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BAVAGLIO “CHARLIE”? - "EROI? NO, RAZZISTI" - I SEI SCRITTORI DEL “PEN CLUB” CONTRARI A CONFERIRE IL PREMIO AL GIORNALE: “CHI MOSTRA DISSENSO SU CHARLIE HEBDO È ACCUSATO DI SOSTENERE I TERRORISTI”

1 - “EROI” “NO, RAZZISTI” PERCHÉ LA SATIRA DI CHARLIE HEBDO DIVIDE ANCORA

Stefania Parmeggiani per “la Repubblica”

 

Taiye SelasiTaiye Selasi

Ancora polemiche. Il premio del Pen club a Charlie Hebdo divide la comunità letteraria, riportando al centro del dibattito i temi già sollevati dopo gli attentati di Parigi: i limiti della satira, la libertà di espressione, l’intolleranza ma anche il razzismo. Martedì prossimo la più famosa organizzazione di letterati al mondo consegnerà al settimanale il premio al coraggio, dopo giorni di critiche.

Peter CareyPeter Carey

 

Con Salman Rushdie che non si stanca di affondare a colpi di tweet i sei colleghi che hanno deciso di disertare la cerimonia: Tajye Selasi, Michael Ondaatje, Peter Carey, Francine Prose, Teju Cole e Rachel Kushner. Si dice dispiaciuto per Ondaatje, «un uomo e uno scrittore che amo profondamente», ritwitta colleghi come Alain Mabanckou che tacciano di ignoranza i dissidenti. Anche un’autrice popolare come Anne Rice si schiera con Rushdie: «Uccidere è un crimine, la canzonatura no».

 

Tajye Selasi si difende dalle critiche, spiegando che il premio solleva non solo questioni «di censura e di estremismo, ma anche di razzismo e di potere». Racconta: «Quando ho saputo degli omicidi a Parigi sono rimasta sconvolta, un’altra espressione nauseante di quell’estremismo violento che sta distruggendo tante parti del nostro mondo».

 

Francine ProseFrancine Prose

È ovvio, non difende il terrorismo. Fa un ragionamento diverso: «Se oggi un giornalista a Baltimora pubblicasse la vignetta di un uomo di colore che viene linciato — un uomo di colore, per esempio, con le sembianze di Freddie Gray — quel giornalista avrebbe esercitato un suo diritto. Noi però non lo premieremmo».

 

Francine Prose sul Guardian indica altri candidati, secondo lei «più idonei»: Edward Snowden, Chelsea Manning, i giornalisti che rischiano la vita raccontando le guerre in Medio Oriente, Lydia Cacho che ha denunciato la corruzione in Messico. «Il problema — ha detto Teju Cole al sito The Intercept — è che chiunque mostri dissenso nei confronti di Charlie Hebdo è accusato di sostenere i terroristi».

 

2 - MA DAVVERO QUALCUNO STA RIDENDO?

Estratto del discorso del disegnatore premio Pulitzer Garry Trudeau alla cerimonia dei George Polk Awards pubblicato da “la Repubblica” - Traduzione di Anna Bissanti

 

Garry Trudeau Garry Trudeau

La mia carriera — immagino proprio di poterla chiamare ufficialmente così, adesso — non è stata una mia idea. Quando il direttore Jim Andrews mi assunse al mio primo anno di college e mi offrì il posto che ho tuttora, non mi era ben chiaro che cosa avesse in mente. Inspiegabilmente non sembrava preoccupato dal fatto che io fossi del tutto sprovvisto delle abilità tecniche associate di solito alla creazione di una striscia di fumetti.

 

Garry TrudeauGarry Trudeau

A lui interessava la mia prospettiva. La mia identità generazionale. Ritenne la mia goffa abilità nel disegnare alla stregua di una sorta di fumetto-verità, di dispacci dal fronte, crudi e sovversivi. Perché erano così sovversivi? Beh, per lo più perché avevo un’educazione limitata. Gli anni al college mi avevano dato l’impressione, del tutto errata, che non esistessero limiti, che per un artista fosse del tutto sicuro esprimere in pubblico commenti su imponderabili temi politici e culturali. In verità, una delle cose più belle dell’incompetenza giovanile è che di frequente è confusa con il coraggio.

 

In realtà, si tratta soltanto di un’imprecisa valutazione del rischio. Una mia amica, ex psichiatra di alto grado nelle forze armate, una volta mi ha raccontato che per riferirsi alla corteccia prefrontale, sede del discernimento e del controllo sociale, nell’esercito hanno un termine tecnico.

 

funarali dei fumettisti dello charlie hebdofunarali dei fumettisti dello charlie hebdo

«La chiamiamo “sergente”» mi ha detto. Nel mondo editoriale la chiamiamo “direttore”. In quanto a me, ne avevo uno, e anche di talento, benché all’inizio i nostri rapporti siano stati alquanto burrascosi. Il mio fumetto era sempre respinto. Poi, una sera, il mio capo John McMeel mi portò fuori per una bistecca e mi spiegò la sua strategia: «Non ti preoccupare. Prima o poi questi crepano». Per la miseria, aveva proprio ragione! L’anno seguente l’amato patriarca di quei tre giornali morì, lasciandoli in eredità all’intemperante figlio la cui prima decisione, naturalmente, fu di ripristinare l’uscita del mio Doonesbury .

