IL CINEMA DEI GIUSTI – “GLI STA CRESCENDO IL KURO!”. DI FRONTE A QUESTA BATTUTA DI “AVATAR: FUOCO E CENERE”, UNA SALA ITALIANA NEGLI ANNI ’60 SAREBBE ESPLOSA IN UNA FRAGOROSA RISATA, MA OGGI CREDO CHE NESSUNO ABBIA PIÙ QUEL GUSTO DA SPETTATORE CAZZARONE CHE SI ERA FORMATO FRA PEPLUM E SPAGHETTI WESTERN – NONOSTANTE LE TRE ORE E VENTI DI DURATA, IL FILM NON MI HA MINIMAMENTE STANCATO, ANCHE SE MI CHIEDO DOVE STA IL SUO “IMPATTO CULTURALE”: NON CAMBIERÀ IL NOSTRO MODO DI PENSARE. MA IL TEMA PACIFISTA, SOPRATTUTTO OGGI, È CHIARO E FORTE… - VIDEO
Marco Giusti per Dagospia
“Gli sta crescendo il kuro!”. Di fronte a una battuta del genere una sala italiana negli anni ’60 sarebbe esplosa in una fragorosa risata, con un seguito di battute (“Sì, attaccate al kuro”, ecc.). Oggi, a parte che la sala era praticamente vuota, a vedere il nuovo Avatar di James Cameron, “Avatar: fuoco e cenere”, giocattolone da 400 milioni di dollari, uscito ieri e già primo in classifica da noi con 1 milione 156 mila euro e il biglietto a 12,50 euro + 2, 50 di occhialini, credo che nessuno abbia più quel gusto da spettatore cazzarone che si era formato fra peplum e spaghetti western.
E’ un peccato, perché proprio Cameron e i suoi Avatar, da subito, cioè da quando arrivò il primo dei tre film ben sedici anni fa, gioca apertamente coi generi più popolari degli anni ’60. Non a caso si forma con capolavori action come “Terminator” e action comedy come “True Lies”. E solo il kolossal “Titanic” ce lo riporta in formato, diciamo, “storico”.
Ma il cinema di Cameron, vecchio quanto me, che vi piaccia o meno, come quello di tanti genietti della New Hollywood, da Scorsese a Demme, da Dante a Coppola, nasce nelle piccole produzioni di Roger Corman. Tra i tanti allievi di Corman, è forse quello che si è avvicinato di più e, soprattutto, ha realizzato in grande il sogno di cinema fantasy del maestro.
“Avatar”, ancora di più in questa forma di grande seriale d’autore, al punto che Cameron riconosce come autoriale anche il suo uso del 3D secondo il sistema “High Frame Rate”, che dice di usare come un pennello, porta all’apoteosi questo tipo di cinema. Al punto che è quasi un action d’animazione, più vicino a un anime che a un film realistico con attori. E non a caso è andato a presentarlo come prima tappa insieme a Zoe Saldana in Cina, dove si aspetta metà degli incassi totali, che potrebbero arrivare ai 3 miliardi di dollari. Ben per lui.
Durante le tre ore e ore e venti di film, che non mi hanno minimamente stancato, lo riconosco, perché sono tre ore e venti di pura azione con questi buffi e fascinosi personaggi i Na’vy, mezzi felini e mezzi umani, giganteschi, blu, tutti col sedere di fuori e la codona e questa treccia, il kuro, appunto, con la quale si collegano alla grande madre del loro pianeta, più che seguire la storia, che è direttamente il proseguo del film precedente,
con la famiglia allargata dei Sully, il padre con anima umana Jake di Sam Worthington, la mamma pandoriana Neytiri di Zoe Saldana, bellissima, l’umano Spider di Jack Champion, Kiri, la figlia clone di Sigourney Weaver, e una serie di maschi e bimbetti carucci, in lotta con gli umani che vogliono occupare Pandora e prenderne le parti migliori, a cominciare dalle balene parlanti, come fossero le terre rare d’Ucraina o il Venezuela di Maduro, e qui sta la chiave più politica del film, mi facevo due domande.
La prima, banalissima, che hanno fatto in tanti, è dove sta l’”impatto culturale” del film. La seconda è se questi personaggi hanno davvero qualche fascino e lo avranno tra dieci, vent’anni. L’impatto culturale del film, che fu una grande novità sedici anni, e oggi non lo può più essere, ovviamente non esiste. Ma forse non è neanche una domanda giusta. Perché il film, come sedici anni fa, è tutto nel suo prodigio tecnico e nella sua costruzione visiva.
Non è e non può essere un film che cambierà il nostro modo di pensare. Ma il tema pacifista, soprattutto oggi, è chiaro e forte. Quanto alla seconda domanda, riguardo alla fascinazione dei personaggi, non riesco davvero a capire se mi piacciono o no. Certo. La new entry della cattivissima piratessa Varang, “interpretata” da Oona Chaplin, nipotina di Charlie, è favolosa. Sexy, sadica, conturbante. Si ruba il film.
E sposta l’attenzione dal confronto tra maschi, cioè Jake contro l’avatar del colonnello cattivo Quartich di Stephen Lang, a quello fra la Neytiri di Zoe Saldana e appunto Varang, che la vuole morte. Ma se, ammettiamolo, questi personaggi, buoni o cattivi che siano, non hanno alcuna profondità psicologica, quando si muovono, quando volano, quando tirano le frecce, loro e i loro uccelli o i loro pesci che cavalcano nell’oceano di Pandora, sono incredibilmente affascinanti.
Come nei quadri con indiani e cow boys di Frederic Remington, ritroviamo qualcosa di quei movimenti in azione. Inoltre esaltato dal 3D. Nessun impatto culturale. E’ vero. Ma qualcosa, e qui sta la vera grandezza del film, che puoi vedere e capire solo al cinema. Anzi solo al cinema come vuole fartelo vedere Cameron. Qualcosa che non puoi riportare sullo schermo di casa. Non sarà mai la stessa cosa.
E, allora, capiamo che il progetto, ambizioso, maniacale, di Cameron è quello di una sorta di super-action che rilegge tutti i grandi western, avventurosi, fantascientifici della sua e della nostra vita. Non è “Un dollaro d’onore” di Howard Hawks, ma un folle viaggio tra le palude delle Everglades, il mare di Moby Dick, il mare di Moana, che sono il nostro grande bagaglio culturale visivo del 900. Al di là dello spessore dei personaggi.
Ma già 24 ore dopo esplode la bellezza di questi indiani della nostra giovinezza. Non a casa i volti dipinti di Varang e di Neytiri dominano tutta la comunicazione. Come se il grido muto delle simil-balene di Pandora per la loro sopravvivenza fosse il nostro stesso grido per salvare il nostro immaginario più profondo.