big the young pope

IL CINEMA DEI GIUSTI - AVVISATE BERGOGLIO: A VENEZIA E' SBARCATO UN NUOVO PAPA, GIOVANE E NAPOLETANO - È PRESTO EVIDENTE CHE LA FOLLIA AUTOCELEBRATIVA E AUTOREFERENZIALE DEL "YOUNG POPE" SIANO PRATICAMENTE LE STESSE DEL GIOVANE SORRENTINO, CHE SIA CIOÈ LUI STESSO IL PROTAGONISTA CHE IL MONDO, IL POPOLO, IL CIELO, DIO STESSO, NON SI MERITANO. LO FA ANCHE KANYE WEST, PERCHÉ NON DOVREBBE FARLO SORRENTINO?

Marco Giusti per Dagospia

THE YOUNG POPE 1THE YOUNG POPE 1

 

Venezia 73. “Voi non mi meritate!”' – “Che Dio perdoni tutto il male che dovrò fare per salvare la Chiesa!”. Ci siamo. C’è tutto, dal canguro appena inviato dall’Australia alle suore che giocano a pallone, dal culto per la Cherry Coke Zero al mito dell’invisibilità di Bansky, dalla Venere di Willendorf, citata anche da Tom Ford, alla prima pagina del Corriere dello Sport, dalla citazione alta di Antonioni (“Mi fanno male i capelli”) a quella continua di Higuain che prende il posto del mito di Maradona con la maglia del Napoli.

 

Peccato solo che De Laurentiis abbia rovinato tutto vendendo il Pipita alla Juve. Alla fine della proiezione delle prime due puntate di questo attesissimo Young Pope “created and directed by Paolo Sorrentino”, come recitano i manifesti, il pubblico ha applaudito un po’ freddamente, ma probabilmente perché scioccato dall'omelia fuori di testa del giovane papa americano di Jude Law che chiudeva la proiezione, perché ha seguito con indubbio grande interesse e divertimento il kolossal prodotto da Sky, Canal+ e dal duo Mieli-Gianani con gran cura e dispiego di mezzi.

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Peter Bradshaw e i critici inglesi hanno esaltato Sorrentino come ai tempi della Grande Bellezza e hanno esaltato Jude Law come ai tempi di Mr Ripley. Pochi scherzi, quindi. Perché è una produzione italiana ricca e ambiziosa che intende sfidare il mercato delle superserie internazionali, come e più di Gomorra, anche perché è tutta girata in inglese e intende rivolgersi non ai quattro pezzenti di casa nostra che hanno Sky ma a un pubblico molto, molto più vasto.

 

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Se tutto questo non scioglie il cinema di Sorrentino nella costruzione seriale, come pensavo e un po’ speravo, magari lo farà nel corso delle altre otto puntate, lo esaspera anche con toni volutamente ironici giocando, almeno qui, spesso proprio nella sua autoreferenzialità e nel suo gigantismo-giogionismo. Che può non essere un male, attenzione. Certo, sia il personaggio di Lenny Belardo, il giovane cardinale interpetato da Jude Law che a 47 anni si ritrova papa, sia tutto il mondo e la macchina cinematografica e letteraria che si muovono attorno a lui risentono, nel bene e nel male, proprio di questa irrefrenabile ambizione del suo autore e della sua visione cinematografica.

 

Al punto che è presto evidente che la follia autocelebrativa e autoreferenziale del giovane papa siano praticamente le stesse del giovane Sorrentino, che sia cioè lui stesso il protagonista che il mondo, il popolo, il cielo, Dio stesso, non si meritano. Lo fa anche Kanye West, perché non dovrebbe farlo Sorrentino?

 

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Fortunatamente, tutto il delirio di questo Pio XIII (ma sembra piuttosto Pijo Tutto) è stemperato, oltre che da eccellenti interpretazioni di tutto il cast, da Jude Law a Diane Keaton, da Silvio Orlando a Javier Camara, da Toni Bertorelli al meraviglioso James Cromwell, da un’ironia che ci riporta alle pagine migliori de Il Divo e quindi direttamente alla vecchia commedia all’italiana buonanima di Age e Scarpelli.

 

Il personaggio andreottiano, umano e ambiguissimo del cardinal Voiello, cioè Silvio Orlando, gran tifoso del Napoli e geniale ideatore di omelie papali (neanche fosse Umberto Contarello, finito qui come script consultant) serve appunto a farci smaltire più rapidamente la follia shakesperiana del giovane papa, che si porta dietro la sua Lady Macbeth, cioè la Sister Mary di Diane Keaton, che nell’intimità indossa la maglietta “I’m Virgin…” per arrivare al potere totale di Vatican City.

