un eroe di asghar farhadi

IL CINEMA DEI GIUSTI - IL FILM “UN EROE” NON HA UN BUCO DI SCENEGGIATURA, È PERFETTO. ANCHE PER LA CORSA ALL'OSCAR - IL REGISTA ASGHAR FARHADI MUOVE I SUOI PERSONAGGI, MAI PUPAZZI MONODIMENSIALI, MA SEMPRE UMANI E CONTRADDITTORI, TRA I NEGOZIETTI DI TEHERAN E I MONUMENTI INCREDIBILI DEL PAESE - VIDEO

 

Marco Giusti per Dagospia

 

UN EROE DI ASGHAR FARHADI

Il popolo vecchiotto, vaccinato e mascherinato da cineclub è regolarmente andato nei limiti della paura del rischio contagio, a vedere “Un eroe”, il film del ritorno a Teheran di Asghar Farhadi, il regista di grandi opere premiate ai festival internazionali come “Il passato” e “Una separazione”, che era stato tentato per ben due volte dal cinema europeo. Con operazioni, specialmente l’ultima, “Tutti lo sanno”, riuscite a metà. Con “Un eroe” il suo ritorno a casa è anche un ritorno a un’ambientazione e a un genere di storie dove la sua scrittura millimetrica e la messa in scena di sentimenti, passioni, desideri, paure dell’animo umano, trovano gli ingredienti giusti per completarsi e sviluppare un meccanismo di cinema di grande livello, non a caso premiato a Cannes con il Gran Premio della Giuria.

UN EROE DI ASGHAR FARHADI

 

Il sorridente Ramin di Amir Jadidi, uscito di carcere per un breve periodo, che cerca il modo di non tornarci con una mossa da bravo ragazzo civile e qualche furbizia da eroe dei social, una borsa di donna piena di monete d’oro che ha trovato la sua fidanzata, che lui restituisce alla proprietaria, si ritrova, proprie per una serie di scelte, tutte condivise con qualcun altro, il direttore del carcere, la sorella, la fidanzata stessa, in una situazione sempre più ingarbugliata dalla quale non sa più come uscire senza perdere la sua dignità. Unica cosa che gli rimane. Non è un bandito, né un ladro.

 

UN EROE DI ASGHAR FARHADI

E’ in carcere a causa di un prestito che non ha potuto restituire al barbuto fratello della sua ex. E questo, che ha perso una fortuna per colpa sua, non vuole cedere, forzato anche dalla figlia. Mettiamoci in mezzo anche la famiglia di lui, la sorella che rende alla prima donna che capita, senza prendere né generalità né farle una foto, un video, il figlio balbuziente che la crisi fra i due genitori ha reso un ragazzo un po’ problematico, il marito in carne della sorella, che lavora addirittura nello scavo della meravigliosa tomba di Serse.

 

Ma anche un tassinaro, alla Nando Bruno per non scomodare l’Ughetto Bertucci dei film di Mario Mattoli, che è stato in galera e lo vuole sinceramente aiutare. I dirigenti della prigione. Le donne di una associazione che aiuta i galeotti meritevoli e può intervenire per salvare dall’esecuzione capitale i condannati a morte. Nessuno è cattivo e Rahim tutti ascolta, cercando di trovare il modo per non tornare in galera.

 

UN EROE DI ASGHAR FARHADI

Tutta questa architettura quanto mai complessa, è manovrata perfettamente dalla scrittura e dalla messa in scena di Farhadi, che muove i suoi personaggi, mai pupazzi monodimensiali, ma sempre umani e contraddittori, tra i negozietti di Teheran e i monumenti incredibili del paese. Al di là del budget, che penso minimo, massimo è invece lo sforzo per arricchire in ogni momento il racconto e moltiplicarne i punti di vista dei personaggi e cosa comportano per Rahim, catalizzatore della storia. Il pubblico dietro le mascherine esulta. Ovvio.

 

UN EROE DI ASGHAR FARHADI

Personalmente ho trovato non un buco di sceneggiatura, Farhadi non è tipo da farne, ma un po’ ingenua la trovata di partenza della borsa resa alla prima donna che sostiene che è sua (ma nemmeno una foto col telefonino le fai?), ma, certo, siamo a Teheran, e non ai Parioli o a Milano. E l’errore della sorella, si dirà, fa parte di una società che mischia una invidiabile fiducia nel prossimo con orrori giudiziari (la pena di morte…) e l’invasione della perfida tecnologia occidentale, l’uso dei social e dei media che può rendere Rahim un eroe falso o vero. Ma a parte questo, il film è perfetto. Anche per la corsa all'Oscar.  In sala. 

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