiutavo con i lacci delle scarpe. E il mio fratellino faceva lo stesso. Quando non potevo, c'era lui. Adesso è troppo piccolo per ricevere questo premio, ma spero che un giorno lo avrà anche lui».

 

Nominato alfiere della Repubblica in primavera, ieri mattina Mattia ha ricevuto il premio direttamente dalle mani del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Era molto felice e emozionato.

 

«Questo premio lo dedico a mio papà, per me è un'emozione molto bella e credo di essermelo anche meritato. Ma, anche se questo premio lo hanno dato a me, credo che valga per tutta la mia famiglia», sono state le sue parole.

 

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Michela Morutto, la mamma, è orgogliosa del suo ragazzo, ma il suo è un sorriso agrodolce, come ripete. «Per i miei figli avrei voluto un'altra vita. Avrei voluto che avessero il papà al loro fianco, so che manca molto a entrambi. E manca molto anche a me».

 

Con la pandemia e con il progressivo aggravarsi delle sue condizioni, l'uomo è stato ricoverato in una struttura dedicata, e tutto, per Michela e i due ragazzi, è diventato ancora più difficile.

 

«Possiamo incontrare Paolo soltanto 40 minuti, due giorni alla settimana. È veramente difficile», dice la donna, suo malgrado diventata simbolo di un movimento per portare un po' di attenzione a quelle situazioni su cui la luce della politica continua a essere spenta e tutto viene lasciato agli sforzi e all'amore dei singoli.

 

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La storia di Paolo e della sua famiglia è anche stata raccontata nel libro, «Un tempo piccolo», scritto da Serenella Antoniazzi. Ennesimo tentativo per cercare di accendere la luce. «Mio marito ha iniziato a stare male dopo i 40 anni. Quelle che all'inizio credevo fossero soltanto piccole stranezze hanno progressivamente iniziato a prendere la forma della demenza.

 

Aveva difficoltà a raggiungere alcuni posti, poi i problemi sono aumentati ancora. Sono anni che mi batto perché la sua situazione venga riconosciuta anche fuori dalla nostra famiglia», spiega la moglie.

 

«Sto mantenendo la mia famiglia con il mio solo stipendio. E sempre con il mio stipendio devo pagare la retta della struttura in cui è ospitato mio marito, perché Paolo non ha nemmeno maturato gli anni di lavoro per avere diritto al riconoscimento della malattia, ai fini contributivi.

 

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L'Alzheimer è un dramma sempre. Ma, quando colpisce così precocemente, lo è due volte. I bambini bisogna allevarli. Ma io lavoro tutto il giorno e sono costretta ad affidare la crescita dei miei figli ai miei genitori, che però sono anziani, e avrebbero il diritto di riposare. Poi c'è il mutuo da pagare, ci sono le rate della macchina. È una situazione devastante».

 

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Quotidianità, semplicemente. Una quotidianità smembrata da un virus che si è insinuato al suo interno silenziosamente, per poi deflagrare come una bomba. Modificando la vita di Michela, trasformando l'infanzia di Mattia e del fratellino minore, Andrea.

 

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«Mattia è bravo. Anche se è in quella fase di lotta con tutti. Ha 12 anni, è a un passo dall'adolescenza, e quindi sta affrontando una fase piuttosto complessa. E poi gli manca moltissimo il papà, come manca ad Andrea. E per me è dura. Sono la mamma, il papà è un'altra cosa. I miei ragazzi sono bravi, ma sento che hanno bisogno della mamma e del papà».

 

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