 

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Perché la storia, almeno fino a qui, è una specie di Habemus Papam morettiano, con tanto di attesa dell’omelia e di giochi e giochetti politici dei cardinali mischiato con le regole da serie di sesso+potere di House of Cards. E Jude Law passa dalle indecisioni del quasi-papa Michel Piccoli alla costruzione di una maschera alla Kevin Spacey. Da tempo abbiamo abbandonato il personaggio positivo come eroe di serie. Visto comunque che le prime due puntate le abbiamo viste, digerite e commentate con passione, va detto che Young Pope, anche per i non sorrentiani, funziona parecchio, almeno come intrattenimento alto, costruzione di personaggi, dialoghi più o meno ironici.

 

Questo papa che fuma come una ciminiera, o come Jep Gambardella, si muove in un mondo, il Vaticano, che proprio per l’apertura della pista morettiana, non vado fino alle trame politiche del Padrino III, ci sembra credibile. La cosa che ci offendeva di più della Grande Bellezza erano proprio la scarsa credibilità del cafonal romano e la visione da pagina culturale di Repubblica dei salotti romani. Qui, magari perché non siamo né preti né cardinali sembrerebbe tutto più accettabile o, almeno, più neutro. E, fortunatamente, sia qui che nella Grande Bellezza, ci sono Luca Bigazzi alla fotografia e soprattutto una Roma meravigliosa come sfondo.

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E i dialoghi un po’ banalotti di Youth, anche se recitati benissimo da Michael Caine, dovendo portare avanti una fiction con tanti personaggi, finiscono qui per essere meglio integrati sia con la grande verve napoletana di Silvio Orlando, che riesce a passare dalla genialità luciferina andreottiana alla naturalezza eduardiana, la gag del caffè, sia con la presenza di attori importanti che si calano perfettamente nei loro ruoli.

 

Ogni volta che appaiono Camara come Gutierrez, santo barbuto, o James Cromwell, il padrino di Jude Law che avrebbe dovuto arrivare lui a papa, la scena si anima enormemente. Certo, per noi critici acidelli, non funzionano affatto né i sogni artisticoidi-felliniani (l’inizio con i bambini pupazzi a piazza San Marco…) né le scene con troppi trucchi visivi né il continuo rilanciarsi kubrickianamente di Sorrentino, per non parlare del canguro (meglio le hawaiiane del papa), ma il film concede in parti piuttosto uguali goie e dolori, belle pagine di cinema recitato, molte riprese spettacolari, qualche banalità da inserto culturale e varie pesantezze autoriali.

 

THE YOUNG POPE - SORRENTINOTHE YOUNG POPE - SORRENTINO

Ma non si esce stremati o incattiviti, ci si diverte pensando a quanto possa essere Sorrentino stesso questo young pope che si presenta come “nothing” e deve diventare qualcosa in barba alla critica facendo chissà quali miracoli creativi. O a quanto possa essere Young Mieli il personaggio di Camara che cerca di riportare a terra la follia creativa del giovane papa. Curiosamente, non mi piace affatto l’idea, che dovrebbe essere creativa e mediatica, del papa senza volto (ma come è possibile? Ci possono credere solo gli americani), ma la grande scena tra Lenny e il suo maestro e superiore, il cardinale Spencer, è perfetta.

 

SORRENTINO THE YOUNG POPESORRENTINO THE YOUNG POPE

Lo stesso Jude Law passa da eccessi un po’ troppo forti per i miei gusti a momenti alla Terence Stamp in versione Pasolini-Fellini che ce lo rendono meraviglioso. Non a caso il Toby Dammit angelico di Terence Stamp in Tre passi nel delirio che perde la testa col diavolo, secondo Glauber Rocha, era il diavolo stesso. E questo Young Pope ha momenti, soprattutto nella lettura che a tratti ne fa Silvio Orlando, che ci rimanda appunto al diavolo fatto papa. Ma avremo tutto il tempo per digerire quest’autunno i nostri mal di pancia, quelli dei critici italiani, quelli di Pio XIII e di Sorrentino stesso. Aspettiamo fiduciosi le altre otto puntate. Però, certo, tutte queste battute su Higuain in bocca a Silvio Orlando adesso che è juventino sono un brutto colpo per il tifoso. “Voi non mi meritate!”.

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