FUNERALI PER LE VITTIME DELLA STRAGE A CHARLIE HEBDOFUNERALI PER LE VITTIME DELLA STRAGE A CHARLIE HEBDO

 

Per tutta la mia carriera mi hanno accolto e respinto dai giornali: una delle ultime volte è stata quando ho parlato degli accertamenti transvaginali obbligatori in Texas (indispensabili per ottenere il permesso di abortire, effettuati con sonde di plastica di 25 centimetri; nella striscia a fumetti venivano paragonati agli stupri, ndt). Ho perso la pubblicazione su settanta giornali quella settimana, dal che si evince che la mia capacità di discernere dove si debba tracciare la linea rossa col tempo non è migliorata granché.

 

LA REDAZIONE DI CHARLIE HEBDOLA REDAZIONE DI CHARLIE HEBDO

Dalla tragedia di Parigi, io e la maggior parte dei miei colleghi abbiamo trascorso moltissimo tempo dialogando su dove si debba tracciare la linea rossa. Come sapete, la controversia sulle vignette di Maometto ebbe inizio otto anni fa in Danimarca, come forma di protesta contro “l’autocensura”, la chiamata alle armi di un direttore di giornale contro quella che riteneva essere una correttezza politica soffocante.

 

L’idea che c’era dietro le vignette originali non era quella di intrattenere o illuminare o sfidare l’autorità: l’incarico assegnato ai vignettisti era di provocare. E in ciò ebbero un successo incredibile. Non soltanto un vignettista fu assassinato a colpi di armi da fuoco, ma in tutto il mondo scoppiarono tumulti che provocarono la morte di molte altre persone. Esercitare discernimento e usare buonsenso nell’esprimersi furono denunciate come pratiche incompatibili col diritto d’espressione.

LA REDAZIONE DI CHARLIE HEBDO LA REDAZIONE DI CHARLIE HEBDO

 

E così ora siamo alla deriva, in un mare di dolore sempre più vasto. Paradossalmente, Charlie Hebdo , che aveva sempre sostenuto di attaccare i fanatici islamici e non la popolazione, è riuscito a essere molto provocatorio nei confronti di molti musulmani di tutta la Francia che hanno fatto causa comune con alcuni tra i più aberranti e violenti emarginati. Che funesto risultato…

 

La satira, tradizionalmente, ha consolato i tartassati tartassando chi di consolazione ne ha già. La satira fa scagliare il piccolo contro il potente, contro ogni tipo di autorità. Alcuni grandi maestri francesi della satira, come Molière e Daumier, colpirono sempre duro dal basso verso l’alto, mettendo in ridicolo chi si compiace di sé o è ipocrita. Ridicolizzare chi non è fortunato non è mai divertente: è solo crudele.

 

charlie hebdo        charlie hebdo

Colpendo duro dall’alto verso il basso, attaccando una minoranza sprovveduta ed emarginata con disegni sgradevoli e volgari, Charlie ha girovagato senza meta nel regno dell’istigazione all’odio. Beh, voilà: le sette milioni di copie pubblicate dopo il massacro hanno fatto proprio questo, innescando violente proteste in tutto il mondo musulmano, tra cui una in Niger, dove dieci persone hanno perso la vita. Nel frattempo il governo francese si è tenuto impegnato facendo retate e arrestando oltre un centinaio di musulmani che scioccamente avevano utilizzato la loro libertà di espressione per esprimere il loro sostegno agli attentati.

 

i fratelli kouachi fuggono indisturbati dopo la strage a charlie hebdo  4i fratelli kouachi fuggono indisturbati dopo la strage a charlie hebdo 4luz renald luzier charlie hebdoluz renald luzier charlie hebdo

La libertà di espressione in Francia è una tradizione troppo piena di contraddizioni per essere abbracciata fino in fondo. Perfino Charlie Hebdo una volta ha licenziato un autore che non aveva corretto un articolo antisemita. A quanto pare, costui aveva varcato una linea rossa che esisteva per una minoranza, ma non per un’altra. Gli integralisti della libertà di parola non hanno ancora capito che non si deve far ricorso al diritto di offendere un gruppo etnico soltanto perché tale diritto esiste.

 

O che quel gruppo non deve rinunciare al proprio diritto di sentirsi offeso. Si ha il diritto di sentirsi offesi. Di libertà si deve parlare sempre solo nell’ambito della responsabilità. A un certo punto, l’integralismo della libertà di espressione diventa infantile, poco serio. Diventa a sua volta una forma di fanatismo.

 

Sono consapevole di poter esporre queste mie osservazioni da una posizione speciale, in sicurezza. Come ha detto Jon Stewart all’indomani del massacro, in una società libera la presa in giro non dovrebbe essere incoraggiata. Fare satira è un privilegio che non ho mai preso alla leggera. E ancora adesso cerco di farlo nel modo giusto. Doonesbury resta un work in progress, un resoconto imperfetto dell’imperfezione umana.

la presentazione del nuovo numero di charlie hebdola presentazione del nuovo numero di charlie hebdo

 

Tuttavia, il mio è un mestiere che esiste solo grazie alla considerevole libertà di cui godono i commentatori in questo paese. Tale libertà è stata esageratamente bistrattatan ell’era digitale, fino a diventare del tutto irriconoscibile. Adesso non è facile immaginare dove si collochi per la satira la linea rossa.  Nondimeno, vale sempre la pena porsi una domanda: «C’è mai qualcuno, davvero qualcuno, che sta ridendo?». Se non è così, probabilmente si è commesso un errore.

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