
“SONO RIMASTA PRIGIONIERA DI ‘MARACAIBO’, PERO’ HO SDOGANATO LA MUSICA LATINA NELL'ESTATE ITALIANA” – MARIA LUISA COLOMBO, IN ARTE LU COLOMBO, PARLA DELLA CRISI DOPO IL TORMENTONE ANNI ’80: “HO VISSUTO MALE IL SUCCESSO. UNA VOLTA FAMOSA NON MI SOPPORTAVO PIÙ: ERO UN PERSONAGGIO, LONTANA DA CASA, PERDEVO AMICI E AFFETTI IN NOME DI NON SI SA COSA” – “IN POCHI HANNO CAPITO VERAMENTE IL TESTO. L’HO SCRITTO CON DAVID RIONDINO NEGLI ANNI ’70: MIGUEL SI SAREBBE DOVUTO CHIAMARE FIDEL, IN UN BRANO D'ISPIRAZIONE POLITICA, MA POI…” - VIDEO
Estratto dell’articolo di Patrizio Ruviglioni per “la Repubblica”
Questa è la storia di una spogliarellista cubana che in realtà è una trafficante d'armi, tale Zazà. Ha una storia con Miguel, che è spesso lontano dall'Avana. Lo tradisce, quando lui lo scopre prova a ucciderla, lei fugge e si rifà una vita aprendo un bordello. […] «Se non altro, è attuale». Più da vicino, è il testo di Maracaibo, evergreen della nostra estate datato 1981, cantato da Lu Colombo, cioè Maria Luisa Colombo, classe 1952 da Milano. Dietro l'artista da una hit e via, c'è altro: «In pochi hanno capito veramente il testo», racconta, «ma la sfida era proprio far ballare con un pezzo da cantautrice».
Come nasce?
«Da David Riondino, con cui l'ho scritto. Erano gli anni Settanta, Miguel si sarebbe dovuto chiamare Fidel, in un brano d'ispirazione politica. Poi la tirammo per le lunghe — facevo altri lavori, la musica era di casa ma amavo la pittura e lavoravo come grafica in un giornale musicale, grazie a cui mi ero fatta dei contatti — e arrivò il 1981. L'aggiornai, per la politica non c'era più spazio».
[…] Come visse il successo?
«Male. E dire che sentivo che sarebbe stata una hit, l'avevo cercata. Ma una volta famosa non mi sopportavo più: ero un personaggio, lontana da casa, perdevo amici e affetti in nome di non si sa cosa. che non sono tagliata per il palco: alla finale del Festivalbar cantai davanti a migliaia di persone e lo sentii spersonalizzante, preferivo i piccoli live».
Una crisi?
«Profonda. Capii che per andare avanti mi serviva un aiuto, fossero anche le medicine. E piuttosto che cedere mi sono defilata. Sono tornata a fare musica solo negli anni Novanta, più spensierata. In mezzo ho dipinto, la mia passione fin da piccola».
Oggi si ricorda più il brano che lei.
«Io quest'intervista l'avrei fatta alla canzone, si figuri. Per me è una vittoria, mi piace pensare che un pezzo forte non ha bisogno di chissà quale personaggio. Ma sono un'utopista, ho capito tardi che in realtà la musica è immagine, socialità. La gente lo vuole. Nel 2003 ho composto un brano, Gina, segnalato anche da Iggy Pop. Ma in Italia sono rimasta prigioniera di Maracaibo».
Di chi è la colpa?
«Il pubblico, se si fissa su qualcosa, è difficile da cambiare. Ma in generale sono venuti al pettine i nodi: non ero una popstar, negli anni Ottanta ho scritto altre canzoni che non copiavano Maracaibo e che però, al tempo stesso, non ne avevano la forza. E verso la fine di quel decennio ho detto basta. Non ne valeva la pena».
Ha realizzato il sogno altrui?
«Temo di sì. Per carità, ho lavorato duro, Maracaibo non è piovuta dal cielo. Ma amo stare dietro le quinte, mi viene l'ansia prima di un'intervista e mi piace spaziare. Guardo Fiorella Mannoia — artista che ammiro — e penso che se me la fossi giocata bene avrei potuto costruire una carriera simile. Poi mi ricordo che per arrivare lì bisogna dedicarsi anima e corpo alla musica, e mi passa. Maracaibo resta un'enorme soddisfazione, ma mi ha reso la versione di me che odiavo».
[…] Vede un'eredità di Maracaibo?
«No, la porto avanti io: sto lavorando a un progetto editoriale, più concerti in ambito sociale; nuove canzoni, se ci saranno, verranno poi. Però ho sdoganato la musica latina nell'estate italiana, questo sì. Oggi accendo la radio ed è tutto latina».
Le piacciono i nuovi artisti?
«Alcuni sì. Mon amour di Annalisa e Che t'o dico a fa' di Angelina Mango erano belle canzoni, e apprezzo i The Kolors, molto anni Ottanta. Altri mi sembrano di plastica: escono talmente tanti brani che mi chiedo se, davvero, non usino l'intelligenza artificiale per realizzarli in serie».[…]